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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime

IX     LA COSTRUZIONE DELLA CHIESA

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 — pagg. da 64 a 82).

[ I numeri in grassetto tra parentesi acute <  > indicano le pagine del volume originale. Le parole divise a fine pagina sono trascritte interamente nella pagina in cui iniziano]

 

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«1487 et addì XXVII de Marzo de Mercordì furono comenzati ad fare li fundamenti de la ecclesia de Santa Maria de le Lagrime; et era in quillo dì Perfrancisco de meser Francischino [Lucarini] alla custodia della dicta cappella, el sopradicto fundamento ad fare comenzare».

Con queste rustiche parole il buon cronista Mugnoni ci tramandava la memoria di un avvenimento di grande interesse per l'arte italiana e per la storia di Trevi.

Si noti, intanto, la sollecitudine con la quale i deputati delle «Lagrime» vollero cominciare a dare esecuzione al contratto, in quello stesso giorno stipulato; ma si noti del pari la loro prudenza. per la quale non permisero che si movesse una zolla di terra, se prima non fosse stato regolarmente firmato il contratto per la fabbrica. Sono questi tutti piccoli fatti, sono minuzzaglie — quasi — ma che collegate insieme e messe in relazione con il succedersi degli avvenimenti, danno una chiara idea della saggezza amministrativa di quei tempi e di quegli uomini; saggezza che ripetutamente ho avuto occasione e piacere di constatare, durante la mia narrazione; ma che più chiaramente apparisce e si delinea a chi nelle vecchie carte ha seguìto per lungo succedersi di anni, di secoli, la serie di grandi o piccoli avvenimenti che ci riportano quasi in mezzo alla palpitante vita comunale del medio evo, quando tanta autorità e tanta responsabilità gravavano sugli omeri di chi reggeva la pubblica cosa. Mi si perdoni la digressione e l'insistenza su tale argomento: ma mi è
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sembrata, utile e necessaria, perché queste pagine non siano solo un'arida narrazione di vicende, ma diano anche al lettore l'idea dell'ambiente storico ed «umano» nel quale esse si succedevano.

 

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Torniamo alla fabbrica. A questa era indispensabile provvedere l'acqua occorrente. E mentre nei due anni precedenti erano in corso le trattative con gli architetti, il Comune aveva già deliberato di condurre alle «Lagrime» l'acqua della fonte di Piazza, tantoché il 20 Giugno 1486 si cominciò a preparare la vasca per la fonte, presso la costruenda chiesa «in nel campo de sancto Costanzio», dice il Mugnoni. Lavoro che fu sollecitamente compiuto, poiché un mese dopo, cioè il 19 Luglio, i deputati delle «Lagrime» deliberavano s' incominciasse la costruzione dell'acquedotto. La derivazione doveva farsi dalla «Fonticella», forse quella, della «Porta del cieco» presso le mura a Sud-Est della città  L'acqua doveva passare sotto gli orti dei Petroni e dei Lucarini (probabilmente oggi Natalucci e Bartolini fuori la detta porta). Ma — preveggenti sempre — i deputati deliberarono che l'acquedotto non dovesse traversare i detti orti, ma ne restasse al di fuori; e che nessuno ardisse derivare acqua dal nuovo o dal vecchio condotto, pena 50 «ducati» secondo una precedente deliberazione del consiglio generale. E si noti che i proprietari di quegli orti facevano parte del numero dei deputati delle «Lagrime». L'interesse pubblico innanzi tutto!

Pochi giorni dopo, cioè il 24 luglio si incominciarono «ad mectere li tumuli (tubi; in gergo locale: «tomboli») dove gire l'acqua della Fonticella ad la dicta fonte de santa Maria de Lagrime». E in ciò molto si adoperò Pierfrancesco Lucarini, il nome del quale è così strettamente connesso alle prime vicende del nostro tempio, cui egli ottimo cittadino dedicava continua la sua opera ed era largo dei suoi sussidi.

Compiuto sollecitamente il condotto, dopo dieci giorni l'acqua veniva immessa nella nuova fonte delle «Lagrime». Di questa ora non c'è più traccia; né saprei indicare dove potesse essere. Ma in vista specialmente del breve tempo impiegato in tutto il lavoro di costruzione della fonte e derivazione dell'acqua appena quarantacinque giorni, compresi i festivi è da supporre si trattasse di un lavoro assai semplice e modesto, per quanto dovesse essere permanente, anche in vista degli impegni verso i religiosi che sarebbero venuti alle « Lagrime». Comunque stiano le cose, è certo che della
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fonte o cisterna nulla è restato. E già fino dal 1745 era scomparsa (1).

 

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Lo scavo delle fondazioni della chiesa giunse alla profondità di «13 piedi di pertica» circa metri 6.50, ed erano larghi «piedi» 4 e mezzo ed anche di più. Però nonostante la notevole profondità non si giunse a trovare terreno abbastanza forte per potervi impiantare la fabbrica. Ma per non arrivare ad una eccessiva profondità l'architetto Antonio Marchisi fece fare quella che ora si direbbe una «gettata» di calce con ghiaia estratta dal letto del torrente Marroggia, che allora scorreva libero, poco lontano dalle falde di Trevi, verso ponente, a traverso la valle. Il provvedimento fu praticamente utile, perché ne venne un masso così compatto e solido e la calce fece presa così tenace, che, quando era asciutto «non se ne porria avere col piccone», dice elegantemente il cronista Mugnoni.

Dopo appena due mesi dacché si era incominciato lo scavo delle fondamenta, quindi molto prima che fossero condotte a termine, volle il Comune porre la prima pietra della nuova fabbrica, senz'altro attendere. E il 26 Maggio del 1487 fu solennemente compiuta la cerimonia, di cui il cronista che vi fu presente ci dà la descrizione.

