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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime

X     IN CERCA DI UNA FAMIGLIA DI RELIGIOSI

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 — pagg. da 83 a 88)

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Nel breve d'Innocenzo VIII, poco sopra citato (1), si fa cenno della possibilità di collocare presso il nascente santuario delle «Lagrime» una famiglia di religiosi. Ma questo accenno del documento pontificio è preceduto da un altro atto del 20 Marzo 1486 (2) stipulato quando si adunarono gli XI deputati alla cura delle «Lagrime», insieme ai priori del comune, per discutere sul modo migliore di onorare la Vergine nel nuovo santuario. Dopo lungo di battito decisero di dare incarico a tre di loro, cioè a Giovanni di Francesco Valenti, a Gregorio di Tommaso Petroni ed a Bartolomeo di Franceschino Lucarini, perché s'intendessero coi monaci benedettini di Monteoliveto, per vedere se fosse possibile unire l'abbazia di S. Pietro di Bovara, di cui essi erano già in possesso fino dal 1484, al nuovo santuario delle «Lagrime». Condizione principale ed espressa doveva essere che i monaci fossero obbligati di risiedere presso l'erigenda chiesa e non a Bovara.

Non è qui opportuno narrare le vicende di queste trattative, che furono lunghe e laboriose, quantunque non conducessero al fine desiderato. Mi riservo però di tenerne parola più oltre. Intanto si noti la sollecita e saggia determinazione del comune e dei deputati alla chiesa di voler affidare ad una congregazione religiosa il nascente santuario.

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(1) Cfr. sopra, pag: 53.

(2)Archivio delle tre chiavi N° 155 f: 37.


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 Il comune e gli altri intuivano chiaramente che le sorti della futura chiesa sarebbero state meglio assicurate, se presso di quella vivesse e per essa soltanto e dei suoi beni, una famiglia di religiosi. Vedremo come il tempo desse ragione a quei prudentissimi uomini, tantoché fin'anco ai tempi nostri si è veduto fare il medesimo in simili circostanze.

E tanto più era giustificata l'iniziativa presa, in quantoché per l'unione della ricca abbazia di Bovara alla modesta fortuna della erigenda chiesa delle «Lagrime» si veniva ad assicurare a questa, e perciò al culto della Vergine, di cui i reggitori di Trevi, come il popolo tutto, erano allora tenerissimi, una vita diuturna e decorosa.

Ma benché non fosse in seguito possibile intendersi con gli Olivetani, tuttavia il comune volle fino da allora procurarsi il consenso della autorità pontificia, per ogni buon fine, per il collocamento di essi o di altri religiosi, presso il nuovo tempio. Infatti il 2 Settembre 1486 (1) gli XI della «Società» delle «Lagrime» si adunarono per deliberare di dare incarico al dottore Gregorio di Tommaso Petroni, procuratore dei monaci Olivetani, di fare istanza, presso la curia, romana, per avere il permesso di costruire una chiesa in onore della Madonna delle Lagrime, ed anche un monastero, e di poter 1'una e l'altro consegnare ad una qualsiasi famiglia di religiosi, nonostante l'unione, che a quell'ora era già stata ottenuta., dell'abbazia di Bovara alle «Lagrime» salvo farsi rimborsare da chiunque verrà, la metà delle spese incontrate per la bolla dell'unione.

Ma poiché i documenti abbondano e il tema è interessante sotto varii aspetti, esporrò più avanti, come ho già accennato, quanto fu discusso tra il comune e i monaci di S. Maria di Monteoliveto. Ma pur lasciando momentaneamente da parte questo episodio della nostra storia, dirò che sempre più chiara appariva agli occhi dei trevani la necessità di affidare quel luogo sacro ad una famiglia di religiosi.

 

***

E bene erano previdenti. Infatti, dopo pochi anni, le cose volgevano a male. Quali le cagioni non sappiamo, anche per la deplorata lacuna che è nei documenti municipali dal 27 Settembre 1489 al 3 Novembre 1493. Ma il fatto è che non soltanto nel popolo si era affievolita la devozione, ma anche gli addetti alla custodia del tempio non erano più quelli dei primi anni, né, come quelli, solleciti e coscienziosi.

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(1) Archivio delle tre chiavi No 155 f, 49.


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 Troviamo in un verbale del 16 Marzo 1494 dichiarazioni esplicite su ciò  poiché in esso si parla chiaramente di devozione scomparsa, per la cattiva cura degli uomini addetti alla chiesa delle «Lagrime».

