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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime

XI     GLI OLIVETANI, L'ABBAZIA DI BOVARA
 E LA CHIESA DELLE "LAGRIME"

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 — pagg. da 89 a 96)

[ I numeri in grassetto  tra parentesi acute <  > indicano le pagine del volume originale. Le parole divise a fine pagina sono trascritte interamente nella pagina in cui iniziano]

 

 

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Ho avuto precedentemente occasione di accennare ai rapporti corsi tra il comune ed i monaci di S. Maria di Monteoliveto, benedettini, ai quali si sarebbero voluti consegnare la chiesa ed il convento delle «Lagrime» . Di queste trattative mi pare valga la pena di tener parola alquanto diffusamente, sia perché ricca è la documentazione che ne abbiamo, sia perché questa riguarda anche un altro insigne monumento di religione e di arte, quale è l'abbazia di S. Pietro di Bovara presso Trevi; sia perché finalmente, dal corso di queste trattative e dall'esito negativo di esse, possiamo farci un concetto della fermezza con cui ambo le parti difendevano i loro interessi; cioè il comune quelli del popolo trevano; i monaci quelli del loro ordine.

Il primo accenno ai monaci Olivetani si ha in una deliberazione del 20 Marzo 1186, già richiamata nel precedente capitolo. Il fatto che il comune così sollecitamente, cioè appena otto mesi dopo l'inizio della nuova devozione, decidesse d'accordo con gli XI deputati per le «Lagrime» di collocare lì presso una congregazione religiosa e di rivolgersi ai monaci olivetani, che da più di due anni si erano stabiliti nella abbazia di Bovara, dimostra da un lato l'oculatezza del comune e dall'altro la fiducia che esso riponeva in quei monaci Ed è a credere che fosse meritata, poiché il cronista Mugnoni, narrando della loro venuta a Bovara, dice, sotto la data del 20 Luglio
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1484 che erano «de bona vita et de bono exemplo et utilissima cosa ad tucto quisto populo». E si mostrarono anche benefici: «da quisti monaci sempre se ne ha infinite elemosine». Felice, dunque, era la scelta che il comune intendeva fare.

Le condizioni principali che ai monaci venivano poste erano: che risiedessero alle «Lagrime» e non a Bovara, come ho già riferito; che, intanto, tutte le entrate e le spese passassero per le mani degli «operai» già a questo deputati. Su queste basi principali gl'incaricati del comune potevano iniziare le trattative (1).

La proposta piacque ai monaci e sollecitamente si fecero le pratiche per la spedizione delle bolle pontificie. Prima, però  che queste venissero firmate, i superiori dei monaci ed il comune pensarono di apportare qualche modificazione a quanto convenuto. Una lettera dell'abate di Munteoliveto in data 12 Luglio 1486 ce ne dàla notizia. Esso scriveva ai priori che avendo saputo dal suo procuratore Gregorio di Tommaso Petroni che al comune non piaceva ciòche era stato «segnato»  nella bolla per l'unione dell'abbazia di Bovara alle «Lagrime», dichiara con sollecitudine «poiché la signatura in quel modo che è passata non vi piace: neanche a noi» . Promette «si la cosa non sarà andata tanto avanti che non se possa per hora fare altro» di fare ogni sforzo per «fare rifare dicta signatura». Accetta poi l'abbate le condizioni principali proposte, cioè che i monaci risiedano alle «Lagrime» e che il comune per mezzo di due custodi e dei soliti deputati s'ingerisca delle entrate e delle spese della chiesa. infine dichiara di aver ricevuti 37 «ducati larghi» e 7 «stretti», di Camera, forse per le spese delle bolle. Ma prevede che per mandarli a Roma «per lettere di cambio ghostarando (costeranno) forse ducati tre». E ciò per le condizioni di quei tempi. Piccola notizia questa; ma che ci dàun saggio di quanto rara fosse la moneta, allora, e quanto difficile trasmetterla da un luogo ad un altro. Su di che influivano certamente le circostanze politiche e le condizioni della pubblica sicurezza. Resta, intanto, assodato che per una rimessa di 40 «ducati» da Siena a Roma, occorreva spenderne 3, cioè in ragione del 7,510 per ogni 100 (2).

