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Il Perugino a Trevi:
La cappella dei Magi


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dopo la mostra

 

Perugino
il divin pittore 

 

Facilitazioni di visita
 a Trevi e Montefalco
LA CARD VALLE UMBRA

 


Manifestazioni in onore di Pietro Vannucci detto Perugino
Perugia - Umbria 28 febbraio - 5 settembre 2004

 

 

La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime
17/2      La cappella dei Re Magi

La storia della costruzione, dell'affresco e la critica

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928- pagg. da 160 a 174)

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Era da poco incominciata la fabbrica della chiesa, quando gli uomini di Bovara, villaggio del Comune di Trevi, situato a sud della città, molto insistentemente domandarono al Comune una delle cappelle in costruzione. Della cosa si occuparono gli addetti alla nascente chiesa; e il 16 Agosto 1488 rimisero a Niccolò Lelii e a Natimbene Valenti la facoltà di concedere una cappella alla villa, o contrada, o popolo di Bovara (1). Che la scelta cadesse su quella che fu poi la Cappella del Presepio si deduce dai successivi documenti. Dal registro dei lasciti che era nell’archivio delle «Lagrime», citato dal Natalucci, risultava la Cappella essere stata dipinta, nel modo che vedremo, coi legati degli uomini di Bovara. Vale però la pena di accennare alle varie vicende giudiziarie che subì questa cappella.

 

Nonostante la concessione regolarmente avutane dal Comune, in forza della quale Bovara avrebbe dovuto ragionevolmente restare al pacifico possesso di essa, anche per quello che vi avevano speso, i Canonici Regolari Lateranensi vollero contestare alla villa questo diritto. Fu così che il 22 Settembre 1557 il Preposto delle «Lagrime», D. Teodoro da Mortara, citò i «Bovaresi» perché producessero le loro ragioni sulla Cappella. «Ma perché non trovarono che mostrare alli 27 di quello stesso mese ed anno, temendo la sentenza contraria, offrirono all'abate di fare quello che esso voleva; cioè dotare la Cappella e provvedere a quanto era necessario» (2). Però i fatti non corrisposero alle parole e il preposto D. Raffaele da Venezia, scrive che ai 20 Febbraio 1559 fu data sentenza contro i Bovaresi, «che non se habbino più ad impazare (impacciare) della Cappella di Bovara che ha li Tre Magi et gli è posto perpetuo silenzio» dal Vicario del Vescovo di Spoleto, Mons. Gio: Pietro Forteguerra, di Pistoia (3).

 

Durante la causa, o poco dopo, fu anche fulminata contro quei di Bovara una sentenza di scomunica. Non saprei dire come fosse motivata, poiché il testo è scomparso. Ne resta però memoria in un inventario delle scritture delle «Lagrime» che fu mandato alla Procura

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(1) Archivio delle 3 chiavi. Riformanze d. a. f. 113.

(2) Archivio Valenti. Instrum. A. p. 1. pag. 15.

(3) Archivio delle 3 chiavi. N. 242.

 

<161> generale dei Lateranensi a Roma (1). Ma la vertenza non finì lì - a quanto pare - poiché troviamo in epoca posteriore i Bovaresi ancora al possesso della Cappella. Certo é elle essi fecero ai Lateranensi delle proposte di accomodamento. Essi volevano dotare la cappella con «5 fiorini» per l'acquisto di terreni, e mettere un «ceppo» nella, cappella per raccogliere le elemosine, del quale essi avrebbero tenuta una chiave e un'altra il preposto delle «Lagrime» . Quando si fosse raggiunta la somma di 100 «fiorini» si poteva comprare qualche appezzamento di terreno. La rimanenza avrebbe servito per l'arredamento della cappella.

 

Si vede che queste proposte non dispiacquero, poiché il ricordato D. Raffaele da Venezia scrive che «si senta su ciò il parere del Capitolo generale» . Ma negli atti di questo nulla ho trovato su tale argomento. Però il preposto prevedeva il caso che i Bovaresi potessero essere rimessi al possesso della cappella; e, da uomo pratico, lasciò scritto nei suoi ricordi che, se questa si dovesse cedere agli uomini di Bovara, facciano «prima l'intramezadura de boni mattoni con calzina tra le seppolture e la conserva, come hanno promesso de fare» . Cioè che costruissero un tramezzo di mattoni, ben murato con calce, tra la sepoltura e la cisterna (conserva) che era - ed é - nel piccolo chiostro lì presso ed attigua alla sepoltura. Era quella l'acqua che si beveva in convento; la precauzione era elementare! Ma i Bovaresi - forse per mancanza di mezzi - non furono solleciti. Era, infatti già passato un anno «et non é comparso nessuno della villa di Bovara: sì che par non si curano» . Tuttavia, dopo poco tempo vediamo la Villa tornare al possesso della Cappella e incominciare a provvedere, almeno in parte, all'officiatura di essa. Ma non ai sa come ciò avvenisse. Trovo che il 5 Maggio 1575 in ruta adunanza degli uomini di Bovara un tal Francesco quondam Petri propone che, avendo la Villa di Bovara nella Chiesa della Madonna delle «Lagrime» una cappella sotto il titolo di S. Giuseppe, per mantenere il jus e per divozione, i Massari della Villa vi facciano celebrare due messe all'anno: una nel giorno di S. Giuseppe; l'altra nel giorno della SS. Annunziata. E la proposta fu approvata. Uno solo dei 49 presenti votò contro (2).

