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Sant'Emiliano
la storia e il culto
Don Aurelio Bonaca, Il
martirio di S. Emiliano vescovo di Trevi, Spoleto,
1935.
Passio Sancti Miliani Martiris,
estratto da"Trevi antica" di C. Zenobi, 1995.
(Conversazione tenuta il 26 gennaio 1976 nella Chiesa di S. Emiliano in Trevi in occasione della PEREGRINATIO delle RELIQUIE di S. Emiliano per le chiese parrocchiali del Comune)1
1)Ritenendo
di dover far meglio conoscere l'aspetto storico di S. Emiliano,
l'allora parroco don Tommaso Chianella invitò l'avvocato Carlo
Zenobi a fare un quadro comprensibile ma esaustivo della figura del
Santo. Ne scaturì questa conversazione tuttora valida per la divulgazione
delle conoscenze storiche. Purtroppo lo scritto non può trasmettere la
comunicativa dell'oratore.
2)Don Eugenio Venturini, (La parrocchia di S. Croce, Ms) riporta l'opinione dell'ing. Stocchi secondo cui le primitive mura di Trevi sono opera romana. Don Aurelio Bonaca, parroco anch'esso di S. Croce, riprese la tesi in Le memorie francescane di Trevi, mentre tutti gli altri Autori davano per certa l'esistenza dell'antica Trevi a Pietrarossa. Nel 1974 il prof. Sensi (Luigi Sensi, Trebiae, in Quaderni dell'Istituto di Topografia Antica dell'Università di Roma, VI, 1974) attribuì autorevolmente le mura di Trevi all'epoca romana. Ma quando Zenobi scriveva questa conferenza il testo del Sensi non era ancora conosciuto a Trevi |
1- DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO A TREVI Grazie alla via Flaminia che univa la nostra regione a Roma, il cristianesimo si diffuse rapidamente anche nell’Umbria; né poteva rimanere indietro nella evangelizzazione della nostra Trevi che, sin dai primi secoli dell’Impero, godeva di un certo prestigio e benessere. Gli abitanti erano già ascritti tra i cittadini romani e Trevi era già giunta a tal grado di sviluppo da avere anche un teatro e, dove è ora la località di Pietrarossa, terme e ville. Rendono di ciò testimonianza Plinio, Svetonio e la bella epigrafe del cippo dedicato a Lucio Succonio decurione, console e pontefice di Trevi. Secondo Svetonio l’imperatore Caligola venne nel nostro territorio per onorare il dio Clitunno, risalendo il Tevere ed il fiume Clitunno, fiume allora navigabile e che poi, a seguito dei terremoti del 361, 365 e 446 assunse presso a poco l’attuale modesto assetto. Un accenno alla Trevi romana, che ci servirà per meglio ambientare la vita, il martirio e la morte di Emiliano. Trevi, è mia personale convinzione2, si trovava in cima alla collina, come in cima a colli si trovavano tante città umbre (Spoleto, Todi, Amelia, ecc.) alle quali città, proprio per la loro naturale difesa, davano tanta importanza anche i Romani. La conferma di questa ubicazione l’abbiamo dallo stesso Plinio il quale parla di templi, terme ed altre costruzioni lungo il Clitunno, ma non di una civitas e del resto è logico pensare che se in Pietrarossa fosse esistita la civitas Trebiae, Augusto non avrebbe certamente donato le terme di Pietrarossa alla non tanto vicina città di Spello. Dunque, per così felice situazione ambientale, certamente il cristianesimo giunse ben presto a Trevi. La tradizione ci dice che nel 199 Feliciano vescovo di Foligno evangelizzò la popolazione trevani, inducendola a demolire il tempio, che esisteva nel sommo della collina, dedicato a Diana Trivia e ad innalzarne un altro alla Trinità. |
