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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime

XVII    LE CAPPELLE
3°) - CAPPELLA DELLA MADONNA

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 - pagg. da 174 a 182)

[ I numeri in grassetto  tra parentesi acute <  > indicano le pagine del volume originale. Le parole divise a fine pagina sono trascritte interamente nella pagina in cui iniziano]

 

 

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In fondo al braccio destro della chiesa, l'antica parete della casa che fu di Diotallevi d'Antonio Santilli e sulla quale era dipinta la imagine, venne inclusa nel muro della nuova chiesa.

Dissi già 1) che innanzi alla Madonna fu subito costruita dalla pietà dei devoti una cappella, ornata di opere in pietra, fino dal 1486. Successivamente, e cioè nel 1520, era stata di nuovo abbellita con colonne di pietra, decorate alla «damaschina»(2). La cappella era poi terminata da una piccola cupola. E certamente, data l'epoca della sua costruzione, doveva essere cosa di molto buon gusto. Ma di tutto ciò nulla rimane, all'infuori dell'imagine della Madonna, intorno alla quale fu costruito l'attuale altare di stucco e muratura.

L'imagine fu dipinta il 3 Ottobre 1483(3). Chi sia stato il modesto pittore non sappiamo. Ma il lavoro, quantunque del tipo delle molte «maestà» che si vedono frequentemente nelle edicole campestri e nelle pitture votive di molte chiese, è condotto con abbastanza coscenziosa cura.(Fig. 3). Il fondo è giallo-oro con ornati simmetrici rossi, a imitazione di damasco. Intorno gira un fregio a disegno geometrico, eseguito col traforo. La Madonna è rappresentata in piedi. Un velo bianco le copre il capo, e la cocca destra del velo è gettata sulla spalla sinistra. La veste è bianca, a fiori rossi piccoli e

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(1) Cfr. sopra pag. 48.

(2) Natalucci D. ms, cit. f. 231.

(3) Cfr. sopra pag. 22.


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rari. Tutta la figura è coperta da un ricco manto azzurro, che scende quasi fino a terra, lasciando scoperta appena l'estremità della gonna. Con ambo le mani la Madonna sorregge il Bambino, che le cinge il collo col braccio sinistro, mentre la, mano destra è in atto di benedire. Una tunica rossa ricopre l'intera figura del Bambino, che ha la capigliatura lunga fino alle spalle, specialità iconografica non frequente(1), e il viso è rivolto verso la Madre.


Fig. 3 - La Maestà (pag. 174)

 

Questo affresco può dirsi una discreta opera d'arte paesana. Lascio a chi si diletta d'ipotesi e di attribuzioni il cercare o fantasticare dell'incognito autore.

Ai piedi della Madonna si leggono queste parole in caratteri gotici:

 

QUESTA FIGURA [F]ECE [F]ARE ...

 

Doveva certamente seguitare così  DIOTALLEVI D'ANTONIO ecc.; poiché sappiamo che fu esso il devoto committente della pittura.

Importante è osservare che l'affresco non è più completo. La parte destra di esso è rimasta coperta dalla sovrapposizione degli stucchi dell'altare attuale. Non so dire se questa parte mancante sia stata anche distrutta, o sia soltanto nascosta dietro la nuova sovrapposizione; ma è certo che presso la figura della Madonna era dipinta quella di S. Francesco. Ne fa fede il cronista Mugnoni, che vide con i suoi occhi la primitiva «maestà» com'era ai suoi tempi. E ci dice chiaramente che tre erano le figure quivi dipinte(2). Una prova di più la troveremo in una delle tavolette votive, che più avanti illustrerò.

* * *

È questa la prima volta che l'imagine della Madonna delle Lagrime viene riprodotta e pubblicata nella sua completa autenticità. Fino ad ora la sua iconografia era assai arbitraria e povera. Non abbiamo, infatti, che tre sole riproduzioni che ricordano questa imagine. La prima fu pubblicata dal Giorgetti nel suo opuscolo che tratta della nostra chiesa, edito nel 1752.(Fig. 20). Ma è la vera imagine?

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(1) Uno studio speciale sulla iconografia di Gesù Bambino non credo sia ancora stato fatto. Noto che tra le moltissime figurazioni del Bambino da me cercate e studiate una soltanto ne trovo con chioma fluente, come in questa delle «Lagrime»; ed è in un mosaico della chiesa di S. Maria Nuova (S. Francesca Romana) a Roma. Cfr. A. Venturi. La Madonna, Milano Hoepli; 1900, pag. 7: e P. Lugano S. Maria nova, Roma, s. a. ma 1923 pag. 10).