 

Più tardi, cioè il 26 Gennaio 1614, in altra adunanza di quell'Università. Pasquale Bovarini propone che «si veda di mettere

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(l) Archivio delle 3 chiavi. N.230. Archivio di S. Pietro in Vincoli. To. IV, f. 585, 609.

(2) Archivio notarile -Trevi. To.1168. Rog. Francesco Celli. f. 231 ss.

 

<162> una pietra sopra alla cappella della Villa di Bovara posta nella Chiesa della Madonna delle Lagrime di Trevi, con le lettere ed arme di detta Villa di Bovara, acciò si veda che detta cappella sia di detta villa». E propone anche che l'iscrizione da incidersi su quella pietra sia dettata dal Sig. Curio Tulli. E tutto si faccia approvare dai superiori (1).

 

Ma la lapide non fu collocata mai sopra la cappella che, invece, passò in mano dei Canonici Regolari Lateranensi. Ma non sappiamo come.

 

É certo però che il 6 novembre del 1679 fu dal preposto delle «Lagrime» ceduta al Maggiore Giacomo Valenti, comandante la fortezza di Civitavecchia ed a suo fratello Gio. Battista, collaterale generale delle armi, sotto Innocenzo XI. Il preposto delle «Lagrime» D. Camillo Copardi, di nobile famiglia bolognese, aveva chiesto ai Padri Definitori della sua Congregazione il permesso di addivenire a questa cessione. Nella domanda egli dice che la cappella e la sepoltura lì presso, sono «dette comunemente di Bovara» . Si vede, dunque, che fino d'allora alla Villa di Bovara non era rimasto più che un possesso nominale. In ogni modo, per maggior regolarità e sicurezza, i Definitori ordinarono che, prima di cedere la cappella ai Valenti, venissero interpellati gli uomini di Bovara.. Ma questi non vollero o non seppero affacciare ragioni, né accampare diritti (2).

 

Ma ciò che non fecero i Bovaresi d'allora, volevano tentarlo invece, cinquant'anni dopo, i loro successori. Bastò che corresse questa voce perché i Valenti - allora possessori della cappella - citassero i Bovaresi perché dimostrassero i loro diritti. Ma essi non seppero come difendersi e non si presentarono neanche quando il 29 Gennaio 1729 fu discussa la causa dinanzi alla Camera Apostolica. Ond'é che la sentenza fu favorevole ai Valenti, che domandarono ed ebbero la conferma del definitivo e pacifico possesso della contestata cappella. E fu in base a questa sentenza che l’Uditore della Camera Apostolica, il Protonotario Prospero Colonna, emise il decreto in forza del quale il Tenente Colonnello Conte Gio. Battista Valenti fu nuovamente e definitivamente messo e confermato nel possesso della Cappella dei «Re Magi» il 20 Aprile 1729 (3)

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(1) Archivio notarile - Trevi. To. 947. Rog. Gio. Battista Gemma. f. 142t.

(2) ivi. To.1209. Rog. Emiliano degli Abati. f. 145 ss.

(3) ivi: To.1367. Rog. Lorenzo Petrucci. f. 347 ss. Archivio Valenti. To. VIII.

 

 

<163> Ad una curiosa questione diede luogo il lascito di 50 e fiorini» che fece alla cappella un tal Benedetto Lelii da Trevi, per la costruzione di una «ferrata» o, per dir meglio, di una cancellata in ferro da porsi innanzi alla cappella. Ai Lateranensi non piacque la proposta e reclamarono a Roma, d'accordo con gli eredi del testatore. Si disse che la cancellata era più di danno che di utile, che era un ingombro, che deturpava li Chiesa, che la somma lasciata non era sufficiente; ed altre più o meno serie ragioni si addussero. E ciò per ottenere dal Papa le trasformazione del legato, nel senso che i 50 «fiorini» fossero rinvestiti in beni stabili a dotazione della cappella, con l'obbligo d'un certo numero di messe all'anno.

 

La domanda, ebbe esito favorevole, e un breve di Pio IV del 22 Gennaio 1563 riconosceva. che con quella cancellata la chiesa verrebbe deturpata, e che la somma non era bastante per l'esecuzione di quel lavoro. Perciò si deroga alla volontà del testatore e si autorizza l'acquisto di terreni. Notevole che - nonostante la sentenza precedente del 1559 - la cappella, in questo breve, è ancora detta di Bovara(1). Per sollecitare l'affare si recò a Roma il fattore delle «Lagrime» D. Gregorio da Conegliano. E, per chi lo Volesse sapere, le spese di viaggio ammontarono a 3 fiorini, 11 bajocchi e 8 denari (2).

