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Trebbiano & Food Festival -Trevi 15-16/6/2019
Il Trebbiano di Trevi
TAVOLA ROTONDA -Il Trebbiano
Spoletino, tra storia, tradizioni e nuove opportunità
Complesso Museale di S. Francesco - Sala dello Spagna - 15/6/2019,
ore 10.30
Introduzione a cura di Bernardino Sperandio,
Sindaco di Trevi.
Il Trebbiano: etimologia e fonti storico-letterarie.
- Prof.ssa Giuseppina Prosperi Valenti, già Docente di Storia
Romana presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata Roma”
L’antico legame tra Trevi ed il Trebbiano Spoletino
A.
Caterina Natalini.
Il Trebbiano di Trevi. - Franco Spellani, ProTrevi.
Il Paesaggio rurale come risorsa del territorio -Andrea
Sisti, Presidente dell’Associazione Mondiale Agronomi.
Il Consorzio Tutela Vini Montefalco e la Doc Spoleto
-Filippo Antonelli, Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco.
(Relazione di F. Spellani)
Nel 1980 l’Associazione Pro Trevi tentò
un’operazione di recupero del vitigno Trebbiano locale
principalmente per opera dei fratelli Barbini e Gastone Cecchini.
I Barbini, Alberto e Massimo, “figli d’arte” alla terza
generazione, in quanto nipoti di Cesare, cuoco che nei
primi del Novecento rilevò una trattoria di Trevi già di proprietà della
famiglia Dell’Oste (nomen omen) e figli di Francesco Barbini
che nell’immediato dopoguerra acquistò meritata fama presso una vastissima
clientela, prevalentemente romana, che venendo al paesello dalla capitale
non lo chiamava cuoco ma “er Cochetto”.
Oltre che cuoco provetto aveva fama di ottimo intenditore di vini tanto che,
per mantenere al livello delle più esigenti richieste la sua fornitissima
cantina, trattava direttamente con i maggiori produttori nazionali e
rappresentanti esteri.
Alberto, per lunghi anni consigliere della Pro Trevi e
vicepresidente, seppure con altro impiego, fu sempre interessato alla cucina
e ai prodotti tipici e Massimo, divenuto chef del Senato,
ha particolarmente curato da sempre ogni aspetto della gastronomia.
Gastone Cecchini, agente dell’esattoria comunale conosceva
personalmente – per ovvii motivi - tutti i produttori locali.
Piergiovanni Maggiolini, altro “figlio d’arte” intenditore
di cibi e di vini.
Trascinato da questi soggetti tutto il Consiglio, sotto la presidenza
Gentilucci e fortemente spinto da Antonino Di
Pietrantonio fece propria l’iniziativa.
Furono individuati alcuni produttori che vantavano una coltura tradizionale
di Trebbiano Pulito, espressione per distinguere il
trebbiano “classico” di Trevi dal Trebbiano Spoletino. Infine
aderirono 12 produttori che fornirono ciascuno due damigiane di “trebbiano”
con cui si confezionarono 1200 bottiglie sigillate, numerate e
tracciabili.
Per l’occasione fu creata un’ETICHETTA apposita.
L’iniziativa ebbe un notevole successo, offuscato però da una partita non
all’altezza delle aspettative, o per accidentale anomalo deperimento del
prodotto, o per dolo del fornitore: non è poi molto strano il fatto che su
dodici vi sia un infedele!
Di fatto, le lamentele pur legittime, ma ritenute immeritate dai volontari
organizzatori, decretarono inesorabilmente la fine dell’esperimento.
Nel frattempo l’agricoltura stava subendo notevoli trasformazioni. Nel caso
specifico gli agronomi sconsigliavano l’uso tradizionale di alberi come gli
olmi o gli aceri (chiamati localmente “bianchelle”) a cui maritare le viti o
come sostegno dei filari, che il prof. Toscano chiamò “FESTONI”, definizione
non agronomica ma straordinariamente pertinente ed evocativa.
Per evitare lo sfruttamento del terreno e l’ombreggiatura del suolo gli
alberi di sostegno vennero relegati lungo le strade o i canali e il
Trebbiano, guidato “basso”, secondo gli agricoltori tradizionalisti, produce
più grappoli ma con frutti meno turgidi e meno polposi, con conseguente
scadimento del prodotto finale, anche a causa di una raccolta precoce che
garantisce maggiore produzione a scapito della qualità.
Successive regolamentazioni decretarono una progressiva diminuzione della
viticoltura locale rispetto ai comuni limitrofi.
