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Prof. Cav. DON Aurelio Bonaca

PRIORE DI SANTA CROCE

 

LA PIAGGIA DI TREVI

NOTIZIE STORICHE

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IL PATRIMONIO ARTISTICO DEL COMUNE DI TREVI
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REALE STABILIMENTO

SOC. POLIGRAFICA SALVATI

FOLIGNO - ROMA - MILANO

 

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Nota.

 Il testo tra parentesi quadre [ in grigio ] è stato aggiunto all'atto della trascrizione. Tra parentesi acute < > è riportato il numero della pagina del testo a stampa

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Trevi, 29 giugno 1942-XX

Carissimo D. Sossio, diletto fratello in Cristo,

Sento la necessità di dedicarti, nel giorno più solenne e più sublime della tua vita, un mio ricordo. Non posso pensare a grandi cose, ma spero riuscirà gradito questo mio lavoro, che riguarda la storia della mia Parrocchia e le memorie delle opere d'arte sparse nel Comune di Trevi. E' il ricordo del passato, che risveglia in noi alti sentimenti, che ci rende in qualche modo orgogliosi, riaccende il desiderio di mantenere la nostra Parrocchia ed il nostro Comune degni di coloro che ci precedettero nella nostra terra e ci lasciarono largo retaggio di bene e di gloria.

Nell'occasione della tua prima Messa, nel giorno in cui comandi, per la prima volta, a Gesù di scendere tra le tue mani dal Cielo, non mancheranno i ricordi e le parole di persone dotte e buone e mi sentirei dappoco e umiliato se volessi unirmi a loro nell'alto linguaggio. Per questo ho scelto un altro ricordo da lasciarti, pur unendomi con lo spirito a chi sa dirti tante cose belle.

All'opera mia di Sacerdote ho sempre associato il desiderio di illustrare il paese in cui sono vissuto, sicuro di fare opera non immeritevole, ed oggi a te dedico la storia della Pioggia e cerco illustrare il nostro patrimonio artistico, sicuro di mantenere alto anche in te il senso del bene e del bello e di ispirarti sempre di esser degno del tuo Ministero, delle opere tue, di quanto sentirai l'ispirazione di fare.

Non so dove il nostro amato Superiore ti destinerà, ma dovunque tu vada, ricordati sempre della Parrocchia in cui sei vissuto, di fare ad essa onore con l'opera tua, che ti spingerà sempre a fare il bene alle anime a te affidate, e a render glorioso, innanzi a Dio specialmente, il lembo di terra che dovrai custodire ed amare. Tutto ciò tornerà a

 

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gloria della tua Parrocchia di provenienza e consolerà il tuo Parroco, che sarà lieto nel saperti Sacerdote zelante, ricco di meriti, apportatore di bene dovunque.

I risultati dell'opera tua buona ti riempiranno di gioia e ti faranno sempre lieto. Purtroppo nella nostra vita terrena le gioie non sono molte, eccettuate quelle che ci possono venire dalla tranquillità di coscienza, dalla sicurezza di fare il proprio dovere con sentimento e con fede. Può darsi il caso di incontrare tra gli uomini incomprensione, ignoranza, malvagità ... Cagiona questo un gran dolore in noi, ma, o fratello, dimentichiamo generosamente, perdoniamo e ciò costituirà un trionfo. Con tutto l'animo mio ti auguro di trovare sempre appianata la via, di non trovare difficoltà di nessun genere e di non dimenticare mai che lavorare per il Signore, agire con rettitudine di coscienza, esser severo osservante di ogni dovere, è ciò che consola, aiuta, spinge sempre più ad operare ed in fine dà la soddisfazione di sentirsi, nell'intimità dell'animo proprio, molto al di sopra della zavorra che ci circonda, per quanto, di fronte a Dio, si debba riconoscere di essere poveri granelli di polvere.

Un altro augurio parte dal mio cuore per te, augurio di Sacerdote, augurio di amico, che ti vuoi bene: la mamma tua e il babbo tuo ti siano conservati per lunghissimi anni! La fortuna più grande per un Sacerdote è quella di avere la propria mamma; che questa fortuna ti conceda il Signore, dal quale scenda su te il Suo aiuto e la Sua benedizione!

Carissimo D. Sossio, ricordami sempre nelle tue preghiere; io pregherò per te! Oremus ad invicem! Sarà questo il vincolo che ci terrà uniti nel Signore.

Ti abbraccio nel Sacro Cuore di Gesù!

 
 


Aff.mo nel Signore
Don AURELIO BONACA

 

 

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LA PIAGGIA DI TREVI

 

Chi guarda una fotografia del panorama di Trevi presa dall'aeroplano, vede subito come questa graziosa cittadina è nettamente divisa in due parti: la parte superiore, di forma rotonda, conserva ancora la figura dell'antico pagus umbro; il visitatore può rintracciarvi ancora i tre ordini di mura antiche, che con un triplice anello formarono una fortezza davvero formidabile (1).

A questa parte, che si affaccia civettuola da uno dei più bei colli sulla verde vallata umbra, si aggiunge una specie di appendice, che è, per estensione e per popolazione, quasi più grande di Trevi alta. Tale parte fu chiamata «La Piaggia», ma. non saprei dire quando; forse ebbe tal nome perchè sita in un declivio, tra la pianura e la montagna. Comunque sia, mi piace trattarne la storia per quanto modesta essa possa essere (2).


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L'origine della Piaggia di Trevi, come fanno fede i fabbricati, è relativamente recente.

Il 16 luglio 1213 il Duca Diepoldo di Spoleto decretò (3) la distruzione di Trevi e gli spoletini nel 1214

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(1) Conte dott. Tommaso Valenti: Curiosità storiche trevane. Foligno, Campitelli, 1922, pag. 19.

(2) Le notizie riportate in questo lavoro sono tratte da documenti conservati nell'archivio parrocchiale.

(3) Achille Sansi: Documenti storici inediti, Foligno, Sgariglia, anno 1879, pag. 222.

 

 

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ridussero la cittadina rivale un cumulo di rovine; gli abitanti furono uccisi o cacciati in esilio. La distruzione fu generale, e solo qualche anno dopo i pochi superstiti tornarono sulle rovine della patria sventurata e si diedero a rifabbricare la città, con l'aiuto di Foligno, che vedeva in Trevi un baluardo contro Spoleto. I folignati, dopo averne ottenuto il dominio da Innocenzo III, costruirono, verso la parte più alta, una rocca e favorirono i restauri. Trevi in breve risorse.

Fu certamente poco dopo la ricostruzione di Trevi che ebbe origine la Piaggia, come fanno fede le notizie. per quanto scarse, che ci rimangono intorno alla fondazione dei Monasteri di Santa Croce (1300?), Santa Chiara (1298) e Santa Lucia (1344), che sorsero quando Trevi tornava a rifiorire.

La Piaggia può considerarsi divisa in tre zone: quella verso nord comprende i due Monasteri di Santa Chiara e Santa Croce cd il palazzo e altri fabbricali della illustre famiglia Valenti; l'altra verso sud abbraccia Santo Stefano con l'annesso Ospizio dei Monaci di Bovara, e il Monastero di Santa Lucia, Tra queste due zone sorge la terza, che fu opera di privati cittadini.