 

Detto così, per sommi capi, ciò che si riferisce alla storia di questa Cappella sotto l'aspetto giuridico, vediamone ora le bellezze artistiche.

Essa (Fig. 15) è costruita come le altre cappelle di questa chiesa. Sotto il cornicione ad ovoli e dentelli, corre un elegante fregio a rabeschi rossi, su fondo giallo oro.

Trevi, Chiesa delle lacrime, Cappella dei re Magi (da Valenti)
Fig. 15 - Cappella dei Re Magi

Le lesène laterali sono qui divise in due parti, di cui la superiore ha la, sui base all'altezza dell'impostatura dell'arco, come frequentemente si riscontra nell'architettura, del '400 e dei primi del '500. I pilastri sono decorati a candeliere, a fondo giallo oro.

 

In mezzo all'arco, è, in uno scudo partito, lo stemma in marmo dei Valenti e quello degli Ansidei di Perugia, con essi imparentati. Negli spazi tra l'arco e le lesène superiori si vedono in due tondi

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(1)   Archivio delle 3 chiavi. N. 241.

(2)   ivi, N. 252.

 

<164> le figure dell'Angelo Gabriele, a sinistra, e della Vergine Annunziata a destra, di mano del Perugino.

 

Tutta la parete di fondo della cappella è occupata dal grande affresco, di metri 4,20 x 3,80 dello stesso autore, rappresentante la Adorazione dei Magi (Fig. 16). La riproduzione che di questa, come di tutte le altre opere d'arte della nostra chiesa, presento in queste pagine, facilita il mio compito e mi dispensa dall'entrare in una minuziosa descrizione.

Trevi, Chiesa delle lacrime, Adorazione dei Magi del Perugino (da Valenti)
Fig. 16 - L'adorazione dei Re Magi (Pietro Perugino)

La composizione - per quanto ricordi parecchi altri simili lavori del Perugino stesso - è sempre di grande effetto. Fa sfondo al quadro un’ideale campagna, che riconosciamo ispirata al paesaggio umbro; e si perdoni al pittore innamorato della sua e nostra terra, questo gentile anacronismo.

 

Nel mezzo, in lontananza, un branco di pecore pascolano tranquillamente. Due pastori le sorvegliano, e parlano tra loro, levando lo sguardo in alto, verso la cometa - che nell'affresco ora non è più visibile - e facendosi con la mano schermo agli occhi, come per difenderli dal fulgore della stella.

 

Di qua e di là, si aggruppano uomini a cavallo, venuti al seguito dei re Magi.

 

Sotto una capanna architettonica - non è qui il presepio di cui parla il Vangelo! - sta seduta la Madre di Gesú, col suo divino Figliuolo, ritto sul ginocchio destro di lei, che sorregge delicatamente il Bambino, vòlto a benedire uno dei Magi, che gli offre il suo dono.

 

Alla sinistra della Madonna è S. Giuseppe e presso di lui è inginocchiato un altro dei Re Magi. Il terzo è più a sinistra di chi guarda e come in attesa di presentare anch'esso la sua simbolica offerta.

 

Queste le figure principali della scena. Ai lati sono aggruppati spettatori e personaggi del seguito. Nella prima figura intera a destra, qualcuno volle riconoscere un ritratto di Raffaello da Urbino.

 

L'insieme di questa opera d'arte è - dissi già - di grande effetto e anche l'occhio del profano si sofferma volentieri a contemplare questa scena di pace, che è come tutta illuminata ed animata dalla figura della Vergine (Fig. 17) - tipo di bellezza umbra - che occupa il centro del dipinto, con espressione gentile di dolce confidenza.

Trevi, Chiesa delle lacrime, Madonna con Bambino, part. del Perugino (da Valenti)
Fig. 17 - Madonna col Bambino (particolare)
(Pietro Perugino)

«Talvolta - dice la nostra compianta scrittrice Alinda Bonacci

<165> Brunamonti - per amoroso capriccio d'artista, lasciò Pietro a piccoli paesi pitture che meriterebbero pellegrinaggi. Così a Trevi e nella chiesa delle Lagrime l'adorazione dei Magi. Nel viso pieno dalla carnagione rosea, perlata della Vergine è maternità dolcissima. Ma sulle gote e nelle palpebre di S. Giuseppe, lievemente arrossate per le lagrime che luccicano negli occhi, è sentimento di tenerezza umana che commuove» (1).