(2) Cfr. sopra pag. 27.


 

Fig. 20 - La Madonna delle Lagrime (Stampa del 1782)
(Pag. 175)

 


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incisa in rame, è tutt'altro che vera; e sotto il punto di vista artistico è quanto di più deplorevole si possa concepire.

Un'altra riproduzione fu fatta in litografia nel 1886 in occasione delle feste centenarie (Fig. 21). Ma anche questa — per quanto migliore della precedente — non può pretendere ad alcuna rassomiglianza con l'originale.

Qualche anno fa si distribuiva ai fedeli un'altra imagine, disegnata da mano assai inesperta (Fig. 22). Tutte e tre queste riproduzioni sono in così malo modo eseguite, da, non ricordare — neanche lontanamente — il carattere quattrocentesco dell'originale. Ma ho voluto metterle qui per due ragioni: prima per non trascurare nulla di quanto può riferirsi alle vicende artistiche e storiche della nostra chiesa; poi per dimostrare ancora una volta la verità di quanto asserivo sul principio di questo mio lavoro, che — cioè — di questa chiesa è stato fin qui scritto poco e non bene; fino al punto — aggiungerei — che non si è mai messa sotto gli occhi del pubblico e dei devoti una esatta riproduzione della «maestà»  alla quale nei secoli sono stati resi tanti onori e tributate tante attestazioni di fede.

 

* * *

Il primo dei devoti trevani che espresse il desiderio di ornare ed ingrandire la cappella, fu un tal Emilio Costanzi, il quale propose ai Canonici di far accomodare a sue spese la cappella della Madonna «dove si canta l'uffizio», per potervi far poi la sua sepoltura. Il Costanzi si offriva di fare a sue spese una «anchona(dipinto in tavola) grande, adorrata(dorata) et bella et un parato per l'altar di setta (seta) o velluto».

Di più avrebbe dato mezzo «caldarello» di olio — circa dieci chili — per la lampada, perché «i padri di S. Maria siano obbligati di aver cura de l'anima mia, in administrar li sacramenti per sua famiglia(sic)»(1).

Però la proposta del Costanzi rimase un pio desiderio e non se ne fece altro. Non sappiamo a quale anno essa rimonti con precisione, ma è certamente della prima metà del '500.

così la cappella della Madonna rimase nella sua forma primitiva. E sarebbe stato desiderabile che così fosse rimasta fino a noi! Ma purtroppo, l'invadente seicentume aveva così spagnolescamente corrotto il gusto ed il senso artistico del secolo, che l'opera ingenua dei

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(1) Archivio delle 3 chiavi N. 230.

 


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devoti trevani quattrocenteschi apparve povera e meschina cosa agli occhi di quei loro pronepoti.
 

Fig. 21 - La Madonna delle Lagrime (Stampa del 1886)
(Pag. 176)

 


Fig. 22 - La Madonna delle Lagrime (Litografia del 1890)
(Pag. 176)

 

 

 

* * *

Il 19 Ottobre 1614, in Roma, faceva testamento per mano del notaio Tranquillo Pizzuti il cittadino trevano Sestilio di Vincenzo Valenti. Come spesso accadeva di quei tempi, le disposizioni testamentarie di lui sono prolisse e complicate. Ma interessa alla storia della nostra chiesa il sapere che esso lasciò una somma di circa ottomila «ducati» (esattamente: 5000 «scudi» romani e 2800 «ducati» di Napoli) perché in Trevi venissero i Chierici Regolari Minori, che erano a S. Lorenzo in Lucina, istituiti da S. Francesco Caracciolo, nella nostra città  costruissero una chiesa ed un collegio per i giovani di Trevi. Nominava sua erede una nepote a nome Maria. Morendo essa senza figli, o facendosi monaca, i beni stabili ereditarii dovevano passare a quei Chierici Regolari Minori; e i capitali in contanti dovevano servire per dotare zitelle povere di Trevi, qualora, per una ragione qualunque, i Chierici Regolari Minori non fossero venuti a Trevi, né altri in loro vece ne avessero sostituiti gli esecutori di queste disposizioni testamentarie, che erano i cardinali Maffeo Barberini — che fu poi papa Urbano VIII — ed Erminio Valenti.