2 -PRIMO VESCOVO DI TREVI In seguito (ben si può ritenere proprio per il gran numero di cristiani) Trevi ebbe il suo primo vescovo in Miliano, consacrato da papa Marcellino nel 296. Era Miliano (solo molto recentemente chiamato Emiliano) un giovane venuto dall’Armenia, attratto, come tanti altri giovani delle regioni orientali, dalla luce di Roma ravviata dal prorompente cristianesimo. Con Miliano erano venuti a Trevi tre suoi compagni: Ilariano, Dionisio ed Ernippo, che seguirono il nostro Santo anche a Trevi. Alla tradizione dobbiamo dare grande spazio di credibilità e per il tempo a cui si riferisce, e perché molto spesso avvalorata dal postumo rinvenimento di documenti che la confermano in pieno sul piano storico, come in parte è avvenuto nelle vicende che ci accingiamo a narrare. «Ite et docete omnes gentes»: e gli apostoli intrapresero viaggi per ogni parte del mondo: Spagna, Fenicia, Siria, Cipro, Ponto, Galizia, Cappadocia, Asia proconsolare, Bitinia. Ala fine del primo secolo anche l’Acaia, la Macedonia, l’Epiro, l’Illirico, L’Egitto conoscevano il cristianesimo; a maggior ragione dobbiamo ritenere che esso fosse già molto diffuso nelle regioni vicine a Roma. Scriveva Tertulliano alla fine del secondo secolo: “ siamo sorti appena ieri e già abbiamo invaso tutto ciò che è vostro: città, isole, castelli, municipi, luoghi di convegno, gli stessi accampamenti, le decurie, la reggia, il senato, il foro. Vi abbiamo lasciato soltanto i templi”. |
3 - LE PERSECUZIONI Ma proprio questa portentosa diffusione, con il fermento della nuova vita che portava, diede origine alle persecuzioni. La storia le ha catalogate in dieci. Quella che a noi interessa in questo momento è la decima, l’ultima, quella di Diocleziano, perché nel corso di questa patì il martirio il nostro Miliano. Molti furono i martiri in Umbria, come in tutto l’Impero; ma non se ne conosce il numero e della maggior parte neppure il nome. Di alcuni però se ne ha la certezza storica e gli “acta martyrum”, le “passiones”, le “legendae”, anche se hanno ricamato un po’ il fondo storico, sono validamente confermate dalla tradizione e dal culto. Un breve cenno sulla persecuzione che va sotto il nome di Diocleziano. Il 23 febbraio 303 fu pubblicato a Nicomedia dall’imperatore Diocleziano l’editto della persecuzione: le chiese dovevano essere demolite, i libri cristiani bruciati, i beni confiscati. I giudici dovevano accogliere ogni accusa contro i cristiani; chi rifiutava di sacrificare agli dei doveva essere severamente punito, anche con la morte; gli schiavi fatti liberi dovevano essere di nuovo fatti schiavi se cristiani. A questo primo editto ne seguirono altri, sempre più feroci e grande fu il numero delle vittime, tanto che questo periodo fu chiamato “era dei martiri”. È vero che Diocleziano non fu per sua natura persecutore. Seguace di un deismo largo e tollerante, preoccupato in gravi affari di governo, per lungo periodo lasciò in pace i cristiani. Fu il cesare Galerio, uomo sanguinario, figlio di una fanatica adoratrice delle divinità pagane, ad ottenere dal già vecchio e debole Diocleziano gli editti: la persecuzione fu crudele e venne caratterizzata dalla molteplicità dei supplizi. Presiedeva sul territorio di Trevi Massimiano, proconsole. Ordinata la persecuzione, è logico che non poteva sfuggire il fervore portato dal giovane vescovo di Trevi nella evangelizzazione; quindi Miliano venne arrestato e condotto davanti al proconsole stesso. |