Come si vede, la costruzione della maggior parte della Piaggia si deve a istituzioni ecclesiastiche, ognuna delle quali ha la sua storia, di cui però non mi occuperò qui(1).

Le mura castellane circondano a nord e sud questa parte di Trevi, mentre a ponente si stende, come baluardo, il Monastero di Santa Chiara. Tre porte, quella di San Fabiano, quella del Bruscito e l'altra detta la porta nuova si aprono nelle mura castellane; le prime due furono fornite di un ben munito corpo di guardia; l'altra fu aperta in tempi recenti (2).

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(1) Chi volesse conoscere meglio la storia di questi monasteri può vedere le mie monografie: Le memorie francescane di Trevi, Vallecchi 1927, pag. 32; Religione e beneficenza in Trevi, Tipografia dell'Umbria, Spoleto, 1935, pag. 21 e pag. 34.

(2) Conte dottor Tommaso Valenti: Curiosità storiche trevane, pagina 22 e seguenti.

 

 

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Famiglie distinte per origine, per censo, per coltura abitarono nella Piaggia: Paolelli, Natili, Stocchi, Petrelli, Gemma sono nomi di famiglie che onorarono Trevi; oggi esse sono scomparse. Rimane ancora la preclara famiglia Valenti, decoro e lustro non solo di Trevi, ma di tutta la nostra regione. Ad essa apparteneva il dott. Tommaso Valenti, testè deceduto, autore di parecchie opere storiche apprezzatissime.

Come è facile pensare, la storia di questa parte di Trevi è la storia della Parrocchia; è quindi con vero amore che prendo a narrare le vicende della Piaggia, ora affidata ecclesiasticamente alla mia responsabilità.


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La Parrocchia della Piaggia ebbe per prima sede la Chiesa di San Fabiano, sita nelle vicinanze della porta San Fabiano, verso sud-ovest. Questa chiesa è di origine antichissima; quel che rimane infatti di essa ci presenta un fabbricato forse anteriore al mille. Fu certamente risparmiata nella devastazione del 1211, come furono risparmiate altre Chiese; ora restano soltanto delle rovine con una casa cadente ed un orto attiguo. L'architrave in pietra della porta della Chiesa, di alta età romanica, è presentemente adattato a timpano della porta della sagrestia di Santa Croce, dove fu trasportato nel 1900, quando all'opera del tempo si aggiunse quella dell'uomo nella manomissione della vetusta Chiesa di San Fabiano. Il prof. Caraccioli dell'Accademia di Belle Arti di Perugia giudicò questo lavoro del secolo decimo.

Quando e da chi fu costruita questa Chiesa? E' impossibile precisarlo. Possiamo però supporre che sia stata opera dei Monaci Benedettini, che nel nostro territorio costruirono tante Chiese e lasciarono profonda impronta della loro attività.

Il Vescovo Lascaris di Spoleto, nella relazione della sua visita pastorale, lasciò scritto che Chiesa e Parrocchia appartennero in origine ai Monaci Celestini di Fonte Avellana: di quella Abbazia presso la quale

 

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Dante. cacciato in esilio dalla madrigna Firenze, andò a chiedere pace in una notte di dolore.

E' certo che l'Abate di Fonte Avellana ebbe giurisdizione sopra questa Parrocchia; ne nominava infatti il Parroco; ciò risulta da vecchie memorie conservate nell'archivio parrocchiale. Quando Gregorio XIII cedette quell'Abbazia al Collegio Germanico, la nomina del Parroco di San Fabiano passò alla Dataria fino alla prima metà del 1400, quando il Vescovo di Spoleto giustamente estese la propria giurisdizione sopra tutte le Parrocchie del suo territorio.

Il Priore della Piaggia aveva, nelle processioni e nelle funzioni religiose a cui prendeva parte, la precedenza ai Canonici della Collegiata di Sant'Emiliano.

Forse, come era in uso in origine, l'Abate di Fonte Avellana esercitava la sua giurisdizione per mezzo di un Priore, che, insieme con alcuni Monaci, abitava in San Fabiano ed aveva cura d'anime. Più tardi, quando chi sa per quali vicende, i Monaci se ne andarono, il popolo seguitò a chiamare Priore il nuovo Parroco, e tale titolo fu tramandato fino ai giorni nostri. So benissimo che questa è una mia congettura, ma mi sembra assai probabile. Valga come esempio l'Abbazia di San Pietro di Bovara, la quale esercitava giurisdizione, oltre che su tante altre Chiese curate, anche sopra San Donato di Buiano, Santa Croce in Valle dell'Aquila, Sant'Arcangelo e Santa Maria di Pigge per mezzo di altrettanti Priori; io stesso poi ho trovato in alcuni luoghi che il popolo seguita a chiamare Abate il Parroco secolare attuale, solo perchè abita in una ex Abbazia, o perchè è succeduto ad un antico Abate nella cura delle anime.

La chiesa di San Fabiano era però angusta, oscura, umida e sita in località scomoda per i parrocchiani; s'imponeva la necessità di traslocare la Parrocchia in altra sede.

 

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Nel 1644 alcuni Sacerdoti di Trevi e alcuni pii uomini cominciarono a riunirsi, nei giorni festivi, nel piccolo Oratorio detto del B. Pio per darsi a pratiche di pietà. In breve la Chiesina apparve troppo angusta, ed allora quelle pie persone si trasferirono nella Chiesa di Santa Reparata. Fu in quel tempo che P. Cesare Vitelleschi da Foligno, morto poi in concetto di santità, consigliò quei Sacerdoti e quelle pie persone a dare inizio a una di quelle Congregazioni istituite in Roma da San Filippo Neri nel 1575 per incrementare nel clero e nel popolo una vera e soda pietà. Il consiglio del Vitelleschi fu seguito ed anche a Trevi sorse una Congregazione dei Padri dell'Oratorio. Da principio ne fecero parte otto Sacerdoti: D. Antonio Antichi, D. Corrado Ricci, D. Fabio Celi, D. Giovanni Antonio Costa, D. Venturino Bovarini, D. Carlo Amici, D. Francesco Mandarini e D. Flaminio non meglio identificato. Poco dopo furono aggregati D. Loreto Pontani, D. Gismondo Lucarini e D. Carlo Poli.

L'inaugurazione della Congregazione ebbe luogo nella Chiesa di Santa Reparata il 29 agosto 1642, dopo il Vespro cantato nella Collegiata (1).

Nel 1647 la Congregazione venne approvala con Decreto di Mons. Castrucci, Vescovo di Spoleto; aveva a capo un Rettore, un Compagno o Vicario, due Consiglieri, ed era amministrata da un Camerlengo; restavano in carica due mesi ed erano rieleggibili.

Le offerte dei fedeli ben presto diedero vita e consistenza alla nuova istituzione.

Maddalena Merroni da Saluzzo, moglie di Francilli di San Luca, prima del 1649 divise tutto il suo patrimonio tra la Congregazione Filippina e la Chiesa di Sant'Antonio in Piaggia.