Nonostante l'interesse che i monaci ed il comune avevano e le conseguenti premure che ambo le parti facevano per la sollecita applicazione

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(1) Archivio dello 3 chiavi N. 155, f. 37.

(2) Ivi, N. 155, f, 9.


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 dei loro deliberati, era già trascorso circa un anno e le cose non erano ancora definite. Per semplificare, il consiglio generale, con deliberazione del 6 Maggio 1487, dava facoltà agli «operai» deputati per le «Lagrime» di fare quanto poteva occorrere per la unione di queste con l'abbazia di Bovara; dando ad essi ampie facoltà  come poteva averle lo stesso consiglio, in modo che potessero fare ciò che ad essi fosse sembrato meglio e più utile.

Una sola condizione poneva il consiglio: che resti sempre salvo il diritto del comune, in modo che esso sia sempre il proprietario della chiesa delle «Lagrime»; e mai perda tale diritto, nonostante quella o qualunque altra unione fatta o da farsi.

Si noti tutta l'importanza e la preveggente prudenza di questa deliberazione, alla quale principalmente dobbiamo se il nostro comune è ancora l'indiscutibile proprietario della chiesa delle «Lagrime» e dei suoi annessi. La saggia deliberazione dei nostri avi ha superato i secoli, e la vedremo restare a vigile tutela dei diritti del comune fino ai tempi nostri. Tanto vero che anche in questo anno 1927 il Comune di Trevi ha dovuto difendere il suo diritto di proprietà sulla chiesa e sui beni delle «Lagrime» contro le pretese del Demanio, rievocando i contratti e le deliberazioni del secolo XV.

 

* * *

Dei poteri amplissimi ad essi dati dal consiglio generale gli XI deputati delle «Lagrime» non abusavano; e l'opera. loro ispiravano alla stessa prudenza del supremo consesso locale, del quale essi erano emanazione. Ed ecco che essi, non affidandosi alle loro forze soltanto, vollero il 6 Giugno 1487 adunarsi per deliberare di informare ampiamente il cardinale di S. Marco circa la progettata unione dell'abbazia di Bovara con la chiesa delle «Lagrime»; e di pregare il cardinale di voler studiare la questione e dire poi a loro con sincerità se poteva tranquillamente farsi tale unione, oppure no. E secondo il parere del cardinale 1'unione si faccia, oppure si differisca (1).

C'è da restare ammirati di fronte alla illuminata prudenza di quegli amministratori. Ecco qual'era lo spirito, quale l'intrinseca sostanza dei comuni, che della loro autonomia, anche in materia di culto. non abusavano, mostrando così di essere di essa meritevoli. E si tenga presente che siamo alla fine del '400, quando il ciclo più brillante della vita comunale era già stato percorso e l'esistenza

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(1) Archivio delle 3 chiavi, f. 66.

(2) Ivi, f. 72t.


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dei comuni, che fu un poema d'imprese grandi nell'ordinamento giuridico, nei campi delle lotte guerresche spesso, purtroppo, feroci e incivili che fu un'ascenzione continua nelle meravigliose espressioni dell'arte, era per volgere al tramonto. Ma, ciò nonostante, quale esempio per noi nella illuminata rettitudine, nella prudente sagacia di quegli uomini!

Poiché mi piace far rilevare in quella deliberazione due elementi essenziali; primo la scelta del consigliere al quale rivolgersi, cioè il cardinale di S. Marco. Era questi Marco Barbo, nepote di papa Paolo II. Era nato circa il 1420, da Marino di ser Marco Barbo e da Filippa Della Riva. Fu Vescovo di Treviso, poi di Vicenza. Di Paolo II fu il consigliere e il cooperatore, e da questi fu creato cardinale nel Concistoro del 18 Settembre 1467. Fu tra i pochissimi ad onorare la porpora in quei tempi di generale e profonda corruzione morale. Nella sua ultima malattia fu assistito da Cesare de' Nacci, vescovo di Amelia. Poco prima di spirare rimproverò aspramente il cardinale francese Giovanni Balue, ivi presente, per la sua vita fastosa e mondana. Volle parlare un'ultima volta col papa. Salutò e baciò tutti i presenti. Dispose serenamente delle sue sostanze e spirò il 2 Marzo 1491, in Roma, vicino alla chiesa di S. Martinello, ora scomparsa, nei pressi di S. Pietro (1).