In seguito a tutto ciò la nostra campagna, già fortemente antropizzata da
millenni e pur tuttavia dall’aspetto di un rigoglioso giardino, sta pian
piano assumendo la morfologia delle praterie dei film americani.
Foto superiore di metà anni '50 a raffronto della situazione dei primissimi anni
2000
Immaginiamo come sarà quando finiranno quei quattro
alberi che ora svettano ad altezze innaturali.
Fino alla metà del secolo scorso, nelle nostre campagne si praticava
un’agricoltura promiscua e con più raccolti nell’anno, dovuta chiaramente
alla diversa organizzazione sociale.
Nel trevano predominava in collina l’olivo e nel fondovalle
grano, altri cereali e qualche leguminosa, il tutto tra filari di
viti. Gli alberi da frutto - e fra questi le uve da tavola - erano
prevalentemente vicino alle abitazioni, sia in collina che nel piano.
Soltanto vicino ai corsi d’acqua - peraltro un tempo molto più abbondanti –
si potevano praticare le colture ortive. Per favorire
queste, nel 18° secolo ad opera del benemerito cardinale Ludovico
Valenti, fu deviato un canale dal Clitunno per irrorare i
fertilissimi terreni a ridosso del colle di Trevi, chiamati “canapine” per
la preminente produzione di canapa, successivamente
convertiti tutti alla produzione di ortaggi,
specificatamente del rinomato “Sedano Nero”.
Ma in tempi meno recenti non era così. Come racconta lo scrupoloso cronista
locale Francesco Mugnoni le vigne erano in collina, sicuramente impiantatevi
dalle due famose abbazie fiorenti nel XIII secolo - S. Stefano di
Manciano e San Pietro in Bovara – che, qui come altrove dettero un
notevole impulso all’agricoltura.
Anco in questa nostra età dal dicto tempo in qua 1448, forono comezati ad salvare li paludi, che dal ponte del fiume de santa Maria [di Pietrarossa] verso Monte falco erano padulj et pieno de scarze: ogia dj sonno reductj ad cultura como nuj vedemo. Jtem per prima erano vigne per tutto Murj [colle sopra Bovara] et Manciano [ad oltre 500 m di quota] et Matigia: in Manciano et in Murrj non ce è niuna: sono sequite le pergole da quisto tempo in qua, che se vede omne cosa esser posto pergule.
Successivamente, - tre secoli dopo - con il
completamento delle bonifiche a valle e l’impianto di
oliveti oltre i 450 m di quota il paesaggio è andato assumendo
l’aspetto attuale.
Certo è che sia l’olio che il vino di Trevi godettero di buona fama se il
Lalli, poeta giocoso di Norcia con incarichi in Trevi, scriveva:
Han qui d'olio e di vino una fiumara,
che a poco a poco si converte in oro,
e doppioni ne cavano a migliara".
E stupisce la notizia che un secolo prima, al tempo
di Paolo III, che pure fu ospite dei Valenti a Trevi,
questa “terra” viene descritta come “luogo bello ma di tristo vino”
Che l'autore si sia imbattuto nell'antenato dell’unico produttore che fornì un
trebbiano scadente alla Pro Trevi nel 1980?
Fino ai primi decenni del secolo scorso nel fondovalle era
preminente la coltura del Trebbiano: Trebbiano Spoletino e Trebbiano
”pulito” o Trebbiano di Trevi. Tanto che un giovane agronomo,
prematuramente scomparso, forse anche su suggerimento di un suo insegnante, teorizzò che il nome derivasse proprio da
Trevi: in latino Trebia, aggettivato in Trebianus cioè “di Trevi”.
L’attribuzione, che a un primo momento sembra azzardata, non è poi così
strampalata se Plinio il Vecchio dice essere i Trevani antichissima
tribù degli Umbri: “Trebiani Umbrorum antiquissima gens” e
se erano antichissimi 20 secoli fa… probabilmente erano più antichi del
Trebbiano, tanto da dare ad esso il nome.
Ma attualmente è più accredetata la tesi che il nome derivi da
Trebulanus, che non ha nulla a che vedere con Trevi.
Sta di fatto che il Trebbiano di Trevi, non è un’invenzione recente.
Ne giugno del 2014 il prof. Giacchè, al fianco del quale mi
trovai per un caso assolutamente fortuito, mi fece gentilmente partecipe di
una sua ricerca sull’argomento, poi oggetto di stampa in un opuscolo edito
per l’occasione, ora pressoché irreperibile, ma riportato per comodità
dei curiosi nel sito web della Pro Trevi.
