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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime

XIX     LE OPERE D'ARTE MINORI

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 -. pagg. da 274 a 277)

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Quelle di cui fin qui ho parlato sono le opere d'arte che, per essere grandiose ed imponenti, richiamano senz'altro lo sguardo e l'ammirazione del visitatore. Ma oltre a queste, altre più piccole e più nascoste, e non tutte visibili qui, ornavano — ed in parte ancora adornano —  la nostra chiesa. Onde mi è parso utile ed interessante farne cenno; prima di tutto perché finora sono quasi sempre sfuggite all'osservazione degli studiosi; poi perchésu taluna di esse avrò occasione di dare notizie e produrre documenti inediti.

 

1°). LA PILA DELL' ACQUA SANTA

 

Premetto che il visitatore cercherebbe ora inutilmente nella chiesa questa pila. Un tentativo di furto verificatosi nel Novembre 1922 — come già dissi — consigliò di porre più al sicuro questa ed altre opere d'arte. Onde è che, da quell'epoca, la pila è collocata nel piccolo Museo comunale di Trevi.

E' un'elegantissima tazza di marmo di Carrara, che nelle linee purissime rievoca le antiche tazze romane. La base in pietra appenninica che la sorregge è opera deplorevole, eseguita alcuni anni or sono. Per lungo tempo, forse fino da quando la pila fu mandata a Trevi, venne collocata presso la porta minore della chiesa ed internata per metà nel muro. Credo poter affacciare l' ipotesi che ciò sia stato fatto perché la colonnina, che doveva servire di base, andò forse in pezzi; ed in attesa di sostituirla con un'altra, si rimediò alla meglio adattando la pila nel modo che ho detto. Ma da ciò non è

 
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venuto gran male: anzi dobbiamo a questa circostanza se la metà di essa — cioè quella che rimase nascosta nella parete — si è conservata intatta, come nuova.

La tazza, di forma perfettamente rotonda, (Figg. 54-55) misura 80 centimetri di diametro. All' intorno è decorata da quattro anse che sporgono sopra al labbro. Intorno, a basso rilievo, figurano, sulle onde del mare, delfini che guizzano (1) e vitelli marini che nuotano. Mascheroni e conchiglie simmetricamente disposti, completano la decorazione. Sulla parte che può dirsi anteriore è o stemma della famiglia Ricci, di Trevi, già ricordato e descritto (2). ciò dimostra che la pila fu eseguita a spese di quei benemeriti cittadini. La parte inferiore della tazza è molto elegantemente baccellata.

La finezza e lo squisito gusto che si rivelano in questa pur minuscola opera d'arte in tutti i suoi particolari, dava a chiunque l'esaminasse la sensazione di trovarsi dinanzi ad un lavoro di artista non comune e certamente di ottima scuola. Onde vivissimo il desiderio di conoscerne l'autore. Toccò a me la piccola fortuna di trovare l'originale del contratto col quale lo «scarpellino» maestro Giovanni da Carrara assumeva l'obbligo di eseguire la pila per la nostra chiesa. Il documento è nell'Archivio di S. Pietro in Vincoli a Roma. E lo trascrivo per iutiero in Appendice, sembrandomi di non trascurabile interesse, anche perchéda quest'atto veniamo a conoscere qualche cosa intorno all'artista toscano, del quale, fin qui, poco o nulla si sapeva (3).

Il contratto porta la data del 9 Febbraio 1510. Da esso risulta che lo scalpellino s'impegna di eseguire una pila di marmo per l'acqua benedetta. E la pila doveva essere simile a quella che allora esisteva nella chiesa di S. Maria della Pace, in Roma; ma alquanto più  grande. Non è detto se quest'altra pila, che doveva servire da modello, fosse stata eseguita dallo stesso Giovanni da Carrara, o da altro artista.

Il prezzo convenuto fu di 10 «ducati d'oro larghi»(4). Il lavoro

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(1) Il delfino, nell'arte cristiana primitiva, era imagine del Salvatore. (Cfr. G. B. De Rossi, in: Bollettino d'archeologia cristiana - 1870, pag. 61, 88).

(2) Cfr. sopra pag. 157.

(3) Vedi Appendice. Documento N. 10.