Questo illustre porporato, «ad una mitezza eccezionale e ad una profonda pietà  univa una grande conoscenza degli affari e una grande dottrina. Era il disinteresse personificato; essendo ancora in vita doné quasi tutte le sue rendite ai poveri, ai quali legò pure in morte il resto dei suoi averi; poiché egli diceva: i beni della chiesa sono, secondo la dottrina dei padri, l'eredità dei poveri di Cristo. Unica sua passione era la sua bella biblioteca. Fra tutti i parenti, il Barbo era quegli che più avvicinava Paolo II; la sua instancabile operosità, la sua prudenza oculata tornarono molto in acconcio al pontefice» (2). E si diceva che esso era l'occhio destro del papa. La morte di questo esimio scriveva il i suo contemporaneo Sigismondo de' Conti, da Foligno fu una grave perdita per la santa sede e per tutta la cristianità» (3).

Ecco a quale uomo i saggi deputati delle «Lagrime» si erano

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(1) Giuseppe Zippel, La morte di Marco Barbo, cardinale di S. Marco, in Scritti storici in memoria di Giovanni Monticolo , Venezia, Ferrari, (s. a.) pag. 193, segg.

(2) L. Pastor, op. cit. Vol. II, pag. 369.

(3)           d.        ivi        »  III     »    267.


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rivolti per un parere decisivo. Ed è ammirevole che a così alto personaggio essi non esitassero a rivolgersi, per un interesse di un modesto comune. Ma essi sapevano quale era la loro responsabilità di fronte al consiglio generale e di fronte tutto il popolo; e andarono cauti e vollero in altissimo luogo cercare lumi e assistenza.

Piuttosto viene spontanea la domanda come mai ciò potesse accadere. E la domanda è giustificata; ma la risposta ci è data da documenti locali. Infatti, prima di tutto, il cancelliere o segretario, del comune, Giovanni Bollini, da Novara, nominato a quell'ufficio con breve di Paolo Il del 23 Giugno 1468, ebbe occasione di conoscere personalmente il cardinale Barbo, quando il 25 Febbraio 1469 prestò in sue mani, sotto il portico di S. Pietro, il prescritto giuramento di bene adempiere il suo officio, presso il nostro comune.

In secondo luogo, il cardinale, poco tempo dopo, passò di qui diretto a Bevagna. Onde nella seduta del consiglio generale del 14 Maggio 1469, su proposta del consigliere Marco Puolucci, fu deliberato di offrire un dono al cardinale nepote del papa, in occasione del suo passaggio da Trevi per recarsi a Bevagna (1). E ne ebbero l'incarico con pieni poteri, i priori del comune, che dovevano associare a loro altri due uomini per ogni «terziero» . Quale fosse i dono offerto non sappiamo. Sappiamo, invece, che di questo prezioso incontro si ricordò il comune dieciotto anni più tardi, quando pregò il cardinale di S. Marco di confortarlo dei suoi consigli, nella grave questione della riunione delle due chiese, di Bovara e «delle Lagrime».

L'altro notevole elemento di quella deliberazione sta nel fatto di aver previsto anche il caso di un parere sfavorevole del cardinale. E vollero che non per questo ogni trattativa fosse troncata, mi rinviata ad altro tempo ogni decisione. Misura semplice in apparenza ma che ancora una volta ci fa convinti della preveggenza di quei deputati, che, per ogni buon fine e perseguendo sempre lo scopo di affidare ad una famiglia di religiosi la nuova chiesa, non volevano rinunciare ad ogni probabilità di successo avvenire.