(vedi anche VINSANTO)
"Nel trevano o
nella pianura di Trevi, e più specialmente a Cannaiola e a San Lorenzo si ha
il trebbiano con qualche carattere diverso da quelli del descritto
[Trebbiano o Spoletino], che si coltiva nel piano spoletino.
Il trebbiano di Trevi ha gli acinelli molto più ovali, la foglia di un verde
un poco più scuro, il tralcio gracile e di un colore plumbeo, gli internodi,
un poco più lunghi e si matura perfettamente alla metà di ottobre. Con il
solo trebbiano a Trevi fanno un vino santo squisito, il quale ha un gusto e
un aroma speciale, che lo diversifica da qualunque altro vino santo".
De Bosis Francesco (1879), Relazione intorno ai
lavori della Sotto-Commissione ampelografica per il circondari di Spoleto
eseguiti nel 1878, in Ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio,
"Bullettino Ampelografico", fase. XII, anno 1879, Roma, Tipografia Eredi
Botta, p. 437
Infatti discendente diretto
del trebbiano è il Vinsanto, un passito dall'aroma inconfondibile, un tempo
prodotto e confezionato per la vendita da quattro o cinque grossi
proprietari, ma prodotto per il consumo proprio da moltissime famiglie
trevane.
Nelle soffitte e nelle cantine di vecchie case si trovano ancora i
"telarini" per appendere l'uva, il torchietto e il prezioso "caratello" che
trasmetteva al vino l'aroma caratteristico.
E a detta di questi autori sembra che il Vinsanto di Trevi, derivato dal
Trebbiano di Trevi non abbia rivali.
"Con questa
varietà [Trebbiano] si
fanno i vini più prelibati e fra essi il vino Santo, come ad esempio a
Trevi, e quivi tale vino raggiunge speciale pregio"
Fazi Francesco (1890), La distillazione
del vino e delle vinacce nella Provincia dell'Umbria, Foligno, Stab. Tip.
Feliciano Campitelli, p. 844
"Ed è forse un
Trebbiano quello da cui si ottiene a Trevi, alla piccola Trevi ridente,
alta, inerpicata tra gli olivi, un vin santo delizioso, ricco di sottile e
speciale aroma"
Baldeschi Guglielmo (1893), / vitigni ed i vini
dell'Umbria, in Circolo Enofilo Italiano, Roma, "Annuario Generale per la
Viticoltura e la Enologia", anno H, Roma, Tipografia nazionale di G.
Berterio, p. 29
"Con il Trebbiano appassito si fabbrica il famoso vin santo di
Trevi che ha acquistato una certa e meritata celebrità nella categoria dei
vini liquorosi"
Francolini Francesco (1908), La Valle Spoletina
e le sue condizioni Economiche-Agricole (Studio di economia rurale), Savona,
Tipografia Elzeviriana, p. 91
Tuttavia annota ancora il prof. Giacchè:
L’inserimento di una variante “trevana” al Trebbiano, identificato in questo caso con lo Spoletino, mentre nelle schede precedenti i due vitigni venivano distintamente considerati, complica ulteriormente la già ingarbugliata situazione. Considerato che entrambi i testi sono stati compilati da Francesco De Bosis, in qualità di segretario delle due Sotto-Commissioni, è andata perduta una decisiva occasione per fare chiarezza sulla esatta attribuzione della denominazione dei vitigni alle varietà locali analizzate.
Se possiamo trarre una conclusione di quanto esposto, si potrebbe formulare un'ipotesi consguente.
È poi tanto temerario pensare di poter recuperare questa cultivar
dalla descrizione del De Bosis?
Senza voler entrare in concorrenza con altri si potrebbe pensare ad un
particolarissimo prodotto di nicchia, esclusivamente finalizzato alla
produzione di un Vinsanto che vanta un secolo e mezzo di notorietà.
In tempi di esaltazione della biodiversità, se questo
concetto non è pura esercitazione verbale ma ricerca concreta delle varietà
del nostro pianeta, potrebbe essere quanto meno interessante aggiungere
un altro tassello proprio da Trevi.
Da Trevi, che oltre al sedano nero e l’olivo di
Sant’Emiliano - da considerare un UNICUM in
senso assoluto dopo i recenti studi del prof. Bonci - potrebbe a
ragione vantare un altro prodotto straordinario.
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