Ai lati della cappella sono le due figure di S. Pietro e di S. Paolo. La prima deperita e malamente restaurata; l'altra ben conservata e - pur noti essendo un nuovo tipo della produzione peruginesca - è sempre una figura vigorosa e fiera, come s'addice al santo che rappresenta (Fig. 19). Sotto di queste è rispettivamente scritto:

 

SANCTO PIECTRO(2 )- SANCTO PAULO

 

Sul gradino su cui poggia i piedi la Madonna è la firma del pittore così

 

PETRUS . DE . CASTRO . PLEBIS . PINXIT.

 

E, sotto, il distico:

 

TU SOLA IN TERRIS GENITRIX ET VIRGO FUISTI
REGINA IN CELIS TU QUOQUE SOLA MANES.

Trevi, Chiesa delle Lacrime, S.Pietro del Perugino (da Valenti)
Fig. 19 - S. Paolo (Pietro Perugino)

L'archivolto, anche in questa cappella, è suddiviso in sette scomparti geometrici, decorati a rosoni rossi, su  fondo giallo di ingenua fattura.

 

Lo zoccolo che gira intorno alla parte inferiore della cappella, è anch'esso a scomparti geometrici, a finto marmo; e fu restaurato non molti anni or sono.

 

Sarebbe stato interessante avere qualche altro documento che illustrasse meglio questo che è uno degli ultimi lavori del Perugino, e che ne completasse la storia. Ma le mie ricerche - se non sono state infruttuose del tutto - pure non mi hanno dato i risultati che da esse speravo. In ogni modo sono al caso di dare qualche nuovo lume per la storia di questa pittura e del Perugino stesso.

 

Gli scrittori che fin qui si sono occupati di questa chiesa e di questo affresco in particolare, non esitano a fissare l'epoca, in cui la

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(1) Brunamonti Maria Alinda. Discorsi d'arie. Città di Castello, Lapi, 1898, pag. 92.

(2) Questa è la grafia del Perugino. Così troviamo scritto anche il suo nome nei pochi documenti che si conservano da lui firmati.

 

 

<166> pittura sarebbe stata eseguita, al 1521. C'è anche chi vuol precisare di più; e scrive che sarebbe stata compiuta nel Settembre di tale anno. E ciò in base ad una lettera indirizzata il 5 di quel mese ed anno dal governatore di Perugia ai Priori di Trevi, perché sollecitassero il Perugino a tornare colà, per condurre a termine un altro affresco nella chiesa di S. Agostino.

 

Ora io trovo che in un contratto di compra-vendita. stipulato il 16 Dicembre 1521, nella chiesa delle «Lagrime» tra i Canonici e un tal Giovanni Mattia Bartolomei, di Trevi, figura come testimonio Pietro di Castel della Pieve cittadino perugino, «pictorindicta ecclesia sanctae Mariae lagrimarum» (1).

 

Ciò vuol dire che nella seconda metà del 1521 l'affresco non era ancora terminato.

 

Da notarsi una piccola curiosa circostanza; il notaio, nello scrivere il suo atto, lascia in bianco il cognome del pittore. Si vede che anche allora questi era chiamato «il Perugino» senza curarsi di altro.

 

Dopo questo documento cadono, mi sembra, tutte le affermazioni di coloro che fissano senz'altro al 15 Settembre 1521 il compimento dell'affresco. Differenza di non straordinaria gravità; ma per un uomo di 75 anni, qual'era il Perugino nel 1521 e che, per giunta, moriva appena venti paesi più tardi, mi pare non debba essere quantità trascurabile quella di quattro mesi — o forse più — in rapporto specialmente alla produzione artistica del nostro.

 

Del resto — come ho detto fino dalle prime pagine di questo libro — mi sono, in questo mio lavoro prefisso lo scopo di rettificare, per quanto possibile ciò che, finora è stato, noti sempre esattamente, scritto intorno alla nostra chiesa. Niente di più naturale, quindi, che io utilizzi anche i più piccoli «dettagli» per raggiungere il fine che mi sono proposto nell'interesse della storia dell'arte e — più che altro — della verità.

  

Gaetano Milanesi, parlando di questo affresco, lo qualifica «intattissimo e copiosissimo di figure, tredici delle quali grandi quanto il vivo» (2). Purtroppo, però, non corrisponde più alla verità, l'epiteto di «intattissimo» . Poiché le condizioni dell'affresco erano, in questi

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(1) Archi v i o  notarile - Trevi - To. 304 — Rog. Valerio Setti f. 191. (2) VASARI G. Le vite ecc. con note di G. Milanesi. Firenze, Sansoni. 1878-1885 pag. 607.

 

<167> ultimi tempi, ridotte a tale che recentemente (1923) si è dovuto ricorrere a lavori di consolidamento dell'intonaco affrescato, che in più punti minacciava cadere, a causa dell'umidità, infiltratasi nella parete. Con tutto ciò questa pittura resta sempre un'opera d'arte interessante e sommamente decorativa, ed una. delle più belle e preziose cose che abbiamo in questa chiesa, così ricca di tesori artistici.