Era di Sabato, ed all'ora di vespero, cioè verso le 4 del pomeriggio. I priori del Comune, Cello di Mattia di Bianchuccio. Francesco di Nicolò detto «Saccomanno» e Ugolino di Francesco, da Fabbri, insieme al Podestà Bruno dei Canturani, di Anagni, andarono processionalmente verso le «Lagrime», con molti preti e frati, con a capo il Priore di S. Emiliano, D. Marcello di Piermartino Petroni. Giunti sul posto, questi pose la prima pietra, con molta divozione e molte preghiere. Pierfrancesco Lucarini, uno degli «operari» gettò sulla pietra alcune monete: cioè un «grosso» d'argento, che valeva 4 «bolognini». Ed altri vi gettarono molti «bolognini» e «quatrini».

Tra i presenti il cronista notava i cappellani delle «Lagrime» D. Valentino di Vanni Salvi e D. Girolamo di Ser Giovanni che teneva il vaso dell'acqua benedetta, e l'aspersorio. E questi due con molti altri preti erano discesi dentro lo scavo delle fondamenta alla profondità già accennata di circa metri 1.50.(*)

 

***

Ma i lavori di escavazione non procedevano forse con la desiderata sollecitudine. Ed ecco che i deputati delle «Lagrime» subito

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(1) D. Natalucci Mss. cit. P. 240.

*Il dato è palesemente errato per difetto. Tre paragrafi sopra il testo riporta "circa metri 6.50", mentre la profondità di "13 piedi", moltiplicata per mm 376 (misura riportata in nota a pag.69) dà circa metri 4,90. La profondità di "13 piedi" fu già indicata dallo stesso autore in un articolo del periodico locale "La torre di Trevi" de l899, http://www.protrevi.com/protrevi/TorreAnno1_09.pdf riportato poi in "Curiosità storiche trevane" del 1922,  https://penelope.uchicago.edu/Thayer/I/Gazetteer/Places/Europe/Italy/Umbria/Perugia/Trevi/Trevi/_Texts/VALCST/La_Chiesa_delle_Lagrime*.html)

 


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s' interessano della cosa, e nella loro adunanza del 14 ottobre 1487 ordinano che ciascuna «Balìa» del Comune, incominciando da quella di S. Emiliano, venga obbligata a lavorare nello scavo delle fondamenta della nuova chiesa. E le «Balìa» si diano il turno, una dopo l'altra, per ordine. I custodi delle «Lagrime» dovevano provvedere alla requisizione di questa mano d'opera tre volte al giorno, cioè all'ora di terza, a mezzodì e alle 22 ore. Chi mancava ad una chiamata doveva pagare la multa di un «bolognino» per volta. Se poi qualcuno mancava tutto il giorno, in modo da non recarsi a lavorare in nessuno dei tre turni, doveva pagare quattro «bolognini». Che se i custodi saranno negligenti nell'adempimento di questo loro ufficio o nella requisizione della mano d'opera per lo scavo dei fondamenti e nell'appello degli obbligati allo scavo, in modo che almeno uno dei custodi sia presente, ciascuno di essi paghi la multa di un «fiorino» per ogni giorno. E queste penalità s'intendano fino da ora applicate secondo la deliberazione della «Società» (1).

Anche questa specie di ordinanza merita qualche considerazione, e conduce a qualche riflessione. poiché non sfugge al lettore il fatto nuovo di una requisizione di mano d'opera, a carico di tutti gli abitanti del comune, incominciando da quelli del capoluogo, ordinata da una commissione, che, per quanta emanazione del consiglio generale, non poteva dirsi che fosse la vera autorità comunale. Ma è anche questo un altro aspetto delle autonomie municipali di quei tempi: per le quali anche gli organi sussidiarii del comune assumevano la forma autonoma e l'autorità di questo; fino al punto di ordinare ai cittadini anche un lavoro obbligatorio, e d' imporre ad essi multe non lievi, disponendo così  come una vera e propria autorità  costituita, delle persone e dei beni dei suoi dipendenti. Per completare il quadro del comune com'era allora, questi «dettagli» sono tutt'altro che trascurabili, per chi vuol studiare l' intima essenza ed il funzionamento dei comuni medioevali.

Agli 11 di Decembre del 1487 l'architetto ed imprenditore Antonio Marchisi aveva già  costruite circa 45 «pertche» di muratura nelle fondamenta, pari a circa metri cubi 540. Ma poiché la somma

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(1) Curioso e interessante il fatto di un tal Menicuccio Bocchini reo non si sa bene di che al quale il consiglio delibera di rilasciare un salvocondotto per 50 anni (!) purché per 15 giorni serva alle «Lagrime» in quei lavori che gli «operai» crederanno ordinargli. (Riformanza, 27 Settembre 1488. Archivio delle 3 chiavi. N. 155, f. 146).

 


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che in pagamento di questi doveva ricevere non era sufficiente per certi suoi impegni, domandò ed ebbe in prestito dai priori del comune e dalla «Società» delle «Lagrime» 150 «fiorini» della Marca, a ragione di 50 «bajocchi» per «fiorino»; di cui 100 in contanti, che gli furono versati dei denari delle «Lagrime» dal depositario Bartolomeo di Bartolo. Gli altri 50 dovevano essere pagati a certi creditori del Marchisi, di cui esso avrebbe dato i nomi. Egli convenne pure nello stesso atto di non voler essere pagato di 50 opere da lui impiegate nello scavo delle fondamenta, che per contratto era a carico del comune. Però in compenso, chiese ed ottenne per sé tutta la pietra già cavata e quella che si sarebbe cavata dalle fondazioni. In pari tempo convenne che i pilastri nelle pareti della chiesa, i quali, secondo i patti, dovevano essere costruiti in laterizio, potessero, invece, esserlo in pietra concia, a cura della Società «delle Lagrime». E siccome ciò portava una diminuzione negli obblighi del costruttore, questi si contentò che si defalcasse dal suo avere la differenza, a giudizio di persone da nominarsi d'accordo.

Nello stesso atto il Marchisi prende impegno formale che suo fratello «Checco» e suo cugino Silvestro non abbandoneranno la fabbrica. Ma se il «Checcus» se ne andasse da Trevi, autorizza la «Società» delle «Lagrime» a tenere per sé i 50 «fiorini» destinati, invece, ai creditori.