Ma da tale rilassatezza era derivata una conseguenza inaspettata. Il vescovo di Spoleto voleva è facile dedurlo da questo documento affidare la chiesa a qualche sacerdote secolare. Ma il comune di Trevi intui il pericolo; e, geloso della devota iniziativa dei suoi cittadini, nonché della propria indipendenza, confermò quel giorno che la cura della chiesa doveva essere piuttosto affidata a religiosi, che a preti secolari. E, fieramente rivendicando al popolo trevano il merito e la proprietà di quanto aveva donato alla nascente chiesa, il consiglio affermò alto che «nessuno doveva mettere la falce nella messe altrui»!(1). E si decise di mandare oratori al vescovo di Spoleto, dal quale si attendeva l'ultima parola, per poi sottoporre al consiglio i capitolati per i religiosi.

 

* * *

Ma si era già al 1495, dieci anni dopo la manifestazione prodigiosa, e non si era venuti a capo di nulla. Onde, ritornando sull'argomento il 12 Aprile di quell'anno, il consiglio elegge tre uomini perché vedano e riferiscano sul da farsi per la cappella della Madonna.

Il lettore avrà già notato come, anche di que' tempi, si ricorresse spesso e volentieri all'espediente di nominare commissioni ; sono, dunque, queste una piaga secolare di tutte le pubbliche amministrazioni! Ma, per la verità è da. riconoscere che allora gl'incaricati davano presto e bene conto dell'opera loro e riferivano e suggerivano con premura e con senno.

Infatti. quei tre commissarii pochi giorni dopo, cioè il 26 Aprile, proponevano al consiglio di trovare una religione di mendicanti che potessero e dovessero stare e dimorare presso la cappella delle «Lagrime», menando vita religiosa e casta, e che uno di essi fosse lì in permanenza e tenesse nota degli incassi e delle spese. E il consiglio approvò.

Con quale ordine religioso si svolgessero le trattative non sappiamo, poiché di ciò non è traccia negli atti municipali. Ma la conclusione non venne sollecita. Onde le cose continuavano a prendere

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(1) Quia consonum videtur ne quis in segetem alienam falcem immittat. (Archivio delle 3 chiavi. N° 104; f; 27 t.)


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cattiva piega, come avevano incominciato già da qualche anno. Lo dice chiaramente un verbale della seduta consiliare del 15 Ottobre 1487, nella quale si doveva discutere dei provvedimenti per la nostra chiesa «che pare quasi abbandonata e nessuno si dà cura di essa ; onde occorre affidarla a qualche famiglia di buoni religiosi. C'è pericolo di veder finire ogni devozione; tanto più che vediamo la chiesa diminuire nel culto e non progredire negli abbellimenti. Occorre, dunque, provvedere».

Questo era il prolisso e ragionato «oggetto» posto con gli altri all'ordine del giorno del consiglio; il quale approvò la proposta. presentata da Pierfrancesco Lucarini di dare incarico ai priori, perché nominassero una commissione di nove membri il solito rimedio! con mandato di studiare la questione e vedere a quale congregazione religiosa potesse darsi ed allogarsi la chiesa, con la maggiore soddisfazione del popolo trevano. E la commissione, insieme ai priori, redigesse il capitolato coi religiosi, e riferisse in consiglio tutto ciò che avessero fatto; e non prendesse alcuna decisione, né facesse alcuna concessione senza il parere del consiglio generale, dal quale il capitolato doveva essere approvato.

* * *

I priori il 16 Ottobre nominarono la commissione, la quale fu sollecita nel fare il suo dovere; tantoché il giorno seguente fu redatto il capitolato; non solo: ma scelta anche la famiglia di religiosi da collocarsi alle «Lagrime». E furono quelli dell'Osservanza di S. Agostino. Per essi si presentò il P. Giovanni da Perugia, predicatore, per incarico del P. Mariano da Gennazzano. E si conviene che al P. Giovanni si consegni la chiesa con i suoi diritti e con le prerogative che su di essa ha il comune di Trevi, ai seguenti patti:

1°) Gli Agostiniani si obblighino di ottenere dal papa le indulgenze plenarie a culpa et a poena, una volta all'anno, nel giorno della festa delle «Lagrime». E ciò a tutte spese della chiesa e dei frati.

2°) Debbano vivere ed abitare di continuo in famiglia ed in pace, presso la chiesa, tanti frati quanti saranno necessarii, buoni, dotti ed autorizzati a confessare e predicare. Dovranno celebrare le messe e le altre funzioni ecclesiastiche e conventuali, in perpetuo, da buoni religiosi.