Preziosa cosa sarebbe per noi l'avere in mano la risposta che il dotto cardinale diede alla rispettosa domanda di un suo autorevolissimo parere; ma purtroppo nessuna traccia ne abbiamo. È,

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(1) Il cardinale aveva avuto in commenda l'abbazia di S. Ansovino (poi chiesa e convento della SS.ma Annunziata) presso la strada da Bevagna a Cannara. Nel 1487 il cardinale cedé l'abbazia ai Minori Osservanti. Forse scopo del suo viaggio a Bevagna era la visita alla sua abbazia. (Cfr. Bragazzi, op. cit. pag. 270).


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però  da supporre che essa fosse favorevole, poiché ulteriori documenti ci provano che le pratiche continuarono.

Ma i monaci non si decidevano. E fu per questo che l' 11 Settembre 1488 gli XI deputati deliberavano di mandare qualcuno per sapere con certezza se i monaci di Monteoliveto volevano o no accettare la chiesa, con la riserva della libertà al comune di disporre delle elemosine. Questo, forse, era il punto più controverso.

Finalmente sembrò eliminata ogni difficoltà  e per il giorno 8 Marzo 1489 era fissata la presa di possesso della nuova chiesa, da parte degli Olivetani, dopo che un breve di Innocenzo VIII aveva alle «Lagrime» unita l'abbazia di Bovara. Ma, prima di prender possesso, i monaci vollero si stipulasse col comune il regolare contratto.

A tal fine si adunarono nella piccola sagrestia annessa alla cappella delle «Lagrime» l'abbate generale degli Olivetani, P. Giovanni da Bellagio, Tommaso Valenti, già  abbate commendatario di S. Pietro di Bovara, di cui si era riservata la metà  delle rendite, il P. Bartolomeo da Firenze e il P. Matteo da S. Egidio, visitatori dell'ordine, e poi il P. Giorgio da Milano, priore di Bovara e i monaci Fr. Mauro da Sarnano e Fr. Giovanni da S. Egidio, insieme a Natimbene Valenti e Gregorio di Ser Giovanni Petroni, ambedue dottori in legge; i quali rappresentavano il comune e la «Società» delle «Lagrime». La discussione fu lunga; ma poi, dopo molti ragionamenti, da ambo le parti si convenne quanto appresso:

1) Il Monastero da costruirsi a spese del comune, sia capace di almeno 20 monaci «con li edifice e modo che detti monaci vorrando (vorranno)».

2) Il comune si obbliga rimuovere le strade vicine al monastero da costruirsi, in modo che distino dal muro di esso monastero almeno 60 «piedi di pertica». Si fa eccezione per la strada davanti alla chiesa che da «la Costarella» portava a Trevi.

3) Il comune a sue spese condurrà al monastero l'acqua della fonte pubblica e la manterrà in perpetuo.

4) Il comune si obbliga di esentare in perpetuo i monaci presenti ed i futuri da ogni dazio, gabella ed altre gravezze od imposte presenti e future; e ciò tanto per il monastero delle «Lagrime» come per quello di Bovara.

5) Il comune s' impegna di tenere liberi e franchi da ogni imposta e da altre gravezze i monaci dei due monasteri, secondo i privilegi a la immunità concesse e da concedersi dai papi alla loro religione.


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6) Il comune non permetterà che si costruiscano altri edifici presso la chiesa e presso il monastero, ad una distanza minore di 60 «piedi di pertica».

 7) I monaci non saranno obbligati di abitare nel monastero fino a quando non saranno fabbricate la sagrestia e l'abitazione congrua e «condecente» per quattro monaci ed un famiglio.

8) Il comune si obbliga ottenere a spese sue o della chiesa, il permesso, affinché i monaci possano cercare elemosine per ogni diocesi.

9) Il comune dovrà incaricare due «operai» e un camerlengo che si occupino della fabbrica. Una chiave della cassa dei denari sarà tenuta dal priore del monastero e dai monaci; un'altra dai priori del comune e dall'anteposto; una terza dagli «operai» o dai deputati.

10) Terminata la fabbrica della chiesa e del monastero e provveduto ad ogni accessorio arredamento, le elemosine e le oblazioni che verranno, si possano e debbono investire in beni stabili, a volontà del priore e dei monaci, senza che il comune abbia più ingerenza in tali proventi.