S'intravede in questo documento che già qualche nube cominciava ad offuscare i rapporti tra il Marchisi ed il comune, se non altro per colpa di quei tali parenti dell'architetto. Di essi, come artisti, non abbiamo notizie biografiche. Erano, probabilmente, modesti esecutori.

 

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In seguito al consenso prestato dal Marchisi circa l'esecuzione dei pilastri in pietra, anziché in mattoni, la «Società» delle «Lagrime» nella sua adunanza dell'8 Gennaio 1488 deliberava di darne incarico a quel Silvestro da Settignano, scalpellino, cugino del Marchisi; e Natimbene Valenti con Trincia di Francesco Manenti erano autorizzati a trattare la cosa. Dovevano, però, esigere che nell'esterno della chiesa i pilastri avessero un «imbasamento» ed all'interno un «cordone» ed un gradino, come si vede anche ora.

A pochi giorni di distanza, cioè il 10 Febbraio, un altro degli addetti ai lavori della fabbrica, un tal Alberto, domandava un'anticipazione di 30 «fiorini», da scontarsi nella costruzione dei muri. Gli furono concessi, col patto di scontarli dopo gli altri 150 «fiorini» anticipati al Marchisi. Questi. che era presente all'adunanza, si dichiarò


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contento di ciò  e di non volere per sé, fino alla prossima Pasqua, che 20 «fiorini» per le spese, da versarglisi pochi alla volta.

Siccome poi il Marchisi era per partire per Firenze, promise solennemente ai priori, in presenza del notaio «come pubblica persona» e giurando sul Vangelo, che sarebbe tornato a Trevi per proseguire la fabbrica, non più tardi della prossima prima Domenica di Quaresima. Non tornando a Trevi, si obbligava a perdere il prezzo di due «pertiche» di muro, cioè 16 «ducati».

Il Marchisi, dunque, minaccia di ciurlare nel manico se già  dopo pochissimi mesi dall'inizio della fabbrica, si dubita di lui, come prima si dubitava del fratello e del cugino, che volessero, da un giorno all'altro, piantare in asso i trevani e la fabbrica. Si spiega così  come fosse premura dei priori di tenere legati in qualche modo gli artisti ai patti convenuti. Ma vedremo che questo non fu un rimedio efficace.

 

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Nel contratto col Marchisi non erano stati precisati gli spessori dei muri ed altri particolari della costruzione.Perciò il 10 Aprile 1488 si pensò di provvedervi riunendo nella cappella delle «Lagrime» i periti di fabbriche M°: Antonio di ser Vitale da Montefalco, M°: Bellezza di Marianello e M°: Onofrio Curi da Spoleto, insieme a due priori del comune e ad alcuni della «Società» delle «Lagrime»: Natimbene e Giovanni Valenti, Pierfrancesco Lucarini, Gregorio Petroni ed altri. Si stabilì dagli intervenuti che la facciata anteriore della chiesa dovesse proseguirsi dello spessore già  adottato in principio. Le pareti laterali, fino alla crociera, con quattro cappelle, dovessero essere di «piedi» 3 e 3/4 di «pertica» (1). Quelli della crociera, dai due lati, di «piedi» 2 e 1/2; le pareti di fondo e quelle della, tribuna, dov'è l'altare maggiore, di «piedi» 2. Per il campanile doveva adottarsi lo spessore di 2 «piedi» sopra terra; e sotto terra uno spessore conveniente.

I periti dichiarano, come il Marchisi aveva promesso, che le misure delle vòlte (testudines), dopo che saranno incominciate, si prendano in piano e tra le pareti. E le volte saranno a crociera e non a lunetta. Al di sopra del rinfianco di esse (replementum) si faccia un muro dello spessore di un «piede». Seguono altre modalità di minore importanza, relative alla costruzione della facciata.

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(1) Il «piede» lineare era lungo 376 millimetri. Questa misura trovasi graficamente tracciata in un documento dei 23 luglio 1491 nell'Arch. 3 ch.N. 161


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All'atto furono presenti molte persone — come era usanza — ma i testimoni furono soltanto quattro: ser Giovanni di ser Pietro, ser Giovanni Gabino Francioli, ser Pietro Rainucci, Don Pietro Celli, canonico, tutti di Trevi.

Il campanile non fu più costruito, né si sa quale fosse il luogo progettato. Ma dovette essere all'angolo Nord - Est della navata grande, come avrò occasione di dimostrare in seguito.

 

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Il lettore avrà notato come all'atto qui sopra riportato intervenisse insieme ai priori, ai deputati delle «Lagrime» ed ai testimoni anche molta altra gente; ma tra tutti costoro mancava l'accollatario ed architetto Marchisi. Era perciò naturale e previdibile che esso non avrebbe poi facilmente accettato patti e condizioni stabiliti senza il suo intervento. E così fu certamente. poiché pochi giorni dopo, cioè il 20 Aprile, s'interessò della cosa il consiglio generale, nel quale con 71 voti favorevoli, non ostante 8 contrari, fu deliberato che i priori, insieme al podestà e ad Emiliano di Francesco Cappella, Andrea di Paolo Luca e Simone di Nicola Castagnòli trovassero un perito muratore, al parere del quale M° Antonio Marchisi dovesse rimettersi, circa lo spessore dei muri ed altre cose. Se accetterà bene; altrimenti il Marchisi sia esonerato e definitivamente licenziato!

Come si vede, alla prudenza, alla sagacia, alla diligenza, che più volte in questo scritto ho avuto occasione di mettere in rilievo i nostri avi univano una sempre desiderabile energia, anche quando, forse, non avevano tutte le ragioni; almeno a giudicare dai documenti che abbiamo. poiché  a voler esser giusti, non sembra molto regolare il costringere un impresario di lavori ad accettare il giudizio definitivo di periti non nominati d'intesa con lui. Ma tant'è! Di quei tempi, per il pubblico interesse, non si andava tanto per il sottile; e d'altra parte, il Marchisi era troppo del mestiere, perché i nostri non avessero, in qualche modo, a premunirsi contro ogni possibile sorpresa!