 

E qui si presenterebbe una buona occasione per dire a lungo di Pietro Perugino e dell'opera sua. Ma non credo farei cosa utile; poiché non certo sarei io che potrei dire cose nuove su questo pittore tanto ammirato e — spesso — tanto maltrattato. Né alla storia del nostro si aggiungerebbe alcun che, se io racimolassi qua e là, tutto ciò che di lui si é detto e scritto, specialmente in questi nostri giorni quando si é celebrato il quarto centenario della morte di lui (1923), rievocandone tutta la vita e anatomizzando l'opera sua, da storici dell'arte, da studiosi, da critici, da . . . «turisti» !

 

Mi contento, perciò. di aver ricordato più sopra quanto su questo affresco scriveva la Brunamonti Bonacci. Però — onde non lasciare del tutto digiuno il lettore sulla letteratura, peruginesca — mi piace riprodurre qui un severo ed aspro giudizio che dell'opera del Perugino dava., non molti anni or sono, lo scrittore francese Gabriele Faure, che ripeteva ed esagerava le accuse e le critiche del Vasari e di Michelangelo.

 

Seri ve. dunque, il Faure che mentre per opera di Giovanni Boccati, di Benedetto Bonfigli e di Fiorenzo di Lorenzo, la scuola umbra si avviava verso una maniera più viva, più realistica e più vera, il Perugino arrestò questo movimento. Esso sacrificò l'arte al denaro e fu il vero tipo del mestierante, un «santaro» qualunque, che delle sue produzioni mercantili inondò la Toscana e l'Umbria. Tuttavia riconosce che al «Cambio» di Perugia e in Vaticano il Perugino si dimostra veramente un grande artista. Ma all'infuori di queste, le sue pitture sorto senz'anima, senza movimento; poiché esso non si preoccupa che delle fisionomie, dei colori, delle vesti e del paesaggio. Ma i suoi tipi non sono mai stati persone vive; non si guardano mai tra di loro e sorto come estranee alla scena cui prendono parte. La simmetria dei loro atteggiamenti e quella del paesaggio li rende anche più scipiti. In un'adorazione di pastori mette come architettura quattro pilastri di legno, sormontati da una piccola tettoia triangolare; la più stupida decorazione che un pittore abbia mai immaginato! (E la nostra sarebbe, secondo il Faure, una delle tante!)

<168> Presi uno ad uno, le figure, i panneggiamenti, le prospettive sono belle cose; ma l'insieme é glaciale e stucchevole. I personaggi sono senza movimento, falsi nelle espressioni e nelle pose. Le teste e i piedi sono troppo piccoli, in rapporto alla lunghezza smisurata dei corpi.

 

E — per finire — lo scrittore francese dice addirittura che il Vannucci, volendo portare la scuola perugina al colmo della celebrità, finì per ucciderla. I suoi allievi non furono che gl'imitatori di colui, che non aveva fatto altro che imitare sé stesso. Qualcuno tra essi sarebbe potuto diventare un gran pittore, come Giovanni Spagna, se però avesse potuto sottrarsi all'influenza deprimente del suo maestro! (1)

 

A questa fiera requisitoria, che sa di «furia francese» e che, tra altro, non ha neanche il merito dell'originalità, perché è una ripetizione anche più agra di ciò elle sul Perugino scriveva, prima del Faure, un altro francese, Andrea Maurel (2), contrapponiamo le parole benevoli della Brunamonti, secondo la quale alcune pitture del Perugino, come questa di Trevi, «meriterebbero pellegrinaggi» , mentre la stessa scrittrice vede nel Perugino quasi un perseguitato dagli storici e dagli invidiosi. Ma anch'essa confessa. che il genio del Perugino fu monotono (testualmente dice: «alquanto monocorde» : ma la frase mi pare che non vada); e ciò per la fretta con cui cercava qualche volta di soddisfare alle frequenti commissioni che da ogni parte gli venivano e per l'opera di discepoli numerosi e mediocri, che con lui lavoravano. Però la Brunamonti trova — al contrario del Faure — che le figure del Perugino sono vive e vere e animate da efficaci espressioni (3).

 

E, d'altra parte, lasciando i mille pareri che storici e critici hanno pronunziato sul Perugino, mi pare debba essere tenuto presente, più di ogni altro, quello di Adolfo Venturi, che di Pietro giovane, scriveva: «pittore principale nella sua regione, terrà a Roma il campo nella pittura, siederà a Firenze tra i maggiori maestri, darà al figlio della gloria, a Raffaello, le idealità spiranti dai

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(1) Gabriel Faure - Heures d'Italie - Paris, Carpeutier, 1910, pag. 203 ss. L'autore è talmente convinto della serietà delle sue critiche, da ripeterlo quasi testualmente anche in un'altra sua più recente pubblicazione. (G. F.,  Au pays de S. Francois d'Assise. Grenoble, Rey, s. a. pagg. 95 ss.).

