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Recentemente restaurata (2010)
Arroccata in
posizione impervia sulle balze della montagna alle spalle di Trevi, la
Chiesa di S. Caterina è ridotta a poco più di una capanna.
Il luogo è molto suggestivo e dalla piccola spianata antistante si gode un panorama straordinario. L’elemento più interessante è la parete di fondo interamente occupata da un affresco di m 3 x 2,70. Vi è rappresentata una Crocifissione. Le figure sono a grandezza naturale e la scena è estremamente drammatica Probabilmente la chiesa fu abbandonata per la sua posizione alquanto difficile da raggiungere e anche perché a duecento metri esisteva la chiesa, ben più grande e giornalmente officiata, del magnifico convento dei Cappuccini prima che venisse fagocitato dal cimitero. |
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Antichissima
e sempre viva fu la devozione dei trevani verso S. Caterina, come
testimoniano varie opere pittoriche che nei secoli decorarono edifici
sacri e profani della città e del contado e questa chiesetta, dedicata
alla martire alessandrina, dette addirittura il nome alla località che da
tempo immemorabile è chiamata "la costa di S.Caterina".
Ma nella memoria dei vecchi trevani S. Caterina ha anche un particolare
riferimento alla coltura dell'olivo, poiché proprio la data della sua
festa - il 25 di novembre - iniziava tradizionalmente la raccolta del
prezioso frutto, dopo aver assistito alla celebrazione della Messa nella
chiesetta che è letteralmente circondata dagli oliveti.Alla fine del 19°
secolo la chiesa di S. Caterina venne demolita quasi completamente per
recuperare la pietra necessaria per la costruzione dell'ala est
dell'ospedale e da allora venne ridotta nella situazione attuale. Pur
seguendo criteri estremamente pragmatici e utilitaristici – niente di
nuovo sotto il sole! – gli amministratori di allora vollero almeno
risparmiare il grande affresco della parete di fondo. Ora infatti rimane
soltanto la suddetta parete e un piccolissimo vano antistante, chiuso da
una tamponatura in mattoni.
Nel 1942 richiamò l’attenzione su questa chiesa il benemerito sacerdote trevano don Aurelio Bonaca con una piccola pubblicazione in cui lamentava che il grandioso affresco ormai ornava soltanto una capanna che veniva utilizzata come ricovero per le raccoglitrici di olive. L’appello del Bonaca fu regolarmente ignorato dalle autorità di allora perché c’era la guerra e dai loro successori perché c’era la ricostruzione. Negli anni ’70 l’affresco fu esaminato da Silvestro Nessi che lo retrodatò di un secolo, collocandolo ai primi del ‘300 e lo attribuì al Maestro di S. Chiara di Montefalco, (Spoletium n. 21, 1976) in base a evidentissime analogie tra i due dipinti. Ma anche allora, presi da grandi opere, nessuno se ne interessò. Il Nessi riportò anche la curiosa notizia che nel 1632 l’affresco era stato studiato dal cappuccino p. Zaccaria Boverio, che dal saio di S. Francesco raffigurato ai piedi della croce, aveva tratto informazioni per ricostruire nel tempo la foggia dell’abito dei francescani. Il dipinto fu successivamente visitato da tutti i maggiori studiosi e dalle autorità preposte. Nell’estate del 2000 il pittore naif trevano Vittorio Paris dette notizia, raccolta anche dalla stampa locale, di una recente forzatura della porta, probabilmente ad opera di alcuni senzatetto i quali avevano conficcato dei chiodi nella pittura per usarli come attaccapanni. |
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