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(1) Questa chiesa fu demolita verso il 1854 per la costruzione della strada nuova, che conduce alla ferrovia.

 

 

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Filippo Valenti, col suo testamento a rogito di Giacomo Simoncelli di Roma, il 7 marzo 1618, lasciò alla Congregazione un censo di scudi dieci all'anno, in perpetuo. Esecutore testamentario fu il nepote Giacomo, Governatore delle armi in Urbino.

Ma chi diede propriamente le basi alla Congregazione fu D. Giovanni Antonio Costa con la creazione eli un Prelegato di scudi 1500, con l'onere di mantenere due Cappellani nella Chiesa di San Filippo con la retribuzione di scudi venti all'anno per ciascuno.

Il 3 dicembre 1659 Gentile Catasti e sua madre cedettero alla Congregazione un censo in sorte di scudi venticinque.

Finalmente Innocenzo X, con Breve del 1663, concesse in favore della nascente Congregazione Filippina, i beni, le rendite e le suppellettili della Chiesa e del Conventino di Sant'Antonio, che restò soppresso

In tal modo ebbe origine quel cospicuo patrimonio, che potè più tardi dar vita alle quattro Cappellanie della Piaggia e di cui parleremo più avanti.

Ma la Chiesa di Santa Reparata era troppo piccola, troppo fuori mano e cominciò ad affacciarsi l'idea di costruire una nuova sede, sotto il titolo di San Filippo Neri.

L'idea incontrò il generale consenso e Filippo Valenti elargì cinquecento scudi per la nuova fabbrica, che fu iniziata presso la porta del Fiscale, oggi scomparsa, ma che si trovava all'imbocco della via del Fiscale. così detta da Benedetto Valenti, proprietario del palazzo sottostante e avvocato fiscale della Curia Romana.

Ma il luogo scelto non sembrò adatto e la fabbrica fu sospesa.

Fu allora che D. Giovanni Antonio Costa, nativo di slanciano, ma residente in Trevi, uno dei Sacerdoti fautori della nuova istituzione ed al quale abbiamo già accennalo, costruì a proprie spese, nella propria casa, in piazza della Rocca, una Chiesa dedicata a San Filippo Neri, e nel suo testamento del

 

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1654 (1) lasciò la metà dei suoi beni a detta Chiesa con il prelegato di millecinquecento scudi, di cui ho fatto cenno e sul quale sarà necessario tornare an

cora in seguito.

Il Costa, nel suo testamento, dice tra l'altro: “In caso che Iddio non voglia che mancasse la detta Congregazione di San Filippo, overo che li fratelli di essa abbandonassero della Chiesa fatta e fabbricata a mie spese nella mia casa, come sopra, ovvero che non facessero le funzioni solite farsi conformi a li capitoli, hora et all'hora comando che li signori Priori della terra di Trevi, che saranno pro tempore nel mese di maggio, assieme al Priore e Camerlengo della Compagnia del SS.mo Sacramento della terra di Trevi ogni anno debbano prendere cura di eleggere due Sacerdoti di vita esemplare per celebrar una Messa il giorno nella delta Chiesa di San Filippo in perpetuo”.

Ho voluto di proposito riportare queste parole per meglio comprendere quanto dirò in appresso.

Morto il Costa ed altri Sacerdoti, i pochi restanti abbandonarono la piccola Chiesa ed acquistarono per scudi 450 da Romolo e Lavinia Valenti, nella Piaggia il palazzo che fu già del Cardinale Erminio Valenti, e nella sala grande eressero un altare e chiamarono questa nuova Chiesa “Santa Maria in Sion”. Era loro intendimento far qui vita comune e accogliere anche altri; la cosa però non prese piede.

La Congregazione, che si era iniziala sotto i più prosperi auspici, con i consigli del venerando Vitelleschi e col favore del popolo, ben presto decadde a

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(1) D. Giovanni Antonio Costa, da Manciano, fu uno dei 15 membri della Congregazione Filippina e (morì in essa il 24 gennaio 1654. Possessore di una proprietà non indifferente, con atto del notaio Francesco Celli del 24 gennaio 1650 istituì il Prelegato (così detto perchè fatto prima del testamento) di scudi 1500, in tutti censi, in favore della Congregazione Filippina, con l'obbligo della celebrazione della messa quotidiana (scudi 40), di rimborsare alla chiesa le spese di sagrestia (scudi 20), di retribuire l'amministratore del Prelegato con scudi 5 e di più, con i sopravanzi del reddito, quando si fossero raggiunti scudi 50, fosse dotata una giovane di una delle tre frazioni: Mandano, Ponze [nel testo: Ponse], Coste, alla quale giovane si dovessero dare anche la veste e le pianelle.

 

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causa specialmente di un certo D. Giacomo Lombardi, ignorante e presuntuoso, il quale cominciò a fare esercizi spirituali ora in una Chiesuola ora in un'altra e si diede ad insegnare errori ed eresie; di lui si occupò anche l'Inquisizione. Gli successe D. Francesco Mandarini, non adatto certamente ad unire gli animi; sorsero malumori e dissidi, che turbarono profondamente il buon andamento della Congregazione. Ne derivò che la vita comune, che doveva essere la base dell'istituzione, non ebbe più luogo, le disposizioni del Costa vennero dimenticate e gli esercizi di religione totalmente trascurali.

Il Cardinale Facchinetti, Vescovo di Spoleto, con Decreto del 25 ottobre 1675, soppresse la Congregazione Filippina e permise soltanto a due Sacerdoti, D. Venturino Bovarini e D. Gianfrancesco Mandarini di celebrare nella Chiesa di San Filippo le Messe ordinate dal Costa e affidò l'amministrazione del Prelegato a D. Francesco Valentini, Vicario Foraneo di Trevi.

D. Crispoldo Paolelli, da 31 anni, Priore di San Fabiano e già Vicario della Prefettura di Norcia, chiese allora al Papa Clemente X di trasferire la Chiesa Parrocchiale in Santa Maria in Sion, lasciando a carico della Parrocchia il Prelegato ed i capitali lasciati dal Costa; chiese ancora che alla Chiesa Parrocchiale fossero incorporati gli stabili annessi alla Chiesina di Sant'Antonio di Padova con tutti i pesi di Messe e che la Parrocchia avesse, in seguito, il titolo di “Santa Maria in Sion e dei Santi Fabiano e Filippo” (1).

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(1) La chiesina di Sant'Antonio, sita ai piedi della Piaggia. era stata fatta costruire dai fratelli Cosma e Damiano Parriani, i quali nel 1634 e 1642 l'avevano dotata di qualche terreno e qualche fabbricato.

I frati francescani del «Terz'Ordine», avevano accettato di fondarvi un piccolo convento per iniziarvi una infermeria e un ospizio per i viandanti. Dato il numero esiguo dei frati, il luogo disagiato e angusto, tutt'altro che adatto per una comunità religiosa, Innocenzo X soppresse quel Convento e nel 1653 i suoi beni passarono alla Congregazione Filippina con decreto di mons. Castrucci, vescovo di Spoleto.

A carico della chiesa di Sant'Antonio erano alcuni legati di Messe, i quali passarono prima alla Congregazione Filippina e poi ai Cappellani di Santa Maria in Sion, oggi di Santa Croce.