11) Tutte le eventuali spese, sia per l'unione dell'abbazia di Bovara alle «Lagrime», sia per l'esecuzione della presente convenzione o per qualunque altra ragione, siano a carico del comune «ovvero de la Madonna»; e siano fatte secondo il tenore della bolla pontificia, senza alcuna deroga.

 

Le parti reciprocamente promettono di osservare quanto sopra rinunziando ad ogni eventuale eccezione e beneficio di legge, diritto, costituzione, ecc. I monaci giurano, secondo l'uso dei tempi, portando la mano al petto; gli altri toccando il vangelo.

Presenti e testimoni all'atto furono: D. Giulio di Giovani Andrea — uno dei cappellani delle «Lagrime » — e poi Gio. Battista Petroni, ser Eugenio di Valentino Valenti, M. Antonio Zanne, M° Orazio, carpentiere, Bernardino Colangeli e Bernardino Fiordi, tutti di Trevi. Redasse l'atto il cancelliere del comune (1).

Il giorno dopo, 8 Marzo, gli olivetani, con solenne processione, presero possesso delle «Lagrime» (2).

 

* * *

Al lettore non è sfuggita tutta la gravità di questa convenzione, che è, si può dire, unilaterale; poiché di fronte ai molti ed onerosi

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(1) Archivio delle 3 chiavi - N. 155 - f. 9.

(2) Annali del Mugnoni - ad annum.

 


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obblighi imposti al comune, nessun determinato impegno assumevano in corrispettivo i monaci Olivetani. Dobbiamo, quindi, supporre che in questi avesse il comune una tale illimitata fiducia. da non ritenere necessario di consacrare in un atto pubblico quelli che avrebbero dovuto essere in perpetuo gli obblighi dei monaci verso il comune e verso il popolo dei devoti. Ma più che altro è da credere che comune e popolo si affidassero alle disposizioni che sarebbero state incluse nella bolla, che la suprema autorità del pontefice avrebbe emanata in materia.

È certo che i priori del comune si affrettarono a proporre al consiglio generale l'approvazione di quanto avevano convenuto coi monaci i due deputati Natimbene Valenti e Gregorio di ser Giovanni Petroni. Infatti il 15 Marzo 1489 — una settimana dopo il contratto — il consiglio deliberava con 84 voti favorevoli e 7 contrari che i signori priori dovessero ottenere la bolla pontificia di conferma del capitolato coi monaci Olivetani. E intanto, per cominciare a mettere in esecuzione ciò che nei capitoli era contenuto, si procedeva alla nomina dei due «operai» che furono Gregorio Petroni e Pierfrancesco Lucarini ; e del camerlengo che fu Bartolomeo Pascucci, ai quali si raccomandava l'osservanza del capitolato, secondo la loro solita diligenza (1). Fino al 22 Luglio di quell'anno, però  non era ancora venuta l'approvazione pontificia; forse, anzi, non era stata neanche domandata ; poiché in quel giorno il consiglio generale deliberava all' unanimità di mandare al papa il capitolato stipulato coi monaci per la conferma ; e ciò «per più abbondante cautela e maggiore sicurezza di tutti».

Però  nonostante il possesso preso, nonostante l'invocata approvazione pontificia, gli Olivetani non restarono alle «Lagrime». Forse - osserva Durastante Natalucci - «o perché tali capitolazioni divenissero esorbitanti al pubblico, o perché più non soddisfacessero agli Olivetani» (2). Fu così che ogni provvedimento escogitato per affidare il nuovo santuario ai monaci, che il comune avrebbe preferito, rimase senza effetto. La questione restò  insoluta, per il momento; ma era così grave ed urgente che il comune, perduti gli Olivetani, si rivolse - come ho detto precedentemente - ad altri ordini religiosi. Ma non si giunge ancora alla soluzione desiderata, che verrà dopo altri due anni circa.

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(1) Archivio delle 3 chiavi - N. 155 - f. 120 t.

(2) Durastante Natalucci, Historia diTrevi, ms: in Archivio Natalucci f. 229 s.

 

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 — pagg. da 89 a 96)

 

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