4 -IL MARTIRIO Qui ha inizio il martirio narrato dalla Passio Sancti Miliani. Uno di questi documenti è contenuto nel Lezionario Secondo del sec XII che trovasi nell’Archivio Capitolare di Spoleto. Altra copia è a Montecassino ed è databile intorno al Mille. Con dovizia di particolari ci vengono narrati gli interrogatori, i supplizi, la morte e i miracoli susseguitisi durante la passione. Sintetizzo: Non intendendo sacrificare agli dei, e rispondendo Miliano con forti parole al proconsole, viene fustigato. Resistendo agli effetti della punizione viene posto sul cavalletto di tortura e gli vengono accostate ai fianchi le torce ardenti: ma le mani dei carnefici inaridiscono e le fiaccole si spengono. Massimiano allora fa preparare una caldaia di piombo fuso e ordina di gettarvi Miliano; ma al contatto del martire il piombo si raffredda. Pensa allora il proconsole di destinare Miliano in pasto ai leoni, e dare così anche spettacolo nel teatro, ma le fiere si mostrano mansuete e non aggrediscono il Santo, il quale prende occasione, come in ogni supplizio, per rimproverare la condotta del proconsole ed inneggiare alla fede in Cristo. Ma bisognava pur vincere il martire per non esserne vinto e Massimiano condanna Miliano all’orrendo supplizio della ruota. Consisteva questo nel legare il condannato ad una specie di grossolana ruota di legno e far precipitare il tutto in una china, ma il miracolo ancora si ripete: Miliano si ritrova sciolto ed illeso mentre la ruota travolge i carnefici. Neppure la condanna all’annegamento nel fiume Clitunno ha esito perché il Santo viene anche qui miracolosamente salvato. Ed infine la decapitazione, previo supplizio dell’attanagliamento con gli “scorpioni” (rudimentali uncini di ferro, quelli stessi che si possono osservare nell’urna delle reliquie, rinvenuti con le reliquie stesse) con i quali si stappavano le carni al suppliziando. La decapitazione viene eseguita con il martire legato ad una giovane pianta di olivo, in località Carpiano o Carciano, a tre miglia da Trevi: così dice la passio.
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5 - VALIDITA’ DELLA PASSIO Ancora un’osservazione sulla Passio. È vero che la Passio è stata indubbiamente un po’ infiorata, ma penso, infine, non tanto. Si sa che la finalità dell’agiografo è quella di edificare il lettore e quindi, a dimostrazione della potenza di Dio realizzata attraverso la manifestazione della fede incrollabile del martire, i miracoli si moltiplicano come si moltiplicano i tormenti ai quali il martire resiste sempre vittoriosamente perché si dimostri, come realmente è, che la fede è sempre vittoriosa. Ma il fondo storico rimane sempre. Esaminiamo rapidamente la molteplicità dei tormenti. Sappiamo che la persecuzione di Diocleziano venne caratterizzata da tale molteplicità e, nel caso in esame, certamente interessava di più al proconsole o a chi per lui, la apostasia del martire che la morte, proprio perché si trattava del capo della cristianità locale. E ancora: “Ivit ad Theatrum”. “Andò al teatro” dice la Passio quando il proconsole, condannato Miliano alle fiere, va a godersi lo spettacolo; e Trevi, è storicamente certo, aveva all’epoca un teatro. E la località Carciano non è forse a circa tre miglia da Trevi e circa mezzo miglio dal Clitunno? E lì non esiste forse quella pianta di olivo, certamente ultramillenaria e rinata su una ceppaia di un preesistente olivo che la tradizione ha sempre indicato come l’olivo di Sant’Emiliano? Cerchiamo di spiegarci infine perché la sentenza