 

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Con Breve del 16 luglio 1676 la domanda del Priore Paolelli venne pienamente accolta.

Il 17 agosto dello stesso anno il Vicario Foraneo di Trevi. per ordine del Cardinale Facchinetti, emise un Decreto con il quale veniva traslata la Parrocchia dalla Chiesa di San Fabiano in quella di Santa Maria in Sion e tutti i beni della soppressa Congregazione Filippina devoluti alla stessa Parrocchia; la presa di possesso fu registrata con atto del Cancelliere Foraneo

Emiliano Degli Abati.

Secondo la richiesta del Priore Paolelli, il Breve di Clemente X decretava che con i beni dell'ex Congregazione fossero fondate quattro Cappellanie; uno dei quattro Cappellani fosse il Priore pro tempore e gli altri tre fossero coadiutori del Priore nella cura di anime. Con lo stesso Decreto del 17 agosto 1676 furono nominati i primi quattro Cappellani nelle persone del Priore D. Crispoldo Paolelli. dei due superstiti oratoriani D. Gianfrancesco Mandarini e D. Venturino Bovarini, e del Can. D. Antonio Brunetti.

Il Mandarini e il Bovarini ricorsero contro tali  disposizioni, ma ogni loro protesta cadde nel nulla.

Il 19 giugno 1677 il Cardinale Facchinetti, con la facoltà che gli conferiva il Breve di Clemente X,

decretò:

1° - Il Priore deve essere il primo Cappellano e a lui spetta la diretta cura delle anime.

2° - Gli altri tre Cappellani devono coadiuvare il Parroco nella cura delle anime e devono soddisfare ai Legati già a carico della soppressa Congregazione Filippina.

3° - La nomina di due Cappellani, stando allo spirito del testamento del Costa, spetta ai Priori del Comune di Trevi. Tale diritto del Comune rimase in vigore fino a qualche anno fa, quando la Giunta comunale vi rinunziò e così la nomina dei Cappellani è oggi di pieno diritto dell'Ordinario.

 

 

 

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4° - Ai quattro Cappellani spetta, in parti uguali, la rendita dei beni dell'ex Congregazione.

5° - Il Cardinale Facchinetti diede anche sistemazione al Prelegato Costa la cui amministrazione era passata ai Cappellani.

Il Cardinale Facchinetti volle rispettato quanto il Costa aveva stabilito a proposito del dotalizio e confermò che il danaro fosse consegnato dopo il matrimonio, che la dotata prestasse cauzione per la reversibilità della dote in caso che fosse stata di condotta morale non buona o fosse morta senza prole.

Il Costa aveva seguito in questo quanto aveva fatto Sestilio Valenti, il quale aveva formato un dotalizio da amministrarsi dalla Confraternita del Crocefisso.

Le giovani dotale dovevano inoltre intervenire alla Processione che la Confraternita del SS.mo Crocefisso soleva fare nella festa della Annunciazione di Maria, e dovevano indossare la veste e le pianelle ricevute. Le pianelle erano le calzature femminili del tempo.

Per il Prelegato Costa la scelta delle giovani da dotarsi era lasciata al Priore e ai Cappellani.

Mi sembra doveroso notare che i Cappellani riuscirono ben presto, con una saggia amministrazione, ad aumentare le rendite del Prelegato fino a poter conferire la dote ogni anno, e, nel giorno della festa di San Filippo, a dare un soldo (che allora rappresentava qualche cosa!) ad ogni parrocchiano Più tardi, invece della veste e delle pianelle, si dava alla giovane dotata la somma di L. 16,50.

La Congregazione di Carità, in forza delle leggi del tempo, il 21 dicembre 1864, avocò a sè per intero l'amministrazione del Prelegato Costa, ma commise evidentemente un allo non giusto, perchè la legge stabiliva che quando una istituzione avesse il doppio scopo di culto e di beneficenza, si dovesse concentrare nella Congregazione soltanto la parte che doveva assicurare la beneficenza, lasciando il resto al legittimo possessore.

 

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I Cappellani avrebbero potuto intentare giudizio, ma non lo fecero e non saprei dire perchè.

Oggi il dotalizio non viene più conferito, il soldo ai parrocchiani non viene più dato; tutto è stato devoluto in favore dell'ospedale. Alla Curia Arcivescovile di Spoleto è ora versata una piccola somma in favore della Parrocchia di Santa Croce insufficiente però per mantenere in vigore gli obblighi lasciati dal Costa.

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Prima di chiudere l'argomento della eredità Costa, devo dire che anche le Cappellanie ebbero le loro bufere.

Nel luglio 1866, il Can. D. Arcangelo Cecchini. uno dei Cappellani, fu violentemente privato del suo beneficio dall'Ufficio del Demanio di Spoleto; il Cecchini reagì, ma poco dopo morì.

La stessa violenza fu fatta poco appresso a D. Alessandro Muzzi.

A D. Giuseppe Andreucci, altro Cappellano, era canonicamente succeduto nel 1864 D. Valentino Benedetti Valentini, ma il Demanio gli negava il possesso del beneficio. Dopo il 1870 il Muzzi ed il Valentini iniziarono un processo contro il Fondo Culto, presso il Tribunale di Spoleto, per la rivendicazione delle loro Cappellanie, adducendo che la cura d'anime clava ad esse una figura tale da renderle insopprimibili. Il Tribunale diede loro ragione, ma negò la restituzione delle rendite percepite, ammettendo in favore del Fondo Culto la buona fede. Tanto il Demanio, quanto i due Cappellani interposero appello alla Corte di Perugia, la quale negò la buona fede del Demanio e accolse le richieste del Muzzi e del Valentini. Così due Cappellanie vennero riconquistate.

Rimaneva nelle mani del Demanio la terza Cappellania. Nel 1870 era stato nominato a successore eli D. Arcangelo Cecchini, il Rev. D. Filippo Benedetti Valentini; anche a lui il Demanio negò l'investitura,

 

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adducendo per ragione il possesso ultra quinquennale dei beni. D. Filippo ricorse al Tribunale di Spoleto, ma la questione passò poi alla Corte di Appello di Perugia ed in fine alla Cassazione, la quale rinviò il processo al Tribunale di Ancona, che accolse in pieno le ragioni addotte dal Valentini.

In tal modo il patrimonio lasciato dal Costa, per la parte riguardante l'istituzione delle Cappellanie, fu salvo e se ne deve il merito ai tre Cappellani, che sostennero personalmente ogni spesa.

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 Avvenuta la traslazione della Parrocchia, la Chiesa di San Fabiano restò abbandonata ed adibita a tutt'altro uso. In un certo momento servì come cava di pietra per estrarre materiale per la costruzione del campanile di Santa Croce.

Anche la casa annessa, forse già abitazione parrocchiale, fu 'abbandonata e andò sempre più deperendo, fino a ridursi allo stato attuale di vero disfacimento.