E nello stesso caso il testatore disponeva dei beni stabili così: «Voglio sia erede la ven. chiesa della gloriosissima Madre di Dio,nominata la Madonna delle Lagrime in detta mia patria, nella quale vivono al presente li reverendi padri Canonici Regolari, li quali potendo liberamente disporre della cappella nella quale è I'imagine di detta gloriosa Madre e concedendomi di poterla ridurre in migliore e più bella forma, siano obbligati spendere tutto il frutto che daranno li suddetti beni stabili, per il corso di dodici anni; il quale servi (sic) per detta riduzione in forma migliore et ornamento e abbellimento della medesima cappella, secondo il giudizio di persone perite; e completa detta riduzione e ornamento, alla quale prego dui principali e caritatevoli cittadini, da eleggersi dalla comunità debbano insieme con essi Padri assistere, debba il medesimo frutto che daranno li suddetti miei beni stabili servire per mantenimento della detta chiesa e casa di maggior numero di essi Padri di quello vi è al presente». Ed impone ad essi alcuni speciali obblighi. E seguitando dice che è finito detto abbellimento, ornamento e riduzione, debbano li detti Padri porvi una memoria e iscrizione, nella quale si dichiari, che a gloria et honore del Signore

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Dio e di detta Sua Madre SS.ma: in rendimento di grazia per li benefici ricevuti dalla loro bontà  ho ridotto la detta cappella nella forma apparente, ornata et abbellita e lasciai li sopradetti miei beni» ecc.(1).

Ora, di tutto ciò nulla si fece, perché altri precedette le intenzioni del Valenti. Né i Chierici Regolari Minori vennero a Trevi, né ad essi se ne sostituirono altri. L'eredità in contanti Cper la fondazione di quello che si disse il «Maritaggio Valenti»; ma i beni stabili non passarono alla chiesa delle «Lagrime». Né saprei dirne il perché

 

* * *

Sestilio Valenti morì in Roma il 7 Novembre 1620. Egli aveva passata molta parte della sua vita al seguito del marchese Chiappino Vitelli nelle Fiandre, dove questi morì  lasciando figliuoli di cui il Valenti ebbe la tutela per ben quattordici anni. Trasferitosi poi in Napoli era vissuto in pieno ambiente spagnuolo; onde a lui, abituato alla nuova arte farragginosa e tronfia, sorrise l'idea di darne un saggio nella sua Trevi. Ma, dissi già non se ne fece altro, perché  poco prima della morte di Sestilio Valenti altri provvide al rifacimento, o disfacimento della cappella della Madonna. Ed è strano che il Valenti, visto ciò  non provvedesse a nuove disposizioni testamentarie; egli che in precedenza aveva giàper ben quattro volte espressa in altrettanti testamenti la sua volontà.

 

* * *

Era morto nel 1618 in Trevi il cardinale Erminio Valenti. Eredi suoi furono i nipoti Pompeo e Francesco Benenati-Piccolomini, figli di una sua sorella, residenti a Cascia, nell'Umbria. Essi dovevano provvedere al monumento sepolcrale del defunto. E in tale occasione vollero anche rimodernare l'altare della Madonna.

Chiesero, perciò  al generale dei Lateranensi, D. Serafino da Cremona, la concessione della cappella, nella quale si proponevano di erigere un nuovo altare, con ornamenti in muratura e di notevole altezza, per maggior decoro dell'immagine della Madonna. Si riservavano anche di porre nella cappella una sepoltura per loro, e per i loro eredi e successori maschi.

Il generale accordò quanto gli si chiedeva, salvo l'approvazione del «Capitolo» delle «Lagrime». Questo si adunò: erano due canonici,

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(1) Archivio Valenti - Instromentorum - A. pars. 1 N. 24 i/2 f. 312 ss.


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 in tutti: il preposto D. Girolamo da Lugo e il canonico D. Vitale da Rieti, i quali non poterono che approvare il già fatto, almeno in parte, poiché il monumento era già stato costruito! Concessero però ai Benenati-Piccolomini la Cappella allo scopo di adornarla e decorarla; nonché lo spazio per la loro sepoltura e il permesso per un altro monumento, ed anche la facoltà di apporvi le loro armi. La concessione era perpetua ed irrevocabile, con la promessa di non fare, in quella cappella, alcuna nuova concessione, finché durasse la linea mascolina dei Benenati-Piccolomini.