3°) Finita la fabbrica, della chiesa, del convento e di lutto il re-sto necessario, i denari che avanzeranno si spendano in acquistare tanti beni stabili per la chiesa.

4°) Il comune di Trevi possa in perpetuo eleggere ed incaricare


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un camerlengo che tenga la cassa per l'entrata e la spesa; e ogni anno estratto a sorte dal comune, e debba alla fine dell'anno render conto ai priori del comune ed ai frati; e non abbia merce per l'opera sua.

5°) Si facciano le chiavi dei «ceppi» e delle cassette delle elemosine; e siano due: una per i priori, una per i frati.

6°) L'introito della cera e delle messe si spenda dai frati a lo piacere, per loro uso e sostentamento.

7°) Nessuno potrà costruire fabbriche presso la chiesa, ad una distanza minore di 100 «piedi di pertica trevana».

8°) 1 frati dovranno provvedere a quanto sopra ed a quanto potrà occorrere, a spese della chiesa.

9°) Si mandino oratori al vescovo di Spoleto, per domandargli licenza ed approvazione, come altra volta, si dice essere stato fatto

Con grande premura si convocò il consiglio cinque giorni dopo il 22 Ottobre perché approvasse tali «capitoli». E ser Moscone di ser Antonio propone si approvino così come sono. E la chiesa s'intenda data e concessa e sia di pieno diritto dei frati di S.Agostino. E per essi accetta il P. Giovanni da Perugia, che era presente in consiglio. Salva l'approvazione del vescovo di Spoleto. Se la negasse, il comune si adoperi con tutte le forze per ottenerla. E tutte le spese siano a carico della chiesa.

Parrebbe, dunque, che tutto fosse sistemato. Invece tutto fu inutile; né sappiamo perché Sta in fatto che gli agostiniani non vennero mai alle «Lagrime». O fosse per la mancata approvazione dei «capitoli» da parte del vescovo, o che ai superiori dell'ordine sembrassero troppo gravosi : certo si è che la cosa fini li; ma documenti non abbiamo che ci diano del fatto una qualche spiegazione; poiché  neanche nell'Archivio generale dell'ordine degli agostiniani in Roma esistono tracce di queste trattative tra il comune e quei religiosi(1).

Ma per quanto questo capitolato sia rimasto lettera morta, pur si presta a qualche utile considerazione storica, che vale a confermare sempre più l'opinione che dobbiamo avere dell'accortezza amministrativa e del senso pratico ai quali i nostri avi si ispiravano nell'interesse del comune. A parte le minuziose cautele per assicurare la regolarità </font>

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(1) Esprimo qui le più vive grazie al dotto e cortese P. Saturnino Lopez O. S. A. custode di quell'archivio, per il grazioso aiuto prestatomi in queste ricerche.


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del maneggio dei denari, il comune si mostra anche in questo atto geloso custode delle sue prerogative e del suo prestigio. Onde, di fronte ai religiosi nuovi venuti, esso vuol mostrarsi sempre il vero dominatore della situazione. E qui mi sorge il dubbio che a questo sentimento che chiaramente trasparisce da tutto il contesto del capitolato debba attribuirsi la mancata venuta degli agostiniani alle «Lagrime»: poiché sembrò  forse, ad essi non abbastanza indipendente la loro posizione di fronte al comune.

Un'altra osservazione viene spontanea nel leggere questo documento. Il comune insiste ripetutamente sulle buone qualità morali dei frati, che chiamava nel suo territorio. Vuole che questi vivano in pace e siano buoni e dotti e sappiano predicare e adempiere gli esercizi del culto.

E non si dimentichi che fino da quando il comune si mise la prima volta alla ricerca di una famiglia di frati da collocare alle «Lagrime», si preoccupò del fatto che questi menassero vita religiosa e casta (1).

Queste precauzioni esposte senza ambagi negli atti del comune potrebbero sembrare fuor di luogo, se non si tenesse presente la invadente rilasciatezza dei costumi nel clero secolare e regolare, al tempo in cui si svolgevano i fatti che vengo narrando. In mezzo a mirabili esempi di virtù non mancavano erano, anzi, frequenti gli scandali e le irregolarità. Di che abbiamo esempi e documenti anche negli atti del nostro comune.

Cominciava, insomma, e si aggravava. giornalmente quella corruzione e quella mondanità del clero, che non molti anni più tardi nel 1535 Paolo III doveva energicamente reprimere (2).

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(1) Cfr: qui sopra pag: 84.

(2) L. PASTOR Storia dei papi, trad : Mercati, Roma, Desclée, 1918, Vol : V° pag: 99 e segg.

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 pagg. da 83 a 88)

 

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