Dove andasse ad abitare il Priore, non saprei. Sta di fatto che il 23 gennaio 1695 una certa Anna del quondam Paolo da Parrano lasciò, per abitazione del Priore, nella Piaggia, una casa di dieci vani con annesso un piccolo orto. L'erede di Anna, Giuseppe Andreangeli, il 28. marzo 1733, diede esecuzione a questa parte del testamento.

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I beni delle Cappellanie ebbero il nome di Massa Comune fino al 16 luglio 1680, quando furono divisi in parti uguali, ed ogni Cappellania ebbe la sua parte.

La divisione avvenne in base alla perizia redatta da Niccolò Parriani di Parrano e Gentile Rinaldi delle Picciche, con atto del Cancelliere Foraneo Emiliano Degli Abati.

 

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Il Priore Venturini suppone sarcasticamente che tale divisione sia derivata dal disaccordo dei Cappellani, come può credersi “risalendo per la scala dell'analogia”.

In forza della divisione, ogni parte venne eretta a beneficio o Cappellania, meno quella del Priore che rimase amalgamata con gli altri beni della Parrocchia. Si ebbero così tre Cappellanie sotto il titolo dei Santi Fabiano e Filippo, distinte con l'indicazione di prima, seconda e terza.

La nomina dei Cappellani della prima e terza fu lasciata alla Confraternita del SS.m0 Sacramento e dei Priori del Comune, rappresentati poi dal Sindaco e dalla Giunta comunale, la quale, come ho detto altrove, vi rinunciò qualche anno fa. La seconda fu lasciala al libero conferimento dell'Ordinario Diocesano.

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Dopo l'erezione delle Cappellanie, della Massa Comune rimase ancora il Legato Valenti.

Filippo Valenti (1603 - 1648) di sentimenti veramente religiosi, uomo d'ingegno, tesoriere in Italia di Luigi XIV Re di Francia e tesoriere del Sacro Collegio, col testamento rogato il 7 maggio 1648 da Giacomo Simoncelli, notaro della A. C., tra gli altri legati, ne lasciò uno di scudi dieci in favore della Congregazione Filippina. Questo legato, insieme a tutto ciò che apparteneva a quella Congregazione passò poi ai Cappellani di Santa Maria in Sion.

Ma la Massa Comune crebbe di nuovo per due nuovi legati, Fanti e Natili.

Il 16 settembre 1761. D. Filippo Fanti, con suo testamento a rogito di Giuseppe Mattioli, notaro di Trevi, lasciò, senza alcun onere, i suoi beni ai quattro Cappellani, meno la terza parte di cui fece padrona la sorella Crispolda. Costei però lasciò anche questa parte ai Cappellani con il peso di sedici Messe all'anno.

 

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Cinque anni più tardi, Emiliano Natili lasciò in favore dei Cappellani un legato di trecento scudi con l'onere di trenta Messe all'anno.

In tal modo la Massa Comune aumentò notevolmente.

Altre sei Cappellanie, sotto titoli diversi, esistevano nella Parrocchia, ma un Breve Pontificio del 29 aprile 1837 le soppresse, e con rogito Giambattista Fontana del 23 agosto 1837, i loro beni furono devoluti per due terzi all'Ospedale di Trevi e per un terzo

alla Confraternita del Cuor di Maria in San Giovanni di Trevi.

 

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Nel 1797 fu nominato Priore D. Nicola Lupacchini, che fu particolarmente benemerito della Parrocchia e merita perciò se ne faccia speciale memoria.

Era nato in Visso nel 1769 e pare abbia fatto i suoi studi nel Seminario di Spoleto. Fu precettore dei figli dello spoletino Barone Ancaiani finchè non gli fu affidato il Priorato di Santa Maria in Sion. Quando Napoleone I pretese dai Sacerdoti un giuramento, che offendeva la loro coscienza, il Lupacchini rifiutò e per questo fu mandato in esilio.

Caduto Napoleone, D. Nicola ritornò alla sua Parrocchia, animato da maggior zelo e da più fattiva volontà. Integerrimo di costumi, pieno di attività, caritatevole, attese con tutte le forze al bene spirituale dei suoi parrocchiani. La sua memoria è ancora viva tra il popolo.

Quando Bonaparte soppresse gli Ordini Religiosi, anche il Monastero di Santa Croce fu chiuso e più non risorse.

Non so quando e da chi questo Monastero sia stato fondato; è certo che era proprietà delle Benedettine. Dipese dal Capitolo di San Pietro, al quale pagava un canone annuo di sessanta scudi.

Ad esso, in epoca incerta, fu unito il Monastero di Santa Maria Maddalena, che sorgeva nei pressi

 

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della porta del Cieco, in un punto in cui era stato stabilito erigere le mura castellane. Le Monache non volevano sentirne di cedere la loro casa, e allora i trevani vi appiccarono il fuoco e le Monache furono costrette a fuggire e si ricoverarono presso le Consorelle di Santa Croce. Fu poi fatta una convenzione col Comune, il quale si impegnò di dare alle Monache 250 fiorini, di pagare loro un canone annuo e di costruire una cisterna (che ancora esista) ed una Cappella dedicata a Santa Maria Maddalena. La storia del Monastero non presenta nulla di notevole.

Il Priore Lupacchini, quando fu certo che il Monastero sarebbe stato chiuso per sempre perchè i suoi beni erano andati perduti e le Monache non avrebbero avuto di che vivere, ebbe l'idea di ottenere il trasporto della Parrocchia nella Chiesa di Santa Croce e chiese la parte superiore del Monastero come canonica. D'accordo con le autorità civili di Trevi, fu presentata in proposito una istanza al Pontefice Pio VII, nella quale si chiedeva anche che la parte inferiore del Monastero fosse assegnata per sede dell'Orfanotrofio di San Bartolomeo (l).

Il 15 gennaio 1816, la Congregazione della Riforma, con suo Rescritto, fissò quanto segue:

1° - Il Monastero e la Chiesa di Santa Croce venivano ceduti al Vescovo di Spoleto perchè vi trasferisse la Chiesa parrocchiale, la canonica ed il Conservatorio di San Bartolomeo.

2° - La casa parrocchiale fosse dal Conservatorio «omnino seiuncta».

3° - I pochi beni rimasti fossero assegnati al Conservatorio con la condizione di corrispondere una congrua pensione alle Monache superstiti.

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(1)L'orfanotrofio era stato allocato nel monastero, anch'esso soppresso, detto di San Bartolomeo e già abitato dalle monache francescane dette le povere donne delle sacca. Per altre notizie sul monastero di San Bartolomeo vedere il mio lavoro: Le memorie francescane di Trevi, Vallecchi, Firenze, 1927, pag. 33 e seguenti

 

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4° - Morte le Monache, il danaro delle pensioni fosse passalo alla casa delle convertite in Spoleto, per il mantenimento di due donne di Trevi che avessero abbandonato la vita turpe, ed in mancanza di queste, per il mantenimento di due convertite della Diocesi.