Col progredire delle fabbrica, si vide la necessità di avere a disposizione una maggiore superficie di terreno. Ond'è che il 22 Maggio 1488 il comune comprò  per conto della chiesa, un terreno olivato, posto lì presso, di proprietà di Luca Ottaviani e di Nicola e Lucangelo Liberati. Il prezzo fu di 7 «fiorini» della Marca, 15 «bolognini» e 10 «denari». La superficie: 5 «pugilli», 6 «oncie», 8«punti».


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II rapporti col Marchisi continuavano ad essere poco cordiali, per quanto può dedursi dal tono dei documenti, che ora riferirò. Il 20 Maggio la «Società» delle «Lagrime» adunatasi con 9 dei suoi componenti, deliberava all'unanimità che si facessero i conti con M°: Antonio e con Silvestro, scalpellino, del lavoro eseguito fino a quel giorno, tenendo calcolo degli anticipi a loro dati, in contanti e in materiali. E si misuri il muro già fatto; ed agli artisti nulla si dia mai più senza licenza della intera «Società»  Se poi M°: Antonio si obbligherà di non pretendere un maggior prezzo per l'aumentato spessore dei muri laterali, dalla crociera in su, che si vorrebbero di 1/2 «piede» più larghi di quanto indicheranno due periti di Perugia e due di Spoleto, bene; altrimenti si stia allo spessore che questi indicheranno. Se poi M°: Antonio non accetterà il giudizio dei periti o non vorà seguitare la fabbrica, si paghi in ragione di 6 ad 8 «ducati» per ogni «canna». E si faccia protesta contro di lui, che se non vorrà rimettersi o non vorrà continuare la fabbrica, questa si darà ad un altro, per unanime volere di tutti gli adunati.

Come si vede, siamo ai ferri corti: Però l'energia addimostrata dai rappresentanti del popolo di Trevi portò, almeno lì per lì, buoni frutti. poiché il Marchisi si decise ad accettare il giudizio di M°: Baldassarre da Comoo, che rappresentava la «Società»  e di M°: Andrea di Giacomo da Fiume, che stava per il Marchisi. E gli arbitri il giorno stesso 8 Luglio 1488 —  pronunziarono il loro lodo così:  nulla spetta a M°: Antonio per tutto l'«imbasamento» esteriore. Sulla facciata anteriore si misurino insieme il muro rustico e quello di pietre conce. E per la posa in opera di queste si diano a M°: Antonio 6 «fiorini» per «pertica». I pilastri e le «colonnelle» delle quattro cappelle già costruite e quelle della cupola da costruirsi, si misurino in quadro, fino all'imposto delle volte; e la superficie di essi vada a scomputo di quella dei pilastri, che M°: Antonio avrebbe dovuto costruire sulla facciata anteriore:: che ora è tutta a muro eguale, e parte in pietre conce, parte a mattoni. Si diano al Marchisi 6 «fiorini» per calce e mano d'opera impiegate nei sedili e nelle basi dei pilastri. Ed altri 6 «fiorini» abbia per gli altri gradini e basamenti da farsi: non compresi quelli per i quali si ascende all'altare maggiore; ma sia obbligato riempire i vuoti lasciati per gl'«imbasamenti» da farsi, cioèquelli dei pilastri sulla facciata anteriore, ed altri all'interno. così fu raggiunto l'accordo.

In questo documento si fa cenno di una cupola da costruirsi. Mettiamo questa in rapporto col campanile ugualmente progettato,


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teniamo presente la mole della chiesa quale essa ora è, e potremo almeno lontanamente, avere un'idea della grandiosità dell'edificio com'era stato concepito dal valentissimo architetto. Ma, purtroppo, alla coraggiosa iniziativa del comune e della «Società» delle «Lagrime» mancarono i mezzi per condurre a termine l'opera così largamente progettata!

 

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Per la costruzione della chiesa occorreva venire in definitivo possesso della casa di Diotallevi d'Antonio Santilli, all'esterno della quale è dipinta l'imagine. Per le trattative necessarie ebbe incarico Nicolò Leli, nell'adunanza del 3 Agosto di quell'anno, presenti i priori, l'anteposto e gli XI deputati delle «Lagrime». E fa un'adunanza assai importante, anche per le altre deliberazioni prese; tra cui quella di dare incarico a ser Pietro di Matteo di far ricerche di acqua «per l'utilità e la necessità  della chiesa di S. Maria delle Lagrime e per l'onore del popolo e del comune».

Le ricerche dovevano farsi presso la «fonte di Ciccolo» e quella di Nasciano, al Sud di Trevi, verso Bovara. L' incaricato aveva facoltà di chiamare a collaborare chiunque volesse; e a lui si doveva obbedire, pena 20 «soldi». A lui si dia il salario di 6 «fiorini» ad opera compiuta e se avrà trovata l'acqua; altrimenti abbia 3 «fiorini» soli! Criterio abbastanza curioso per stabilire il compenso a chi lavorava per un problema così arduo e di così incerta soluzione! Ma di quei tempi, affari buoni col comune, a danno del pubblico, non se ne facevano!

A Natimbene Valenti ed a Trincia Manenti fu dato l'incarico d'intendersi con lo scalpellino M°: Silvestro, da Settignano — il cugino dell'architetto Marchisi — per la provvista della pietra occorrente per la porta della chiesa e per altri lavori.

 

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Nel frattempo, cioè dopo l' 8 Luglio di quell'anno, il Marchisi si era allontanato da Trevi. Rammenta il lettore che M°: Antonio aveva, di quel medesimo tempo, assunta a Firenze l'impresa di costruire la chiesa ed il convento di S. Giusto, fuori Porta a Pinti. Non mi è stato passibile conoscere la data precisa del contratto da lui stipulato per quell'appalto; ma è certo che fu nel 1487, cioè contemporaneo, quasi, a quello delle «Lagrime». Niente di più naturale, quindi, che il Marchisi il quale voleva dare alla sua città un'opera grande e degna pensasse di allontanarsi da Trevi per dedicarsi all'altro più importante lavoro.


