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Don Eugenio Venturini
Parrocchia di Santa Croce in Trevi. Memorie
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CAPO 8° LE
OPERE D'ARTE NELLA PARROCCHIA DI SANTACROCE |
Nota:Tra parentesi acute < > è riportato il numero della carta (foglio). Eventuali parole divise tra due pagine sono state trascritte per intero nella pagina che precede.
Il testo in colore, tra parentesi quadre [ ] è stato aggiunto all'atto della trascrizione
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47° La storia nazionale, profana ed ecclesiastica, ci presenta personaggi umbri, cospicui; ma in simil modo non ci presenta la regione istessa, l'Umbria. Sede di popoli antichissimi "Umbrorum gens antiquissima Italiae" almeno se Plinio non erra, popoli forse immediatamente successivi ai pelasgi aborigini; due volte soltanto la veggo figurare nel gran quadro storico d'Italia. Dopo la guerra sannitica l'Ubria, impensierita dal pericolo di cadere sotto la dominazione di Roma, le intima guerra , e raccoglie frqa le diverse sue genti un esercito, che, senza ordine e disciplina, aggredisce temerariamente il nemico, reduce dal Sannio. Fu disfatto da questo, quasi divertendosi e poco meno che senza combattere. Così l'Umbria cadde tanto indecorosamente sotto il giogo romano. Dopo lungo volgere di secoli, l'Umbria si mostra non più impugnando una spada dissennata e codarda, ma tenendo un pennello nella mano del Perugino, che lo ebbe poi passato alla eletta schiera dei suoi alunni.
Forse non sarebbe una grande esagerazione il dire che quasi ogni terra della valle Umbra, e perfino certi suoi angoli oscuri vengono illustrati da un affresco di qualcuno di quello stuolo di pittori, o almeno di quella scuola. La nostra Santacroce non ha la pittura della scuola Umbra, ma vai più innanzi, alla fiorentina, a quella di Giotto. Si sa bene che questo gigante dell'arte
<61v> lavorò non poco nella basilica di S.Francesco di Assisi, nel suo genere monumento forse unico al mondo. Giovanissimo allora, quale egli era, corse anche in altre località circonvicine col suo pennello. Qui in Trevi lo ebbe però soltanto il monastero di Santacroce, allora nascente. In una cappella compresa dietro il suo ambito, di cui pochi anni fa fu demolita la parte anteriore ad eseguire la fotografia del dipinto, commessa dalla Congregazione di Carità al Cimini [Francesco e Giuseppe Cimini erano fotografi di Foligno intorno al 1870. Francesco si stabilì poi a Spoleto in piazza S. Lorenzo], tutta la parete di fronte presenta in affresco il Calvario con alcuni santi. La pittura con positiva asseveranza viene attribuita al Giotto da tutti, anche dai due imbrattatori, che, l'uno durante il Seicento, l'altro nel Settecento, benché, secondo le memorie, la dichiarassero di quel sommo, non si peritarono di porvi la loro mano profana, e di sottoscrivervi la memoria del sagrilegio artistico, che commettevano.Questa edicola cosa era? ... Una cappella interna al monastero; o forse la chiesina primitiva? ... Non saprei; ma quivi presso, pochi anni fa scavandosi per l'opera di fortificazione del muro superiore, furono trovate ossa e teschi. Ciò sarebbe indizio più di chiesa che di cappella.
48° Non è stato il solo Giotto, che da Assisi è venuto a Trevi a portarvi il tributo del suo genio, ma col discepolo anche il maestro. Sulla facciata di una meschina capanna, tale almeno è al presente quì nella bassa Piaggia, eravi effigiata una Madonna col Bambino in braccio, e con sotto la
<62> scritta, colla quale Cimabue diceva di averla fatta. La stabilitura aveva sofferto degli screpolamenti, e la pittura era scolorita e un po' guasta; ma Laghi di Assisi pochi anni fa dette cento lire alla proprietaria della capanna e con l'opera paziente di alcuni giorni fece il distacco del dipinto per collogarlo altrove.
Qui chi legge, dirà - ma Trevi così conservava questi tesori d'arte che possedeva?
Di ciò non è da far molto le meraviglie. Nei tempi passati i nostri vecchi li tenevano come moneta erosa; poco più di una imbiancatura qualunque di un muro. Furono i ladri che ne scoprirono loro il valore, i Sans coulottes della Francia, che nell'invasione del 1799 e nella seguente dominazione fino al 1814, con tanta avidità loro li rapirono. Allora quei nostri parrucconi (li chiamo così, perché gran cura mettevano nell'attillare il capo scarico con la parrucca , che giù per la nuca terminava loro il codino) allora aprirono gli occhi, e videro il valore della depredazione.