capitale venne eseguita nella località di Carciano, distante tre miglia circa da Trevi. La località anzidetta era senza dubbio meta di attrazioni: nei pressi trovatasi l’emporium ed i buoi (ricordati nel nome Bovara) per i sacrifici clitunnali; lì v’erano sicuramente templi alle divinità (i resti dei quali si possono ancora vedere nella chiesa di Bovara); il Clitunno scorre ai piedi della località e proprio lì cominciava la parte del fiume ove era lecito prendersi ogni divertimento nelle acque e lì prossimo, penso, era il teatro: fa ritenere ciò il dolce declivio collinare e la posizione sempre allietata dal sole (notate come Trevi, dal primo insediamento al sommo della collina, si è poi estesa solo nel lato verso Bovara). Con la scelta della località si era forse voluto dare spettacolo e importanza alla suprema pena inflitta al capo della cristianità di Trevi. |
L'anno 303 fu riportato dallo Jacobilli ed è stato
universalmente accettato. Ma come detto sopra, la persecuzione di
Diocleziano fu proclamata nel febbraio del 303 e pertanto la data del
martirio di s. Emiliano dovrebbe fissarsi al 28 gennaio dell'anno 304
(Zenobi, Trevi Antica, Foligno, 1995)
[Diocleziano (284 – 305) per un lungo periodo del suo impero non fu ostile al cristianesimo. Sembra che una nuova persecuzione dei cristiani fosse voluta dal Cesare Galerio, suo genero e dall’Augusto di Occidente Massimiano. Di fatto, negli anni 303 – 304 si succedettero diversi editti imperiali che determinarono la più cruenta di tutte le persecuzioni. L’editto del 24 febbraio 303 ordinava di distruggere gli edifici sacri, bruciare i libri e privare i cristiani dei diritti civili: erano passibili di torture e se liberti tornavano di nuovo schiavi. Il secondo editto dell’aprile 303 prescriveva la carcerazione per i membri del clero. Un successivo editto concedeva la liberazione ai prigionieri cristiani che rinnegavano la fede, mentre si doveva procedere con crudeli torture contro gli altri per costringerli ad abiurare. Un quarto editto nella primavera del 304 esigeva da tutti i cristiani un atto di sacrificio agli dei pagani. Sotto Massenzio (311), furono restituiti ai cristiani gli edifici in Roma; l’editto di Milano (313) sancì la tolleranza della nuova religione che però in Oriente, sotto Licinio, ebbe di nuovo momenti di ostilità fino alla completa libertà di culto con la vittoria di Costantino su Licinio nel 324. (da: G.P. Kirsch, in E.I., s.v. Persecuzione).]
Riformanze: diremmo oggi atti del Consiglio Comunale, equivalenti talvolta a leggi vere e proprie.
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6 - SEPOLTURA Termina così la Passio: «Venerunt cristiani et tulerunt corpus eius et sepelierunt eum die quinto kalendas februarii». Vennero i cristiani e presero il suo corpo e lo seppellirono il giorno quinto delle calende di febbraio, cioè il 28 di gennaio, il giorno nel quale è da sempre, celebrata la festa di S. Emiliano. Siamo nell’anno 303. «Vennero i cristiani e presero il suo corpo e lo seppellirono». È risaputo che i Romani concedevano, senza difficoltà, il corpo del giustiziato ai parenti o agli amici. Si pensi, a conferma, alle catacombe. Ma dove venne sepolto il corpo di Miliano? Ritengo che si debba rispondere: a Trevi, come porta ogni logica deduzione. Dieci ani dopo, nel 313, l’editto di Costantino concede la libertà alla Chiesa. È facile immaginare come esplose pubblicamente la venerazione per le sacre spoglie. Perché allora per tanti