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Prolungandosi la sua assenza. egli diede incarico di rappresentarlo presso il comune a M°: Francesco di Bartolomeo da Pietrasanta. Questi intervenne ad una riunione dei priori del comune e della «Società» delle «Lagrime», che si tenne il 3 Decemhre 1488. Si discusse molto ed a lungo. Finalmente all'unanimità fu deliberato che si ammettesse M°: Francesco a proseguire la fabbrica della chiesa. Esso aveva una lettera del Marchisi; ma non la mostrò all'adunanza. Però Gregorio Petroni uno dei presenti disse di averla presso di sé. Ma il prudente segretario, che redasse il verbale, annota: «Io, però, non l'ho veduta!» Con tutto ciò si affidò a M. Francesco la prosecuzione dei lavori, sotto gli ordini della «Società»  E si deliberò di pagarlo di tempo, in tempo, secondo il lavoro eseguito. M°: Francesco, da parte sua, doveva obbligarsi di obbedire alla «Società» e procurare che, effettivamente, il Marchisi, architetto ed appaltatore della fabbrica. tornasse per proseguirla e finirla entro il mese di Febbraio 1489 prossimo. Che se non tornasse, l'autorizzazione data al da Pietrasanta s'intendeva fin da allora revocata; in modo che la «Società» avesse le mani libere per decidere e provvedere nuovamente. Vedremo poi come questa deliberazione fosse seriamente rispettata!

 

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Ma, in attesa del ritorno del Marcitisi. la «Società» apriva gli occhi sempre più cauta, e, a distanza di pochi giorni, cioè il 15 Decembre, ribadiva in un'altra deliberazione il concetto che a M°: Francesco da Pietrasanta si dessero, di tempo in tempo, degli acconti sul lavoro già fatto: ma neanche un soldo di più  né direttamente, né indirettamente! Che se si facesse il contrario e gli si desse di più di quel che merita, se ne chiamino personalmente responsabili due della «Società»  cioè Gregorio Petroni e Pierfrancesco Lucarini; i quali solennemente promettono e s'impegnano per sé e per i loro eredi, nella più valida forma, in modo da rimborsare alla fabbrica tutte le spese e tutti i danni. Ed a tale atto intervengono anche due testimoni, come ad un vero e proprio istrumento.

Notevole questa nuova forma d' impegno che la «Società»  come pubblica amministrazione, prendeva. perché non è detto che i due garanti dovessero vigilare il solo depositario dei denari: ma erano proprio essi che assumevano l'obbligo di rappresentare e garantire tutta la «Società»  Nulla di simile potremmo riscontrare nelle nostre attuali istituzioni amministrative; poiché ora la responsabilità della erogazione delle somme nelle pubbliche amministrazioni grava
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su tutti coloro che di esse fanno parte e che ne hanno l'effettivo maneggio; ma non su taluno o l'altro dei componenti, designato occasionalmente, come nel caso suaccennato. Piccole notizie queste. che collegate e coordinate, valgono a darci una qualche idea di quelli che potevano essere allora i criteri giuridico-amministrativi.

 

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Mentre la «Società» sorvegliava la fabbrica e gli appaltatori, il comune teneva l'occhio sui fornitori del materiale. E poiché per i bisogni della fabbrica occorreva grande quantità di laterizi, con una deliberazione del 15 Febbraio 1489 richiamava l'attenzione dei fornaciari sulle disposizioni vigenti circa le misure dei mattoni, dei «coppi»  e delle «pianelle». Tutti questi laterizi dovevano fabbricarsi delle dimensioni stabilite dal comune e secondo i modelli che erano incastrati su di un lato della torte municipale, dove ancora si vedono. Ai contravventori si applicava la multa di 10 «libre di denaro» per ogni volta, di cui la metà al comune e l'altra metà a beneficio della chiesa delle «Lagrime». Tutti i laterizi dovevano fabbricarsi con forme bollate.

In pari tempo, oltre alle dimensioni, il consiglio generale stabiliva anche i prezzi del materiale da costruzione; cioè per i mattoni «fiorini» 2 e 1/2 per migliaio; e per i «coppi» 4 «fiorini». E tale deliberazione doveva avere valore in perpetuo e forza di legge e di statuto.

 

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Ma siamo alla fine di Febbraio 1489. E il Marchisi non è tornato a Trevi. Memori di quanto si era stabilito il 3 Decembre dell'anno precedente, cioèdi provvedere altrimenti se il Marchisi alla fine di Febbraio non fosse tornato, gli «operai» non attendono di più  E il 27 di quel mese stipulano senz'altro un nuovo contratto con M". Francesco da Pietrasanta.

Altro esempio della serietà amministrativa d'allora, indizio di forte animo e di chiara percezione dei diritti del comune. Senza attendere nemmeno un'ora oltre il convenuto, visto che il Marchisi non era tornato a Trevi alla fine di Febbraio, come aveva promesso, si cede ad altri l' impresa della fabbrica il giorno stesso! Ai tempi nostri ci sarebbe stato certamente qualcuno che avrebbe invocato qualche giorno di tolleranza o domandato una proroga, preoccupandosi degli interessi dell'appaltatore e temendo che il comune non sapesse come altrimenti provvedere. A quei tempi. invece. nulla di tutto ciò!

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Ecco ora il contenuto del nuovo contratto col Francesco da Pietrasanta.

 I priori del comune, gli «operai» della fabbrica Gregorio Petroni e Pierfranceseo Lucarini, presenti all'adunanza, richiamano il contratto altra volta stipulato col Francesco da Pietrasanta. Ora gli affidano, con nuovo contratto. la costruzione delle sagrestia, della cappella della Madonna e della tribuna, o abside, fino all'angolo della porta che guarda al Nord verso Trevi, secondo il disegno già fatto. Il prezzo del muro è di 12 «fiorini» la «pertica». compreso il materiale e la mano d'opera; quindi a miglior prezzo di quello fissato con M°. Antonio Marchisi, che era di 8 «ducati» la «pertica», cioè «fiorini» 13,80, perché il «ducato» era di 69 «bolognini», allora; mentre il «fiorino» era di 40.