Ottenuto il Breve, il Priore Lupacchini, con atto del notaio trevano Girolamo Mosconi, il 31 luglio 1816, ebbe la consegna della Chiesa e della parte del Monastero assegnata per canonica. Dietro perizia dell'architetto D. Luigi Landini, che teneva in Spoleto, presso la Chiesa della Madonna delle Grazie, un piccolo Convitto in cui istruiva nel disegno alcuni giovani, la Curia Vescovile di Spoleto, con Decreto del 20 marzo 1817, eseguì la divisione tra la Parrocchia ed il Conservatorio. Finalmente il Cardinale Canali, Vescovo di Spoleto, con Decreto in atto di Sacra Visita, ordinò la traslazione della Parrocchia in Santa Croce, ed il 26 maggio 1821, terminati ormai i lavori necessari, la Parrocchia ebbe la sua nuova sede e da allora si chiamò “Priorato di Santa Croce e dei SS. Fabiano e Filippo”.

Il sotterraneo della Chiesa di Santa Croce fu trasformato in cimitero e vi furono costruite tre sepolture: in una furono raccolte le ossa delle Monache e nelle altre due furono trasportate le ossa dei defunti sepolti nella Chiesa di Santa Maria in Sion.

Mons. Mastai Ferretti, che divenne poi Pio IX, in atto di Sacra Visita, il 9 maggio 1829, confermò l'avvenuta traslazione e l'approvò in ogni sua parte da valere in perpetuo.

In attuazione completa del Decreto della Congregazione della Riforma la parte inferiore del Monastero divenne sede dell'Orfanotrofio femminile che vi si trasferì dall'ex Monastero di San Bartolomeo. Però dopo tre o quattro anni, l'Orfanotrofio tornò alla sua sede di San Bartolomeo, dove rimase fino al 1868, quando la Congregazione di Carità, divenutane proprietaria in forza di R. Decreto del 21 di-

 

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cembre 1864, lo trasferì nella casa di Virgilio Lucarini, ed il Collegio, che lo stesso Lucarini vi aveva fondato, fu riaperto, nel 1883, nell'ex Convento di San Francesco.

La parte del fabbricato del Monastero di Santa Croce di proprietà dell'Orfanotrofio ben presto minacciò rovina e allora si diè principio alla demolizione di una parte, finchè il 10 agosto 1894, a rogito Fontana, fu venduto alla Parrocchia di Santa Croce quello che ancora restava.

 

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*   *

 

Il Priore D. Nicola Lupacchini fu evidentemente benemerito della Parrocchia della Piaggia. Ma l'opera sua non si fermò qui.

Aveva trovato i beni della Parrocchia quanto mai frantumati e dispersi; una sessantina di appezzamenti (li terreno formavano il patrimonio parrocchiale. Il Lupacchini pensò di riunirli e si diede a far permute; diede corpo così al podere sito tra il Clitunno e la ferrovia: tanto il podere quanto l'altro terreno (letto “la contea” ed altri ancora arricchì con nuove piantagioni di alberi.

Può dirsi che il Lupacchini sia stato uno dei migliori agricoltori dei suoi tempi nella nostra zona.

Anche la Congregazione del Suffragio di Trevi si valse della sua opera e, quando ne fu il Camerlengo, raccolse i dispersi terreni in quel grande podere, nei pressi del Casco dell'acqua, che è uno delle più belle e delle meglio coltivate proprietà del territorio di Trevi.

Istituì anche un legato, in sorte di scudi quattrocento, perchè si potesse dare un premio ad un ragazzo e ad una bambina di Piaggia che si fossero distinti nello studio del Catechismo. Il danaro, con atto del notaio trevano Giambattista Fontana, fu dato in censo a tal Pietro Lorenzoni di Torre Orsina ed ultimamente era a carico del sig. Quintili Ercole di Terni. Il Quintili, dopo alcune trattative, restituì la

 

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somma, che fu rinvestita in Titoli del Consolidato. Da allora fu ripresa la distribuzione del premio, che era stata sospesa per parecchi anni.

Ricco di meriti, il Lupacchini, santamente come visse, morì a 65 anni nel 1844 e fu sepolto nel cimitero di Santa Croce. Lasciò largo rimpianto tra quanti lo conobbero.

 

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Dopo la traslazione della Parrocchia in Santa Croce, la Chiesa di Santa Maria in Sion fu abbandonata. La brutta mostra dell'Altare Maggiore con le due bruttissime statue laterali e i due putti furono trasportati nella Chiesina di Sant'Antonio, più volte ricordata.

 

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 La Chiesa di Santa Croce fu iniziata nel 1685. La sua storia si confonde con quella del Monastero. E' una delle più belle Chiese di Trevi: ha una bella facciata e nell'interno il barocco non è chiassoso; la linea nell'insieme si mantiene di una certa austerità e imprime una intonazione di raccoglimento e di religiosità.

Verso il 1874, di notte tempo, fu bruciata la porta della Chiesa per opera di un tal Conti, capostazione della ferrovia, con la complicità di alcuni trevani. Eran tempi in cui la passione politica era viva, ed il fatto va spiegato, secondo me, con quell'anticlericalismo di cattiva lega che fu conseguenza della così detta questione romana. I danni arrecati dall'incendio furono riparati per la munificenza della pia signora Caterina Andreucci Natili, la quale sostenne intera la spesa per la nuova porta. Il capostazione Conti fu, poco dopo, destituito ed espulso dalla ferrovia.

La Chiesa di Santa Croce non aveva un campanile propriamente detto e ogni popolazione tiene molto che la propria Chiesa parrocchiale abbia un bel campanile con belle campane, che facciano sentire

 

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per l'aria la loro voce armoniosa. Il piccolo campanile a ventaglio fu demolito, le due piccole vennero fuse e nel 1889 Ezechiele Nessi, nativo di Montefalco, ma domiciliato a Trevi, discepolo dei trevani Petrolini, che avevano nella nostra città una bella fonderia, fuse le quattro campane ora esistenti. In quel tempo fu iniziata anche la fabbrica del campanile su disegno di D. Valentino Valentini. L'opera non fu ultimata perchè il campanile rimase, ed è  dancora, senza guglia, e ciò fu dovuto alla grande fretta di qualcuno che aveva smania di sentire suonare le campane. Il 29 gennaio 1891, Mons. Pagliari, Arcivescovo di Spoleto, consacrò solennemente le campane ed il 6 settembre di quell'anno il campanile fu con gran pompa inaugurato e le campane osannarono a festa. Per la circostanza si svolsero anche grandi festeggiamenti civili.

Il materiale per la costruzione del campanile, oltre che dalla vecchia Chiesa di San Fabiano, fu detto anche dalla demolizione di altra piccola Chiesa, Santa Maria del Riscatto o La Fraternita, che risaliva intorno al mille. Il Priore Venturini lasciò scritto che tale vandalismo fu compito per utilizzare «le pietre riquadrate e i molti mattoni della sua ertissima volta».

I lavori di riattamento e di fortificazione della casa parrocchiale, la costruzione del campanile, ecc., richiesero una spesa non indifferente, che in massima parte fu sostenuta dal Cav. Isidoro Benedetti Valentini, con le rendite dei beni a lui come erede fiduciario, da Caterina Natili, la pia benefattrice già ricordata

Il Priore Venturini ha scritto che il Benedetti Valentini era veramente l'erede fiduciario della Natili come faceva fede “il di lui operato”.