(2) Andrè Maurel. Petítes villes d'Italie, II; Emile, Marches, Ombrie. Paris, Hachette, 1908., Pag. 124.

(3) A. B. B. Op. cit. pag. 38 ss.

 

<169> suoi angioli, dalle sue Madonne, da i suoi santi dipinti nel torpore mattinale, nel silenzio verde dei piani umbri» (1).

 

Metta, dunque, il lettore a confronto questi diversi, anzi disparati, pareri e giudichi a suo talento, specialmente in presenza dell'affresco delle «Lagrime» . Opera di vecchiaia, veramente; ma non per questo meno pregevole, quantunque non possa stare a confronto con altri ben più lodati lavori del Perugino. Senza dire che secondo il mio modesto giudizio l'opera d'arte non va osservata ed ammirata per se sola, ma valutata e giudicata in rapporto all'ambiente in cui essa, dirò così. vive e per il quale fu ideata ed eseguita. Ora non è chi non veda quanto magnifica e poetica risulti in questa chiesa maestosa e tranquilla, in questo luogo sereno e silenzioso, l'opera tutta umbra del Perugino, nella quale pare si rispecchi e riviva tutta la soave poesia della valle, verso quale il nostro tempio si affaccia luminoso e grande.

 

 Ma se ho ritenuto essere poco utile intrattenermi su ciò che da mille autori si é scritto sull'opera artistica del Perugino in genere, altrettanto interessante mi sembra,, invece, riferire e commentare quello che, almeno da alcuni, si é detto intorno a questo dipinto trevano.

 

Il Cavalcaselle, per esempio, così lo descrive: «La Vergine é seduta di faccia ad una capanna; due Re genuflessi le stanno ai lati e presentano le loro offerte. lino di essi é benedetto dal Bambino; l'altro volge gli occhi alla Vergine con espressione di gratitudine. S. Giuseppe sta un po’più indietro a destra; a sinistra sotto la capanna sono il bue e l'asino e, in distanza, l'Angelo che appare ai pastori; ai due lati si vedono due gruppi. La rappresentazione si scorge dall'apertura di un vestibolo arcuato, ai cui lati stanno le figure dei sunti Pietro e Paolo. Il gruppo a sinistra con S. Pietro ha sofferto assai danni.

 

Il putto é gobbo, col ventre protuberante; le figure sono tutte meschine; noti alquanto migliori quelle della Vergine e di S. Giuseppe. Il fondo serve pei lumi (?); le ombre hanno una tinta grigio verdastra, punteggiata soltanto qua e là da mano tremante. Mal disegnate le estremità, che hanno anche le unghie difettose. Le tinte

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(1) ADOLFO Venturi - L'arte giovanile del Perugino e in «L'arte» An. XIV fasc. I.

 

 

<170> delle carni sono rozze per il troppo uso del rosso. Sulla base del trono della Vergine leggesi questa scritta: Petrus de Castro Plebis pinxit. Negli spazi triangolari dell'arco si vedono la Vergine e l'angelo della Nunziata.

 

Una cornice quadra in rilievo circonda l'affresco».

 

E l'autore aggiunge che questo affresco e quello oli S. Maria, Maggiore di Spello appartengono all'ultimo periodo artistico del Perugino, e «giovano assai bene a farci conoscere quale fosse ancora  la disposizione del nostro pittore a dipingere, malgrado i suoi settantacinque anni» . In tutti e due gli affreschi l'autore vede la decadenza dell'arte peruginesca. «Le forme della Vergine e del Putto sono deboli e difettose, mentre i contorni indicano la mano tremante di un vecchio» . E prosegue col dire che «l'Adorazione dei Magi a Trevi é forse la pittura più meno importante» (proprio così!) «che sia uscita dalla bottega del Perugino.» E finisce affermando che 1’ultima pittura di Pietro — quella della chiesa della Nunziata di Fontignano, dov'ei morì — «era migliore dell'Adorazione dei Magi in Trevi» (1 ).

 

Lasciamo andare la descrizione dell'affresco fatta in forma assai approssimativa. Basti dire che gli angeli sono due, anziché uno; e sono in atto di adorazione verso il Presepe. Piuttosto é da notare che sono quasi del tutto scomparsi. Dire che ai due lati «si vedono due gruppi» mi sembra espressione un poco troppo riassuntiva! E «l'apertura del vestibolo arcuato» sarebbe niente altro che il rincasso ad arco tondo, che forma questa, come tutte le altre cappelle della chiesa!

 

La critica, poi, che il Cavalcaselle fa di questo affresco sembra acre e puerile ad un tempo. Dire che «il Putto é gobbo» che «ha il ventre protuberante» , non solo é eccessivo; ma anche fuor di luogo. Chi non sa che nei bambini é frequente la caratteristica del collo corto e l'attitudine alquanto curvetta, nonché l'addome spesso voluminoso? Non saranno queste le note del perfetto tipo del bambino esteticamente ideale; ma non farei al Perugino il rimprovero di essere stato qui troppo umanamente verista.