All'atto, stipulato nella sagrestia delle «Lagrime» il 1° Aprile 1621 dal notaio trevano Francesco Mattioli, interviene il solo Pompeo Benenati-Piccolomini, che, anche a nome del fratello Francesco, promette che adorneranno la cappella secondo la loro devozione, in modo che l'«ornamentum sit bene positum et ornatum ac decoratum». Promettono anche di fare dinanzi all'altare una balaustrata di pietra o di legno «che chiuda tutta la cappella, da un angolo all'altro che sia ben ornata a piacimento di detti signori Benenati»; scrive il notaio, in italiano, questa volta, per farsi meglio intendere(1)! I Benenati assegnano anche alla loro cappella la dotazione di una rendita di 5 «scudi» all'anno, con certe condizioni di celebrazione di messe. Promettono pure di provvedere all'arredamento della cappella per il Sagramento, che dovrà tenervisi sempre.

È da notare che nella licenza data dal generale dei Lateranensi è detto che i Benenati intendono collocare l'imagine della Madonna alquanto più in alto, per maggior decoro ed ornamento. E per far ciò  era necessario demolire la testudo o calotta, che allora esisteva, sopra l'edicola della Madonna, secondo la primitiva costruzione.

Eccoci, dunque, alla distruzione di quello che fu il primo monumento della pietà dei trevani! Ma cos'erano i tempi(2).

Durastante Natalucci, vittima anch'esso della recente folata del gusto fastoso e vuoto, dice che la facciata di questa cappella  «è majestosa

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(1) Archivio Valenti - Instrum: A. pars 1. - N. 27, f. 388, ss.

(2) Pur troppo il mal gusto non è del tutto estirpato, se qualche cosa di simile abbiamo visto commettere pochi anni or sono in un altro moderno santuario umbro: la Madonna «della Stella», presso Montefalco. Anche lì con rinascente seicentomania, si distrusse la primitiva edicola campestre, alla quale la chiesa attuale doveva origine e fama e frequenza di popolo. Si portò più in alto la piccola parete su cui era dipinta l'imagine, e le si fabbricò sopra un detestabile tempietto, presuntuoso e stridente con tutto il resto della chiesa, che pure è pregevole costruzione, decorata di lodate pitture!

 


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 e mirificamente rifatta con colonne e statue di stucco»!(1) Bisogna però riconoscere che, architettonicamente, il prospetto di questo altare si presenta realmente con una certa  solennità (Fig. 23).

* * *

Su sei colonne scanalate, di ordine corintio, posa il cornicione, sormontato da un timpano spezzato, mentre nel mezzo di questo si innalza un altro prospetto minore; nel centro del quale è un affresco rappresentante il Padre Eterno benedicente, tra angeli e serafini.

Sul fregio si legge il motto del Salmista:

 

QUI SEMINANT IN LACRYMIS IN EXULTATIONE METENT

 

Ai lati dell'edicola della Madonna, sono tra due colonne, le statue di S. Francesco a destra e di S. Ubaldo a sinistra.

Se l'artista che ha costruito questo altare non avesse voluto animare, per dir così, l'opera sua con troppe figure, grandi quanto e più del vero, di angeli e di profeti — David e Salomone — agitate tutte da pose ricercate, talune acrobatiche addirittura, il prospetto dell'altare sarebbe stato abbastanza sobrio, poiché rifletteva ancora nell'architettura, gli ultimi sprazzi dell'influenza del rinascimento.

A confortarci della perdita dell'antica edicola, rimane — unico avanzo delle primissime opere qui eseguite —  la grossa pietra che gli uomini di Campello offrirono per l'altare della Madonna delle «Lagrime» fino dai primi giorni della sua manifestazione(2). Ma anche questo ingenuo segno della devozione dei tempi andati è stato mascherato dalle successive costruzioni dei tempi nuovi. E la pietra si vede ora* incastrata nel centro dell'altare attuale di mattoni e stucco. Sulla pietra sono incise queste parole:

Y H S

C A M P E L L V

M° C C C C° L

X X X V°

 


Fig. 23 - Cappella della Madonna delle Lagrime
(Pag. 180)

Dell'autorizzazione avuta di apporre le loro armi nella cappella rifatta dai Benenati-Piccolomini, essi hanno profittato, dirò così                                                                                                                    senza discrezione; poiché  mentre al di sotto delle due statue di S. Francesco e di S. Ubaldo sono due stemmi di quella famiglia — di argento alla croce d'azzurro, caricata all'estremità di quattro crescenti

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(1) Ms. cit. f. 231.