(4) Il «ducato largo» era cosìdetto perchédi diametro maggiore degli altri «ducati»; ma era anche più sottile, per impedire che altri lo rimettesse sotto il torchio, per una nuova coniatura. Fu la Repubblica di Firenze che nel 1422 batté per prima «Fiorini d'oro più grandi dei ducati veneti» e perciò furono detti «Fiorini larghi». Il «Ducato largho» valeva 23 «bolognini» di più del «ducato stretto». (Cfr. Edoardo Martinori, La moneta. Roma, 1915, pag. 131).


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doveva essere terminato per la Domenica delle Palme successiva, la quale cadeva il 24 Marzo. Si vede che il nostro artista era abbastanza sollecito a lavorare.

La consegna della pila compiuta avvenne, molto puntualmente, nel termine stabilito. E il 6 Aprile successivo il Giovanni da Carrara rilasciava quietanza finale pei 10 «ducati» pattuiti; computati quattro che gli erano stati pagati all'atto della stipulazione del contratto, come caparra e principio di pagamento, quando il preposto delle «Lagrime», D. Paolo da Bergamo, gli aveva affidato l' incarico di quel lavoro.

 

* * *

Da questo contratto — insieme alle altre interessanti notizie — si deduce che la pila doveva avere anche la sua base. Furono, infatti, pagati allo scarpellino anche 3 «carlini» e 3 «bajocchi» spesi per i ferri e per il piombo, che dovevano certamente servire a tenere unita la pila alla sua base, che però non giunse a Trevi; onde la pila fu collocata alla meglio, internandola per metà nella parete, come dissi.

Qualunque possibile dubbio su questi dati sarebbe stato facilmente eliminato, se nella chiesa di S. Maria della Pace in Roma esistesse tuttora l'altra pila che doveva servire di modello a questa di Trevi, come detto nel contratto. Ma, disgraziatamente, in quella chiesa nessuna traccia e nessuna notizia mi è stato possibile trovare intorno a quell'opera d'arte. I rifacimenti e le modificazioni che ha subito la chiesa della Pace in diverse epoche e specialmente al tempo di Alessandro VII, hanno fatto sparire questa, come altre opere che adornavano quella chiesa, pur nondimeno ancora cosi ricca di tante bellezze.

Di Giovanni da Carrara inutilmente si ricercherebbero notizie nel Càmpori (1) e nel Bertolotti (2), i più  diligenti raccoglitori di memorie del genere. Di un Giovanni da Carrara fa menzione il Ridolfi (3), e ci fa sapere che quello scultore nel 1478, insieme ad Andrea da Carrara, collaudava un tabernacolo di Matteo Ci vitali, in S. Maria del Palazzo a Lucca; e nel 1499 lavorava con Antonio da Carrara e soci (4) agli stalli del duomo di Pisa, ora scomparsi.

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(1) Campori G. Memorie e biografie degli scultori, architetti, pittori ecc: nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa. Modena, Vincenzi, 1873.

(2) A. Bertolotti. Artisti toscani in Roma. Mantova 1885.

(3) Ridolfi A. Guida di Lucca, ivi, 1882, pag. 318, 320.

(4) Thieme Ulrich und Fred. C. Willis. Allegemein lexicon der Bildenen Kunstler. Vol. XIV. Lipsia, 1921, pag. 113.

 


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Se questo stesso Giovanni è l'autore della nostra pila, ci si offre un documento di più — oltre alla finezza del lavoro che abbiamo sott'occhio — per persuaderci che esso fu artista di valore non comune, se a lui veniva affidato l'incarico di collaudare un'opera di Matteo Civitali, che fu uno dei più delicati scultori ed ornatisti del '400.

Fino ad oggi non mi è stato possibile trovare altri particolari intorno a questo scultore carrarese, di cui sarebbe certamente utile rintracciare le opere.

A complemento delle notizie storiche relative alla pila, aggiungo che essa fu portata a Trevi nel 1511, ed anche la spesa del trasporto — che fu di 3 «fiorini» —  fu sostenuta dal benemerito cittadino trevano Piercostanzo Ricci (1).

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(1) Natalucci D. Ms. cit. pag. 234

 

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 -  pagg. da 274 a 277)

 

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