Le fenestre dovevano essere di mattoni ben cotti; e si sarebbe misurato il «vuoto per pieno». Per la vòlta della cappella, si sarebbero pagati 25 «fiorini» ed altrettanti per quelli della sagrestia. E altri 10 per la vòlta dell'andito di comunicazione tra questa e la chiesa. Il prezzo dei pilastri all' interno ed all'esterno si sarebbe convenuto in seguito, col parere di due «maestri», nominati d'accordo, Si confermano a M°: Francesco le facilitazioni e le concessioni già accordate al Marchisi.

Gli «operai» Si riservavano il diritto di determinare come e quando l'appaltatore dovesse lavorare, a patto di dargli avviso un mese prima.

Non saprei come spiegare il fatto, che, nonostante questo contratto del 27 Febbraio 1489, si torni a parlare della costruzione della sagrestia in una deliberazione della «Società» delle «Lagrime» in data del 10 Marzo successivo. Fu convenuto che, scavate al più presto le fondamenta, si allochi a qualcuno la costruzione della sagrestia, per il prezzo, come di sopra, di 12 «fiorini» la «pertica».

Il contratto con M. Francesco non era, dunque, più in vigore?  Non è chiaro.

Ma qualche nuovo patto venne deliberato, assai prudentemente,quel giorno. Si dissse, cioè che appaltatore non si anticipassero più di 6 «fiorini» per ogni «pertica», fino a fior di terra; e di lì, fino a metà altezza, si dessero 9 «fiorini»; e fino alla sommità si potevano darne 12; e, a lavoro finito, si liquidasse la differenza totale, in ragione di 12 «fiorini» la «pertica».

Mi sembrano interessanti questi minuti particolari del contratto,
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non solo perché potrebbero utilmente applicarsi anche ai tempi nostri; ma, più che altro, perché in questa occasione si addimostra una volta di più la severa linea di condotta seguita da quegli uomini.

 

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Una deplorevole lacuna. come accennai, si riscontra nei codici delle «Riformanze» del comune; poiché dal 27 Settembre 1489 si va al 3 Novembre 1493. Evidentemente in quegli anni si continuò a lavorare nella fabbrica: ma ci sfuggono completamente le modalità ed i provvedimenti adottati in quel periodo di tempo. Anche gli «Annali» del Mugnoni tacciono su tale argomento. Segno, dunque, che i lavori proseguivano senza novità.

Abbiamo soltanto un documento del 23 Luglio 1491, col quale M°: Evangelista e M°: Agostino, ambedue di Settignano, assumevano l'incarico di fornire le pietre conce per la facciata della chiesa e per i gradini di travertino. al prezzo di 4 «bolognini» al «piede quadrato», obbligandosi di accettare in pagamento anche le robe donate dai fedeli alla chiesa e di lavorare agli ordini degli «operai».

Ma neanche questo secondo contratto ebbe pratica attuazione o la ebbe soltanto in parte; poiché fu revocato ed annullato il 23 Decembre dello stesso anno.

 

* * *

Nel periodo di tempo che va dal 1494 al 1500, il documento più importante è quello che si riferisce alla costruzione della veramente mirabile porta principale della chiesa. Ma di questa desidero occuparmi in modo particolare tra non molto.

Da notarsi che negli anni suddetti le maggiori cure del comune e della «Società» delle «Lagrime» furono rivolte alla ricerca di una comunità religiosa, alla quale affidare il nascente santuario, al quale si continuò a lavorare, come è facile supporre. Quello che è certo si è che non si parla più  di M°: Antonio Marchisi, scomparso del tutto dalla scena trevana.

 

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Ma è anche certo che i lavori non procedettero con grande rapidità; specialmente, forse, per la mancanza di mezzi finanziarii; tantoché nel 1500 si era appena alla metà dell'altezza (1).

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(1)  Archivio dello 3 chiavi, N. 214.

 


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E la scarsità di denaro si sentì anche in seguito; poiché il 13 di Luglio del 1506 e il 21 Luglio del 1509 il vescovo di Assisi autorizzava il preposto delle «Lagrime» a questuare anche in quella diocesi, per poter continuare la fabbrica.

Questa fu condotta a termine dai Canonici Regolari Lateranensi; ma pochi documenti ci restano in proposito nei rimasugli dell'archivio del convento. Troviamo con la data del 4 Gennaio 1511 il contratto per il cornicione.

Il procuratore della canonica convenne con M. Giovanni scalpellino che il «cornison ... usischa fuora del muro mezo pié» ed «entri nel muro «uno pié»  Da farsi nella forma che allo scalpellino sembrerà migliore, cioè a «mezo tondo» od «a triangolo» od «a tre montìculi».

Il prezzo era di 7 «bolognini» al «piede» lineare, o «per longo», da pagarsi «secundo che lavorerà» Notevole in quest'atto del quale do in appendice il testo completo(1) la forma linguistica, per l'influenza del dialetto veneto, predominante allora tra i Canonici Regolari Lateranensi, che erano alle «Lagrime»(2). Il cornicione, di cui qui è parola, fu gravemente danneggiato dal terremoto nel 1703; talché dovette essere demolito, con grave danno dell'architettura della chiesa, che all'esterno, come è ora, si presenta appunto alquanto deficiente nel suo coronamento.

Il corso dei lavori e le spese per essi incontrate dovevano certamente risultare, con dati molto particolareggiati, dai libri dei conti della, «Società» delle «Lagrime». Ma di questi non resta che una piccola parte; sufficiente, però, a darci un'idea abbastanza chiara del modo come i lavori procedevano.

 

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Nell'Archivio «delle 3 chiavi» abbiamo al numero 165 già citato, alcuni «Conti di entrata ed esito della nascente chiesa di S. Maria delle Lagrime dal 24 Aprile 1495 al 7 Decembre 1499 contenuti in dodici fogli di carta comune»; così dice il catalogo. Sono questi gli ultimi anni durante i quali la fabbrica continuò a cura del comune sotto la sorveglianza della «Società» delle «Lagrime». Dopo di che, tutto passò nelle mani della congregazione religiosa alla quale la chiesa fu ceduta.

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(1) Archivio delle 3 chiavi. N. 221.

(2) Appendice. Doc. N. 3.