 

L'autore trova «meschine» tutte le figure; solo fa qualche Concessione per quelle della Vergine e di S. Giuseppe. Nessuno — né

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(1) G. B. CAVALCASELLE e J. A. CROWE. Storia della pittura in Italia. Firenze, Lemonnier, 1902, 9 voll. Ed. originale italiana di Alfredo Mazza. Vol. 9 pag. 264.

 

<171> io potrei essere il primo — ha mai sostenuto che questo affresco sia tra le migliori opere del Perugino; ma nessuno ha neanche mai preteso di demolire così severamente l'opera di lui. Che le estremità siano «mal disegnate» é cosa facilmente costatabile. Aggiungere, come, fa l'autore, che «hanno anche le unghie difettose» mi sembra talmente poco serio, da far perdere ogni valore a tutto il resto della critica. E verrebbe voglia, allora, di aggiungere che le orecchie dell'asino qui dipinto — absit injuria— sono troppo corte. Osservatelo: è proprio così! Al Perugino il Cavalcaselle rimprovera — quasi — la sia vecchiezza, quando lavorava a Trevi. E mette in evidenza «la mano tremante» e «malferma» nell'esecuzione di questa pittura e in quella di Fontignano.

 

Ebbene, no; ciò non é di buon gusto! La figura di questo vecchio che, pur negli ultimi anni di sua vita dava all'arte le ultime sue energie, ben altre parole ed altri sentimenti dovrebbe ispirare. E ciò sentiva e scriveva recentemente Leonardo Vitetti, al quale par di vedere il vecchio maestro stanco e addolorato «rifare ancora gli ultimi suoi Presepi, gli ultimi suoi Battesimi, l'Adorazione dei Magi, e la Natività»; o mentre sulle pareti bianche delle «piccole chiese silenti a Spello, a Trevi, a Castel della Pieve ridipinge la sua estasi, la sua celebre estasi o desolata, o gioiosa, o meditativa, come fosse cieco di ogni altro pensiero, ignaro della magnifica diversità della vita» (1).

 

A questa stessa stregua — a parer mio — dovrebbero giudicarsi e, direi quasi, venerarsi tutte le opere della vecchiaia degli artisti e dei letterati, che nelle ultime manifestazioni dell'animo loro ci hanno lasciato il loro testamento, come una sintesi di tutta una operosissima vita.

 

 

Adolfo Venturi — per continuare la, rapida recensione di alcuni che scrissero di questa pittura — crede che essa sia opera del Perugino «e dei collaboratori»(2). Ora, rispettiamo l'opinione dell’illustre critico; ma non saprei dire quale prova e documentazione, anche indiretta, si potrebbe addurre a conferma di questa asserzione. Bisognerebbe — per far qualche cosa — attribuire ai presunti «collaboratori» tutti i difetti che il Cavalcaselle ha così rudemente e

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(1) LEONARDO VITETTI. Vita di Pietro Perugino [del Vasari] con una introduzione, note e bibliografie di L. V. Firenze, Bemporad, s. a. pag. 41ss.

(2) ADOLFO VENTURI. Storia dell'arte italiana. Vol. III. p. 2. 567.

 

 

<172> così eccessivamente. voluto mettere in evidenza in questo affresco. Per me preferirei lasciare le cose come sono, ed al Perugino tutte le lodi e tutti i biasimi.

 

Più benevolo, tra i molti, e il Berenson, che — pur riconoscendo (e come a meno?) — che quest'opera appartiene alla fine dell'attività artistica del Perugino, asserisce che dei numerosi lavori da questi eseguiti un po’dappertutto nell'Umbria, questo di Trevi «é un buon esemplare» (1).

 

E per spiegare, in parte, i giudizi non sempre esatti, né sereni dei critici è da tener presente che nessuno può pretendere di apprezzare, la profonda pittura umbra «se non si è prima fortemente impregnato di questi paesaggi dell'Umbria, ai quali si sono certamente inspirati gli artisti di questa scuola. Altrimenti non si comprendono che a metà» (2).

 

Per chiedere queste note — ricorderò per ragioni dei contrari — le lodi eccessive che antichi critici d'arte hanno tributato a questo affresco.

 

Il Mezzanotte di Perugia scrive: «lodatissimo é un affresco dipinto dal Vannucci in Trevi nella chiesa delle Lagrime. Rappresenta l'Adorazione dei Magi ed il Pittore vi segnò il nome suo. Dipinse anche nella suddetta Città le figure degli apostoli Pietro e e Paolo giudicate di rara bellezza» (3). E, mette queste opere tra le minori e di data incerta. Ma. mi viene il dubbio che lo scrittore non abbia veduto le opere del Perugino, altrimenti avrebbe saputo che le figure di S. Pietro e di S. Paolo non solo si trovano «nella suddetta città» , ma fanno parte della decorazione di questa stessa cappella.