49° Il monastero di Santacroce possedeva una altra opera d'arte pittorica, che, grazie alla ignoranza del suo pregio, restò salva, attraversando le peripezie del Governo francese e l'abbandono del monastero e della chiesa per un tratto di non pochi anni, dal 110 al 171. E' una pittura in tavola a forma di trittico. E' divisa in quadretti in numero di quattordici, e quanti nel loro complesso rappresentano quasi tutti i tratti principali della vita del Salvatore, presso a poco quelli
<62v> espressi nei misteri del Rosario, e più le immagini di alcuni Santi. Resta sempre misterioso il suo autore, ma non è misteriosa la classicità del lavoro.Il bel dipinto, che aveva tralasciato, come sopra si è detto, un periodo critico, contro ogni previsione e ad un tratto fu sul punto di esser perduto alla chiesa. Nel 1867 un ladro (e si disse un certo Gesualdo dimorante a Fabbri) nascostosi entro la chiesa in sulla sera, e fattovi chiudere, nella notte, dalla sagrestiola, nella quale si trovava appeso nella parete, lo involò. Ma alcuni giorni dopo, esso, o temendo di essere scoperto, o vedendosi imbarazzato a trafugarlo per la vendita, lo depositò in un vano disabitato ed aperto non lontano della chiesa, e così fu rinvenuto. La Parrocchia peraltro lo dové consegnare al Comune, che lo trasse a sé sotto titolo di conservazione e custodia, collocandolo nella sua piccina sobuscura pinacoteca, dove tuttora si ritiene. Lo stesso Municipio, il 12 Luglio 1867, rilasciò contemporaneamente all'atto di consegna una Dichiarazione, che afferma la proprietà del trittico spettante alla chiesa di Santacroce, e il titolo di conservazione custodia del medesimo, attribuito a sé stesso. Un identica dichiarazione fu rinnovata, a mia richiesta, e confermata dallo stesso Officio il 21 Marzo 1900. Ad onta di tali ricognizioni di proprietà, la chiesa, ritengo, non ne avrà ami più il possesso, e resterà sempre un titulus sine re. L'unico vantaggio, che forse potrà averne, opino che possa essere, quando l'amministrazione della Chiesa si trovasse in grande frangente economico per
<63> qualche grave infortunio, forse le potrà venir permesso di operarne la vendita a riparare il suo disagio. Credo poi superfluo l'inculcare e il raccomandare tutta la maggior cura di conservare le dette dichiarazioni, perché, lapsu temporis, dalla perdita del possesso non si abbia facilmente a passare a quella pure della proprietà. questa, in verità, è un diritto, ma, divisa dal possesso si riduce sd un titolo; e questo può svanire se non comprovato dai documenti.
50° Anche il quadro dello altare maggiore della Chiesa di Santacroce è stato giudicato da un intelligente, della scuola di Pietro da Cortona e meritevole di pregio. In Esso vedi la beatissima Vergine con sulle ginocchia, il Bambino che anela alla Croce. Essa abbassa uno sguardo pietoso sopra i due Santi che dall'uno e dall'altro i due lati stanno prostrati in adorazione: S.Benedetto alla destra e Santa Maria Maddalena alla sinistra. Al vedere l'accoppiamento di questi due Santi, tra i quali non havvi veruna connessione storica, si desta una perplessa curiosità d'indovinarne la ragione: eccola. Nel 14.. il monastero di S. Maria in Maddalena che sorgeva fuori e dappresso la Porta del Cieco venne assalito da una masnata di popolo della Città. Le povere monache ne fuggirono ricoverandosi nel monastero di S.Croce. Di poi non ne partirono più e i due monasteri si fusero insieme. Nella erezione, il 1784, della nuova chiesa di S.Croce, che è l'attuale, effigiandosi nel quadro i rispettivi Santi, l'uno fondatore dell'ordine l'altro titolare della propria chiesa, si volle così significare l'unione dei due monasteri.
<63v> Null'altro ho a dire dell'opera d'arte qui contenute; ma non posso a meno di notare la profusione degli ornati a stucco della chiesa e la dilicatezza del loro lavoro, specialmente il quei due giojelli degli altari laterali. E la facciata della Chiesa non è che un'opera muraria, è vero, con una cornice in pietra lavorata alla porta. Eppure ha il pregio di esser l'unica fra tutte le altre del paese, che sia degna di presentare ai riguardanti un prospetto conveniente ad una chiesa.
Ad ogni modo, per quanto poco, anche la Parrocchia di S.Croce partecipa al tesoro, di cui no potrà giammai calcolarsi l'innumerevoleza e la preziosità, delle arti liberali d'Italia.
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