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Questo brano di libro di conti è interessante anche per i nomi degli artisti che in esso sono ricordati.

Tra i muratori troviamo un M°: Giovanni da Como e due fratelli Antonio e Bernardo di Giacomo, e M°: Vannino di Pietro, tutti di Como. Questi lavorarono gli archi della chiesa, a cottimo, per 150 «fiorini».

Un Giovanni Sclavo, da Foligno, lavorò alle cimase o capitelli dei pilastri (1).

Troviamo anche memoria di un M°: Pietro di Cristoforo, da Bellinzona, che fornì 5000 mattoni al prezzo fissato dal comune, cioè a «fiorini» 12 e 1/2 al migliaio.

Il legname occorrente per la fabbrica, veniva comprato a Spoleto, dove anche ora è un mercato importante di tale prodotto, che viene in gran parte dalle vicine montagne di Norcia. Dell' acquisto di legname è memoria sotto alla data 13 Decembre 1495; e ne troveremo anche più oltre.

Giacché abbiamo un nuovo contratto per la fabbrica, compresa la «tribuna» o abside della chiesa, è lecito supporre che Francesco da Pietrasanta, al quale il medesimo lavoro era stato allogato, avesse mancato ai suoi impegni, durante il periodo dal 1489 al 1493, di cui non si conservano gli atti. Sta in fatto che in data 18 Febbraio 1499 veniva data a cottimo a M°: Vannino e a M°: Bernardo, lombardi, la costruzione di un muro — non è detto quale  — e della tribuna della chiesa.

Le condizioni erano queste: i due lombardi dovevano compiere il lavoro a tutte loro spese, di materiale e, ili mano d'opera; salvo che se occorressero mattoni, questi dovevano essere forniti dalla chiesa. Gli «operai» delle «Lagrime» dovevano mettere a disposizione

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(1) Un Giovanni, lombardo, costruì una parte delle mura castellane di Trevi, dal Torrione di S. Croce, in già . (Riformanze, 28 Aprile 1486). Vannino e Bernardo, lombardi, ebbero a cottimo la costruzione di un torrione rotondo, presso «la Sportella», (canale di scarico delle acque del Clitunno, che azionano anche ora i molini lì presso) e di un «rivellino» fuori della Porta del «Lago». (Riformanze d. a. 4 Giugno). La presenza di artisti lombardi specialmente  — muratori, scalpellini, fornaciai da calce e da mattoni  —  è segnalata anche a Trevi, come in tutta l'Italia centrale. Dai documenti dell'archivio comunale e di quello notarile, dal 300 in poi, abbiamo assai spesso notizie di questi «maestri» che esercitarono a Trevi l'arte loro. più d' uno si accasò e si stabilì nel nostro comune.

Questa immigrazione di lombardi risale, probabilmente, agli ultimi secoli del l'impero romano. Gente laboriosa, frugale e intelligente affluiva colà dove la mano d'opera era più ricercata. (Bartolomeo Nogara, S.S. Ambrogio e Carlo al Corso, Roma, Casa editrice «Roma». (s.a. ma 1923, pag.3)


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degli appaltatori la cava dell'arena. Il prezzo della «tribuna» fu fissato a 40 «fiorini» complessivamente. Quello del anuro a 12 «fiorini» la «pertica», come per il passato. Se gli «operai» provvedevano al trasporto del materiale, la spesa relativa doveva detrarsi dal prezzo convenuto nel cottimo. A garanzia dell' impegno preso, i due lombardi si obbligano e giurano di stare ai patti, e, in mancanza, di pagare una penale di 50 «ducati».

Il contratto fu stipulato con i suddetti «maestri» dal cavaliere e dottore Nicolò Leli e dal nobil uomo Pierfrancesco Lucarini, sindaci e «operai» delle «Lagrime», anche a none dei loro colleghi. Furono presenti all'atto Lucarello Petri, priore per il «terziero di castello» e i testimoni Fiorabbraccia, Fiordj, ser Giovanni Antonio Serafici e ser Filippo Angeli, tutti di Trevi (1).

L'importanza di questo documento sta anche in ciò  che è l'ultimo contratto stipulato dal comune e dall' «opera» delle «Lagrime».

 

* * *

Tutta, la gestione del comune e della «Società» delle «Lagrime» si chiude con un documento del 30 Decembre 1500, che è la liquidazione finale: «conto, saldo et ragione», tra, Pierfrancesco Lucarini per le «Lagrime» e i due lombardi, M°: Vannino e M°: Bernardo. Il conto è redatto da Benedetto di Messer Gregorio Petroni.

Da questo conto risulta che, fino a quel giorno, i due muratori avevano lavorato 14 «pertche» e 74 «piedi» di muro. Avevano pure eseguito lavori di rifinitura (aconcime) alla cappella della Madonna e alla casa del cappellano. In totale dovevano avere 277 «fiorini» e 22 «bolognini». Però avevano avuto parecchie somme in conto, nonché grano, olio, stoffe ecc. per un totale di 267 «fiorini» e 22 «bolognini». Sicché, alla chiusura del conto, restavano ad avere soltanto 10 «fiorini».

E i lombardi approvano il conto definitivo; onde il Lucarini, soddisfatto, di suo pugno scrive: «Et io Pierfrancisco de messer Francischino, operario ò facto questo conto con Benedicto de Mess. Gregorio et venuto d'acordo con loro et con Sancta Maria; ipsi forono satisfacti della Madonna et loro della. Madonna (sic) per insino a questo dì dicto de sopra ... restano ad avere dalla Madonna fiorini dece ad 40 [bolognini] p[ro] fl[oreno]».

Nonostante tutta la buona volontà del comune e degli «operai»

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(1) Archivio delle 3 chiavi, N. 170.


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la fabbrica non progrediva molto rapidamente; tantoché nel 1500  — quando vennero i Canonici Regolari Lateranensi  —  la chiesa era alzata soltanto della metà  ma erano già fatte le due porte. Così annotava uno dei religiosi in un suo foglio di notizie, che risulterebbe scritto nel 1629.