 

Più sincero era stato, prima di lui, l'Orsini, di Perugia anch'esso, che accennando a quei lavori del Vannucci, finisce così:«mi si dice che queste pitture siano bellissime». Le loda, dunque, senza averle viste. Eppure non era neanche molto lontano! (4) Ma si vede che non ebbe il coraggio di affrontare 10 ore di «diligenza» che ai suoi tempi occorrevano per andare e tornare da Perugia a Trevi!

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(1) BERENSON BERNHARD. Te study and criticism of italian art. London, Bell and Cos, 1902. 2 voll. 2a Serie pag. 2.

(2) BROUSSOLLE. J. C. Pélérinages ombriens. Paris, Fishbacher, 1896, pag. 14.

(3) MEZZANOTTE Prof. ANTONIO. Della vita e delle opere di Pietro Vannucci. Perugia, Bertelli, 1838. pag. 156.

(4) BALDASSARRE ORSINI. Vita elogio e memorie dell'egregio pittore Pietro Perugino. Perugia, Baduel, 1804. pag. 142.

 

<173> Finalmente, non tanto come documento storico, quanto come sussidio alla critica dell'arte peruginesca, pubblico — e credo, per la prima volta — un disegno esistente nella Galleria degli Uffici a Firenze e che rappresenta la Vergine col Bambino (Fig. 18).

 

«Questo disegno, nel Catalogo Montalvi, è dato al Perugino; sembra però che la Madonna sia di mano dello Spagna, per un suo quadro esistente nella Pinacoteca comunale di Spoleto» .

 

Così é descritto ed attribuito il disegno in una pubblicazione «ufficiale» del 1894 (1).

A breve distanza di tempo, in un successivo fascicolo della stessa pubblicazione, si leggeva:

 

«Secondo il chiarissimo Dottore Sordini, questo disegno sarebbe piuttosto del Perugino, sembrando lo studio del quadro della chiesa di Santa Maria delle Lacrime, presso Trevi» (2).

 

A parer mio il compianto e benemerito amico Giuseppe Sordini aveva, in parte, ragione. Infatti é da escludersi che il disegno qui riprodotto sia di mano dello Spagna. Esso é — certamente — da attribuirsi al Perugino.


Fig. 18 - La Madonna col Bambino - (Disegno di Pietro Perugino - Firenze - Galleria degli Uffizi)

Ma non con uguale certezza si può affermare che sia uno studio per il «quadro» — direi meglio per l'affresco — che abbiamo alle «Lagrime» . Poiché la composizione del gruppo disegnato non é identica a quella che vediamo nel nostro affresco. Il bambino nel disegno é ritto sul ginocchio sinistro della Madonna, mentre nell'affresco lo é sul ginocchio destro. Alquanto diversi sono anche le pose e gli atteggiamenti delle due teste. Le pieghe delle stoffe sono però in ambedue le figurazioni trattate con quella specie di plasticità che è una delle caratteristiche peruginesche.

 

Se, in conclusione, é ovvio vedere in questo disegno la mano del Vannucci, non altrettanto facile è dimostrare che egli l'avesse eseguito come studio per l'affresco delle «Lagrime».

 

Questo — cronologicamente — é, come vedemmo, una delle ultime

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(1) Ministero della Pubblica Istruzione. Indici e cataloghi — Disegni antichi e moderni  posseduti dalla R. Galleria degli Uffizi di Firenze. Vol: unico — Fasc. 3 - Roma, 1894, pag. 209.

(2) ivi, Fasc. 5 - Roma, 1896, pag. 384. Giuseppe Sordini eruditissimo Ispettore dei Monumenti a Spoleto, sua patria, è un vanto della nostra Umbria. Morì il 7 Giugno 1914. (Vedi il cenno Necrologico in Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per I’Umbria. Vol. XXI Fasc. 1 1917, pag. VI - e Vol. XXIII, fasc. I-III-pag. XIII).

 

 

 <174> opere del Perugino. A quell'epoca esso non «studiava» più: si ripeteva. E tanto più dobbiamo escludere che il disegno abbia rapporto con l'opera eseguita alle «Lagrime» in quanto che vediamo avere il Perugino molte altre volte trattato lo stesso soggetto, la Vergine col Bambino, in numerose sue opere. Ed in alcuna di queste — come, ad esempio, nell'affresco che é nell'ospedale di Castiglione del Lago — vediamo precisamente rappresentata la Vergine col Bambino nella stessa posa che osserviamo nel disegno qui riprodotto.

Questo é un nuovo documento dell'attività artistica del Perugino: ma non sembra aver rapporto con l'opera da lui eseguita nella nostra chiesa. Ma — data la precedente autorevole affermazione del Sordini — era mio dovere ricordarla per precisare sempre più e sempre meglio tutto quanto si riferisce alla storia artistica di questo tempio.

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 - pagg. da 160 a 174)

 

 

 

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