Tra le cose commesse dalla Natili al suo erede era anche il mantenimento di una Suora di Carità per l'Ospedale di Trevi, e questa disposizione ne fu il movente per cui la Congregazione di Carità si decise,

 

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poco dopo, a sostituire con Suore il personale laico, non sempre adatto, al quale venivano affidati i poveri malati.

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Prima di chiudere queste brevi memorie, vanno ricordate le benemerenze di un illustre cittadino di Trevi, nato nella Piaggia, il Card. Ludovico Valenti, Vescovo di Rimini.

Una delle risorse della popolazione della Piaggia è rappresentata indubbiamente da quei terreni detti canapine, forse perchè in origine vi abbondava la coltura della canapa. Oggi le canapine di Trevi danno ogni sorta di erbaggi; rinomati sono in special modo i sedani.

Fu il Card. Ludovico Valenti a dare origine e incremento a queste colture e a lui si deve l'escavazione dell'Alveolo, piccolo canale di acqua, che ha origine dal Clitunno nei pressi della Faustana e ha termine in Pietra Rossa; dalla possibilità dell'irrigazione data dall'Alveolo deriva la ricchezza delle canapine.

Il Cardinale Ludovico fu anche il fondatore della Congregazione consorziale delle acque, oggi chiamato Consorzio delle acque che ha lo scopo principale di mantenere regolari i corsi di acqua, che in gran numero scorrono attraverso la nostra bella pianura.

Tale Ente, ancor oggi esistente, rappresenta una vera, grande benemerenza del Card. Ludovico Valenti.

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A metà della Piaggia, presso via della Foresteria, esiste un corpo di fabbricati che pare sia stato l'Ospizio dei Monaci di Bovara. Vi è annessa una Chiesetta dedicata a Santo Stefano Protomartire.

Nessuna cosa degna di rilievo vi è da notare; certo però quei fabbricati risalgono intorno al mille e sono anteriori alla distruzione di Trevi da parte degli spoletini. La Chiesa di Santo Stefano della Piaggia è no-

 

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minata nei Brevi Pontifici di Alessandro III (1177), Celestino III (1193), Innocenzo III (1198) e Onorio III (1217), con i quali venivano fatte e confermate larghe concessioni all'Abbazia di Bovara.

A titolo di curiosità, voglio riportare l'iscrizione posta sopra quella che forse fu la porta principale dell'Ospizio. Le parole dell'iscrizione sono tremende, ma stanno a dimostrare quanto i Monaci tenessero alla clausura della casa loro.

“Anathema Gregorii Papae XIII. In judicio non resurgat, damnatus male pereat, cum Juda iniquo partem habeat si quis hunc locum quovis modo sive ingenio violare praesumpserit” .

 

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A complemento di queste brevi notizie storiche, credo doveroso parlare, sia pur brevemente, delle opere d'arte esistenti o esistite nella Piaggia. E' facile intuire che esse non possono essere numerose, ma quelle che ci sono, sono pregevoli:

1° - Il quadro dell'Altar Maggiore della Chiesa di Santa Croce è attribuito da alcuni a Pietro da Cortona, detto il Berrettini, ma è più probabile che sia opera di qualche suo bravo discepolo.

In alto troneggia la Croce; la Vergine sta verso la metà del quadro, ha in braccio il Bambino, che guarda alla Croce, mentre Maria Maddalena, che sta a sinistra, in atto di adorazione, gli bacia il piedino. A destra, in preghiera anch'esso, è raffigurato San Benedetto. La Madonna posa il suo sguardo materno sopra questi due Santi.

Il quadro simboleggia evidentemente l'unione del Monastero di Santa Maria Maddalena con quello di

Santa Croce.

Il quadro è certamente di pregio e ha valore artistico indiscutibile. Presenta alcuni strappi prodotti con armi da taglio. Sembra che ai tempi di Napoleone, i soldati francesi, che in più riprese passarono

 

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per la via Flaminia, siano saliti fin quassù e abbiano bucato con le baionette il quadro per constatare se dietro vi fossero nascosti tesori.

2° - Come abbiamo visto, tra gli impegni presi dal Comune con le Monache, dopo l'incendio, vi era quello della costruzione di una Cappella dedicata a Santa Maria Maddalena; il Comune tenne fede ai suoi impegni e la Cappella fu edificata. Oggi ne rimane soltanto una parete con affresco di pregio, che minaccia, per l'abbandono in cui è lasciato, una prossima totale rovina. La Cappella fu demolita per poter fare la fotografia dell'affresco, che rimase in tal modo più esposto alle intemperie.

Fu dello e scritto che quella pittura sia opera di Giotto; niente di più falso. Dalle memorie che rimangono risulta che le Monache fecero nel 1445 il concordato con il Comune; ed infatti alla metà del 1400 si deve riportare la parte centrale dell'affresco, che rappresenta una Crocifissione. Noto a bella posta la parte centrale, perchè l'insieme del quadro è opera di almeno tre artisti diversi, che operarono in tempi vari, ma tutti durante il secolo XV.

L'affresco misura una superficie di m. 5x5. Il Crocifisso è nell'atteggiamento di agonizzante: il volto è espressivo ed anche il corpo è fatto bene. I piedi sono meno ben falli e forse ritoccati. Ai lati, in alto, sono quattro Angioli, posteriori al Crocifisso; un Angiolo raccoglie in un calice il sangue che esce dal costato di Gesù.

A destra del Crocifisso, un altro pittore ha raffigurato una bella Madonna col Bambino in grembo. In epoca non molto posteriore un altro artista ha eseguito molto bene il gruppo delle tre Marie. La Madonna è sorretta dolcemente da Maria Cleofe, mentre Maria Maddalena, che guarda Gesù, con una mano le accarezza affabilmente il volto. Questo gruppo è bello e abbastanza ben conservato.

A sinistra un terzo pittore ha effigiato due Sante oranti, ma queste sono meno espressive e l'aspetto

 

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è meno delicato. Segue la scena dell'Annunciazione. Come si comprende facilmente, si tratta di opera grandiosa, ma disgraziatamente è condannata a scomparire. Già pezzi di intonaco sono caduti e non passerà molto tempo che tutto andrà in rovina. Non si comprende perchè un'opera d'arte così pregevole sia stata abbandonala, nonostante le premure che non sono mancate.

Ne è proprietario l'Ente comunale di assistenza, già Congregazione di Carità, che si riservò l'affresco quando vendette la parte dei fabbricati spettanti al l'Orfanotrofio.

Ho voluto parlare diffusamente, almeno perchè resti memoria, non solo dell'affresco, ma anche dell'incuria in cui è stato lasciato. Certo i posteri non avranno da lodare chi mandò in malora una simile opera d'arte, che potrebbe ancora in parte essere staccata e conservata.

3° - Il Monastero di Santa Croce possedeva una opera d'arte, che sfuggì ai predatori francesi e che rimase salva, nonostante la chiusura del Monastero dal 1810 al 1821, a causa della soppressione.