 

* * *

Il comune credeva che, affidata la chiesa ad una congregazione religiosa, anche i lavori ne dovessero avvantaggiare; e, consegnandola ai Canonici Regolari Lateranensi, faceva la previsione che tra quattro anni la chiesa potesse essere ultimata. Ma non fu così !

Infatti, dai non molti documenti che ci restano dell'antico convento e da quelli che lo storico di Trevi, Durastante Natalucci, ebbe occasione di consultare quando l'archivio delle «Lagrime» era ancora intatto, risulta che le pareti furono ultimate nel 1510; le vòlte furono costruite nel 1511. Il tetto fu fatto nel 1514; nel quale anno fu anche completato il finestrone biforo, in fondo alla chiesa. I lavori di rifinitura, cioè intonachi delle pareti ed ammattonati, furono completati negli anni dal 1520 al 1522.

Insieme alla fabbrica della chiesa si lavorava anche a quella del convento, negli anni dal 1514 al 1520. La cisterna, che è nel chiostro. fu scavata nel 1515 e 16. E di questa stessa epoca deve, quindi, essere l'elegante puteale che la chiude, del quale parlerò tra poco.

Il muro che recinge tutto lo spazio occupato dalla chiesa, dal convento e dal terreno annesso fu costruito negli anni dal 1502 al 1512.

 

* * *

Con tutto ciò  i lavori non potevano mai dirsi terminati. poiché abbiamo memoria che nel 1561 il procuratore del convento stipulava un contratto per fornitura di pietra con un tal «Rossetto» da Bovara, al quale si fissava un salario mensile di 3 «fiorini» e 6 «bolognini». E così pure nel 1562 è notata una spesa di 8 «fiorini», 37 «bolognini» e 6 «denari» pagati a un tal «Turco» fornaciaro, per 50 «coppe» di calce e 2000 mattoni.

Di questa nostra chiesa, dunque, possiamo con certezza precisare quando fu messa la prima pietra; ma non possiamo con altrettanta certezza indicare quando i lavori potessero in realtà dirsi del tutto compiuti.

In ogni modo, da quanto ho detto fin qui, mi pare si possano con sufficiente chiarezza ricostruire tutte le vicende che accompagnarono il sorgere ed il crescere di questo insigne monumento.


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* * *

Con l'andare del tempo esso dovette subire danni non lievi, sia per i terremoti, più  volte ripetutisi, sia per mancata  manutenzione a causa delle modeste risorse di cui si poteva disporre.

La più antica memoria che abbiamo, relativa ai danni arrecati dai terremoti alla chiesa ed al convento è quella lasciataci da D. Raffaello da Savignano, uno dei Canonici delle «Lagrime». Egli scriveva:

«A dì 24 di Novembre 1592, il Marte sera a tre hore di notte et vicino alle quatro, la vigilia di Santa Caterina. Essendo il padre D. Gio: Battista da Verona, preposto del monastero di S. Maria delle Lagrime, et il P. D. Celso da Verona. et io D. Raffaello da Savignano insieme a tavola nel refettorio, venne un terremoto tanto grande che fece creppare le moraglie di detto monasterio.

Crepporno tutti i vòlti della chiesa del convento e cascorno tanti calzenazzi che in tutto passavano duoi sonane (some). Et anco crepporno le pietre di marmo sopra le porte della chiesa e sopra l'occhio grande della chiesa: sopra la porta grande caderono molte pietre rutte.

Di più seguì  la notte detto terremoto, tirando da 50 volte et più  ma non con tanto ìmpito, perché haverebbe gettata a terra ogni fabbrica.

Di più detto terremoto gittò terra in Trevio una casa intera, dove fu trovato un giovane sotto cinque solari et fu trovato vivo, senza male alcuno*.

Item nota come la comunità di Trevio fece comandare la festa di Santa Caterina.

Item seguì detto terremoto per molti giorni, dove fu necessario dormire fuori di casa, per molte notti, non essendo sicura la casa. Fu anco necessario dormire nella stalla in terra, perché non si trovava luogo più  sicuro.

Fu in questa terra per questa causa fatta l'oratione delle quaranta hora; et bisognò andare D. Gelso et io alle processioni, insieme con Frate Vincenzo da Vicenza, che portava la Croce.

A S. Pietro di Bovara fu fatto gran danno et essi padri vi furono alle processioni (sic)» (1).

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(1) (Archivio delle 3 chiavi - N. 518). Questo documento fa già pubblicato in Atti dell'Accademia dei Lincei (Anno CCXCIII, 1896 - Serie 5a - Memorie della Classe scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol: II, p. 167) dal Prof: Torquato Taramelli, nel suo studio: Dei terremoti di Spoleto nell'anno 1895.

* Il Natalucci (Historia.. di Trevi) riferisce l'episodio occorso a Ortenzo Origo, ma nell'anno1590.


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Nel 1703 un altro terremoto, arrecò nuovi danni, come ebbi già ad accennare (1).

É da credere che, per le cattive condizioni economiche, la chiesa, così danneggiata, non venisse restaurata che poco e male. Sta in fatto che nel 1733 il papa Clemente XII, avendo avuto occasione di visitare il santuario, ad istanza di Mons: Lodovico Valenti, volle a sue spese venire in aiuto della chiesa, che era cadente per vetustà. Un'iscrizione, che riporteròa suo luogo, ci ha tramandato la memoria di questo intervento benefico del papa Corsini.

Non molti anni appresso — nel 1752 — nuovi terremoti devastarono Trevi ed arrecarono altri danni alla nostra chiesa; ma furono abbastanza prontamente risarciti. Gli ultimi restauri rimontano alla seconda metà del sec. XIX, quando la chiesa ed il convento furono consegnati ai padri Redentoristi o Liguorini. Tali restauri furono eseguiti a tutte spese del P. Donglas, di nobile e ricca famiglia della Scozia. Egli, da protestante convertitosi al cattolicismo, fu dapprima francescano; poi — per la sua cagionevole salute — passò tra i Liguorini.

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(1) Cfr. sopra pag. 77 (erronemente nel testo: pag. 180)

 

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 — pagg. da 64 a 82).

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