secoli non se ne seppe più nulla? È la vicenda occorsa a tante reliquie di martiri. A seguito della calata dei popoli nordici, che tanta bramosia avevano delle reliquie dei santi, i devoti furono costretti ad occultarle per evitarne la rapina. Dobbiamo quindi ritenere per certo che i Trevani, non più sicuri delle loro forze di fronte allo stragrande numero e alla potenza degli invasori, ritennero necessario trasferire le reliquie di Miliano a Spoleto, città ben munita e fortificata. [Questa tesi fu dalla stesso Zenobi successivamente modificata, ritenendo più verosimile che le reliquie di S. Emiliano fossero asportate dagli Spoletini come preda del sacco del 1214 (C. Zenobi, Trevi Antica, Foligno, 1995)] Anche qui, occultati per prudenza i resti mortali del martire, nulla più rimaneva di tangibile che ricordasse Miliano, la cui vita e martirio continuarono ad essere tramandati oralmente, da padre in figlio e, con la tradizione il culto, che possiamo definire filiale ed appassionato, di un popolo tutto. Nelle riformanze2 più remote del Comune di Trevi troviamo spesso riferimenti al culto del patrono S. Emiliano. Ad esempio, in una riformanza dell’anno 1355 (una delle più antiche pervenuteci) leggiamo il precetto a partecipare alla processione del 27 gennaio “avendola sempre fatta per consuetudine antichissima”, detto proprio così; e se diciamo antichissima a partire dal 1355, non v’è chi non intenda quanto antico davvero deve essere il culto per il nostro Santo: culto, ripetiamo, profondo e sentito perché, sempre nella detta riformanza ci si riferisce la sontuosità dei festeggiamenti: si prescrivono ben otto giorni di festa, con la corsa alla Mora o In quintana. In altra riformanza, del 1356, si parla di intervento, alla festa di S. Emiliano di diversi concerti di trombetti, di tamburi, di ciaramelle, di cetere ed altri strumenti, con la corsa del palio e la caccia al bove. Nella riformanza che riguarda la festa del 1376 è scritto che si vuole solennizzare ancora di più la festa di S. Emiliano con il farvi partecipare anche l’armata, come pure anticamente si faceva. Sembra superfluo sottolineare quell’anticamente circa la partecipazione del piccolo esercito trevano. In una riformanza del 1642 si stabiliscono le penalità per gli amministratori assenti “ritenendosi doveroso intervenire alla solenne processione chiamata nelle antiche scritture l’Illuminata. Non abbiamo le antiche scritture sull’illuminata ma forse ciò è dovuto all’incompletezza delle ricerche; è certo comunque che la processione dell’illuminata, questa manifestazione comunale di culto che si accompagnava ad una ricchissima fiaccolata, doveva essere veramente tanto antica. Anche l’arte ha sussidiato il culto. È pervenuta a noi la pregevolissima statua in pietra raffigurante S. Emiliano orante, avanti alla quale da quasi un millennio sono passati tutti i trevani; poi, dal secolo XV, il bassorilievo rappresentante il santo tra i leoni, bassorilievo che prima faceva parte di una ricca composizione architettonica nella piazza comunale e che ora arricchisce il portale del duomo. È del Melanzio il dolce S. Emiliano che ancora si può ammirare affrescato nei resti della antica abside di sinistra. Nel 1612 venne ordinata dal Consiglio Comunale la statua in legno, quella che si vede sempre esposta nella navata destra della chiesa, la quale statua venne condotta a Trevi nel 1615 con straordinaria allegrezza e sparo di artiglieria. |
Statua di S. Emiliano.