(2) Cfr. sopra pag. 34.

* In un intervento nel secondo quarto del XX secolo la pietra fu intonacata e l'iscrizione ricoperta. Alla fine degli anni '60, dovendo adattare l'altare ai nuovi canoni della riforma liturgica, l'epigrafe tornò alla luce e ora si può vedere dietro l'altare, verso la parete ove è dipinta la Madonna

 


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montanti e di un sole nel centro — si rivedono un poco da pertutto i simboli araldici. così il sole è ai due lati, in basso: ed è  ripetuto due volte sopra il timpano che sormonta la parte superiore dell'altare. Due «crescenti» si rivedono sopra l'edicola della Madonna. Al di sotto di questa è una porticina in legno (non visibile nella Fig. 23: perché nascosta dall'altare); ed anche essa è decorata delle mezze lune araldiche dei Piccolomini.

In conclusione, però  deve dirsi che — prescindendo dai difetti dell'epoca — anche questo altare può considerarsi un'opera d'arte che non disdice alla  solennità del tempio. E molto più perdonabili sarebbero stati i difetti, se invece dello stucco, i donatori avessero in questa costruzione profusa quella dovizia di marmi, che riservarono, invece, come vedremo, al monumento dello zio cardinale, che li aveva lasciati eredi dei suoi beni!

 

* * *

Presso la porticina che dà nell'andito verso la sagrestia (N. 27 della pianta) è collocata su di una delle lesène che fanno angolo tra questo braccio e l'abside, la seguente iscrizione a lettere d'oro, su marmo di Carrara:

A DIO O. M.
ED A MARIA VERGINE DELLE LAGRIME
DI TREVI PRESIDIO E DECORO
DEVOTE ONORANZE SOLENNI
OGNI ORDINE DI CITTADINI ED IL CONTADO
QUI VOLLERO CELEBRATE
NEI GIORNI 7 AL 15 AGOSTO
MDCCCLXXXVI
IL IV0 CENTENARIO TRASCORSO DAL PRODIGIO

NEL PATRIO UNIVERSALE CONGAUDIO
SI PONE QUESTO MARMO
A MEMORIA PERENNE DEL FATTO
CHE I POSTERI VORRANNO IMITARE

 

Questa iscrizione — dettata da mio padre, Filippo Valenti, di sempre venerata memoria — ricorda le grandi feste che furono celebrate in occasione del quarto centenario della manifestazione della Madonna delle Lagrime.

Il centenario cadeva nel 1885: ma ne fu rimandata la celebrazione


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all'anno seguente per potere con più  solennità e sfarzo compiere tutti i necessarii preparativi(1).

Le feste durarono otto giorni, come dice l'iscrizione. Intervennero l'Arcivescovo di Spoleto, Mons. Elvezio Mariano Pagliari; quello di Foligno Mons. Vincenzo Serarcangeli e, in rappresentanza del capitolo di S. Pietro in Vaticano, Mons. Alessandro Sanminiatelli Zabarella, arcivescovo in partibus, che fu poi cardinale. Le funzioni religiose furono rese più solenni da musiche impressionanti e fragorose — come permetteva la liturgia d'allora — con l'intervento di maestri e cantori di Roma e delle città vicine a Trevi.

L'affluenza del popolo fu stragrande; e siamo in molti a ricordare l'imponente spettacolo di una folla ognora crescente, che gremiva, il vastissimo tempio.

Le feste non furono soltanto religiose, ma insieme si ebbero rappresentazioni teatrali, accademie e fuochi d'artificio(2).

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(1) Cfr. sopra, pag. 116.

(2) Nell'elegantissimo teatro «Clitunno» fu rappresentata l'opera «La Favorita» di Gaetano Donizzetti. Nell'aula maggiore del Collegio Lucarini, antico convento di francescani, si tenne l'11 Agosto 1886 un'accademia di musica e poesia. In quell'occasione fu pubblicato un opuscolo «Ricordo del IV centenario di Maria Santissima delle Lagrime» (Trevi, Tip. Nazzarena, pagg. 20). In esso si contengono tre delle poesie recitate in quell'accademia: del Prof. Giuseppe Agostini, dell'Avv. Antonio Marini e dello scrivente.

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928,  pagg. da 174a 182)

 

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Aggiornamento: 27 aprile 2017.