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7 - LE RELIQUIE 1660. Anno importante nella storia di Sant’Emiliano: l’anno del ritrovamento delle reliquie. Nell’urna che attualmente le contiene vi è una pergamena datata 11.1.1661 a firma dell’allora arcivescovo di Spoleto Card. Facchinetti che narra l’evento, evento che risulta anche da altri sicuri documenti. Nel corso di lavori di restauro del duomo di Spoleto, mentre gli operai scavavano per gettare le fondamenta di un nuovo pilastro, si trovarono alla presenza di una pietra di rilevante grandezza unita con robuste grappe di ferro impiombate ad altro grosso masso di pietra sottostante. Si pensò ad un tesoro nascosto e in effetti possiamo ben dire che di un tesoro si trattava, anche se di altro genere di quello ritenuto dagli operai. La sera del 22 aprile 1660, alla presenza del Vicario Generale, del Capitolo e del Governatore, venne alzata la grande pietra di coperture e si trovò sotto di essa l’altra grande pietra, incavata a foggia di urna, dentro la quale erano i resti di un corpo umano, due “scorpioni” di ferro, un’ampolla si vetro con sangue raggrumato ed una lamina di piombo sulla quale si legge, in caratteri miticizzanti: “Reliquiae Sancti Miliani Martiris”. Dai caratteri delle lettere si deve argomentare che la sistemazione dei resti mortali di Miliano, come rinvenuti nel duomo di Spoleto, sia avvenuta intorno al XII secolo. Va a questo punto ricordato che il duomo di Spoleto venne devastato dal Barbarossa nel 1155 ed in seguito ricostruito e riconsacrato da papa Innocenzo III nel 1198. Dobbiamo ritenere per certo che, durante i lavori, venne effettuata la ricognizione del corpo di S. Emiliano e che le reliquie, in maniera formidabile custodite, nascoste di nuovo con ininterrotto silenzio intorno alle medesime in attesa che in tempi meno torbidi rendessero possibile la tranquilla venerazione delle spoglie mortali dei martiri. Non sarà superfluo ricordare che nel duomo di Spoleto esisteva già prima del 1660 una cappella dedicata a S. Emiliano martire. Inutile dire quanta gioia portò ai trevani il rinvenimento delle reliquie del loro Patrono. Traggo da uno scritto dell’epoca, di Tolomeo Petrelli Lucarini: «… per otto giorni continui dentro e fuori di essa terra (i trevani) fecero allegare dimostrazioni di vero e santo contento, mandando essa terra e territorio ogni sera tutto in fiamme e artificiali fuochi». L’arcivescovo di Spoleto donò subito a Trevi una mascella tratta dalle reliquie rinvenute, immaginate con quanta festa portata a Trevi « nella medesima lettiga dello Eminentissimo Facchinetti ». «L’urna o cassa di pietra, dove fu ritrovato esso sacro corpo di Emiliano, per suppliche fatte a detto Eminentissimo Facchinetti Vescovo dal Sig. Capitano Trifonio Valentini fu parimenti donata a questa terra di Trevi, e fu con grandissimo stento e fatica da Spoleto a proprie spese condotta da detto sig. Capitano Trifonio l’anno suddetto 1661 e fu collocata nella chiesa della venerabile Confraternita del Santissimo Crocifisso ». Nel 1750 «fu dal pubblico e generale Consiglio fermato a pieni suffragi rinnovellare la statua e la sedia del glorioso Protettore», sono le parole del Mannocchi. Narra tutta la passione e lo studio posto per la raccolta del bozzetto della nuova statua e la decisione infine di demandare «l’opera a cotal Pietro Epifani, studioso ed abile artista che appresso un anno presentò la sua macchina compiuta e finita in legno di tiglio, superbamente dorata». La veramente bella statua che viene esposta per le festività patronali e che viene recata in processione, in quella processione dell’Illuminata che da secoli e secoli, ininterrottamente, calca lo stesso percorso corrispondente, con molta approssimazione,al circuito interno delle mura del primitivo insediamento. Il 14 settembre 1935, donate dal Capitolo Metropolitano di Spoleto, le reliquie di S. Emiliano, composte nella attuale urna di bronzo dorato, vennero solennemente traslate nel duomo di Trevi. Nell’occasione il cippo, quello rinvenuto a Spoleto nel 1660, dalla chiesa del Crocifisso venne pure traslato nella chiesa di S. Emiliano e collocato dietro l’altar maggiore. L’attuale sistemazione nell’abside di destra della chiesa del Mille risale al 1959. Così per Emiliano leggenda e tradizione si sono fuse nella realtà storica e nell’amore che i Trevani, in ogni secolo, hanno sempre tributato al loro Patrono. |
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