Si tratta di un trittico, su tavola. L'insieme comprende quattordici quadretti, ognuno dei quali rappresenta uno dei tratti principali della vita di Gesù o raffigura qualche Santo. Ne è sconosciuto l'autore, ma si tratta certamente di un'opera di indiscusso valore artistico. E' del secolo XV, forse opera di un ritardatario, di un paziente miniatore umbro, che risente l'influenza della scuola eugubina e senese. Sotto vi sono i nomi di coloro che ordinarono l'opera: Hoc opus fecit fieri cicchus Urrighi et Jacobutus Mactie de Trebio.

Nel 1867 un ladro, non altrimenti identificato che col nome di Gesualdo da Fabbri, nascostosi in Chiesa e fattosi chiudere dentro, durante la notte asportò il trittico. Dopo alcuni giorni però, o perchè temesse di essere scoperto, o perchè si trovasse imbarazzato per venderlo, lo lasciò in un locale aperto, vicino

 

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alla Chiesa, e così il prezioso lavoro fu potuto ricuperare. Ci fu però chi disse che tutto fu una simulazione almanaccata per togliere alla Parrocchia quel dipinto.

Il Comune, dopo quel fatto, ne reclamò la consegna a titolo di maggior custodia e di conservazione e lo collocò nella Pinacoteca.

Il 12 luglio 1867 fu redatto regolare atto di consegna al Comune, il quale, per mezzo del Sindaco, rilasciò una dichiarazione affermante che il trittico è di proprietà della Parrocchia di Santa Croce e che il Comune ne è semplicemente il custode. Un'identica dichiarazione fu rilasciata, dietro richiesta del Priore D. Eugenio Venturini, il 21 marzo 1900. Il buon Venturini però scrisse: “Ad onta di tali ricognizioni di proprietà, la Chiesa, ritengo, non ne avrà mai più il possesso e resterà sempre un tilulus sine re”. Non condivido l'idea del Venturini, perchè il trittico è e rimane di proprietà della Chiesa; per quanto sia cosa ottima che per ora sia conservato in Comune. In ogni modo l'ottimo Priore Venturini raccomanda di non perdere le dichiarazioni del Comune “perchè, lapsu temporis, dalla perdita del possesso non si abbia facilmente a passare a quello pure della proprietà” .

4° - Trascrivo, a titolo di curiosità, le seguenti parole scritte dal Priore Venturini:

“Sulla facciata di una meschina capanna, tale almeno è al presente, qui nella bassa Piaggia, eravi effigiata una Madonna col Bambino in braccio, e con sotto la scritta, nella quale Cimabue diceva di averla fatta. La stabilitura aveva sofferto degli screpolamenti, e la pittura era scolorita e un po' guasta; ma Laghi di Assisi pochi anni fa dette cento lire alla proprietaria della capanna e con l'opera paziente di alcuni giorni fece il distacco del dipinto per collocarlo altrove”.

Non saprei come dire di quanto afferma il Venturini; mi pare assurdo che Cimabue sia venuto a dipingere la

 

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facciata di una capanna, ma mi associo pienamente al mio ottimo predecessore nel lamentare l'abbandono e l'incuria in cui i nostri vecchi (e non soltanto i nostri vecchi!) lasciavano le opere d'arte, perchè, anche se questa pittura non era di Cimabue, doveva essere certamente pregevole se Laghi la distaccò e se la portò via.

5° - Degno di essere ricordato è il quadro dell'Altar Maggiore nella Chiesa di Santa Lucia. E' un bel quadro su tela raffigurante il martirio della Vergine Siracusana; ella è inginocchiata alla presenza del giudice, mentre il carnefice le infigge il coltello nella gola. Tutto l'insieme del quadro è bello. In basso c'è, presso che inintelligibile, la firma dell'autore.

6° - Nella Chiesa del SS.mo Crocifisso, a sinistra di chi guarda l'Altar Maggiore, si apre una Cappella con ottimi dipinti dei fratelli Zuccari (secolo XVI). Tali pitture sono eseguite su cuoio applicato sulle riquadrature a stucco, che ornano la Cappella.

 

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IL PATRIMONIO ARTISTICO DEL COMUNE DI TREVI

 

La nostra bella Regione è ricca di numerose opere d'arte, diffuse sempre e dovunque dal genio degli artisti umbri. Ogni angolo raccoglie qualche bellezza del passato e ridesta in noi l'ammirazione di quanto i padri ci hanno lasciato in retaggio.

Anche la mia Trevi ha il suo patrimonio artistico.

Con intelletto d'amore ho voluto elencare le opere esistenti nella città e nel. territorio del suo Comune, dove ho trovato accumulati cimeli d'arte, purtroppo non tutti apprezzali, non tutti tenuti nel doveroso decoro. Ho visitato tutti gli angoli della mia terra, ho esaminato tanti bellissimi lavori, non ho trascurato quelli di minore importanza, ne ho preso nota, ho cercato di scoprirne l'autore e l'epoca, ne ho chilo poi avviso alla Regia Sovrintendenza, che con tanta premura e tanto interessamento si occupa di quanto di bello è sparso nell'Umbria.

Non ultima a spingermi a fare questa pubblicazione è stata la speranza che il bell'affresco esistente nella Canonica della mia Parrocchia, sia protetto e salvato contro l'azione edace del tempo. Che la mia speranza non sia vana! ...

Anche Trevi sente il dovere e l'orgoglio di conservare le proprie ricchezze artistiche ed indicarle ai dotti ed ai visitatori. La gioventù nostra specialmente impari a conoscere il nostro patrimonio, ad apprezzare quanto gli antenati fecero e ci tramandarono.

 

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L'amore per Trevi, i sentimenti sopra esposti sono quelli che mi hanno animato nel compiere il presente elenco, e voglio sperare che il mio lavoro non abbia ad essere inutile. Qualche cosa forse può essermi sfuggita, ma ho cercato di non trascurare nulla, di essere esatto e di contribuire, come sempre ho cercato di fare nei miei lavori, alla conoscenza della mia Trevi in quel che rappresenta la sua coltura e la sua gloria!

 

Chiesa di Sant'Emiliano

Fu costruita dopo che gli Ostrogoti ebbero distrutto gli avanzi del paganesimo. Certo esisteva già una magnifica chiesa, di cui rimangono tre bellissime piccole absidi, alla fine del secolo XI o al principio del XII. Ho pubblicato nel 1935 brevi cenni della storia di questo tempio. La Chiesa fu rimodernata su disegno del Carimini nel secolo passato.

Altare del SS.mo Sacramento. e Opera veramente grandiosa di Mastro Rocco di Tommaso da Vicenza che l'eseguì nel 1522. Di questo monumento pubblicai la storia nel 1934. Le due statue in pietra caciolfa sono opera di Mastro Mattia di Gaspare da Como e non sono molto fini.

Monumento al Redentore. - Statua grandiosa in travertino, opera dello scultore Cesare Aureli, che volle riprodurre per Trevi il monumento al Redentore che egli aveva già eseguito per le Logge di Raffaello in Vaticano.

Statua di Sant'Emiliano. Fu eseguita in legno da Pietro Epifani da Foligno nel secolo XVIII.

Altare della Trinità. Eretto nel 1585; l'ancora è una tela ad olio del secolo XVI. Dietro una porta, ai lati dell'altare, su muro dell'antica Chiesa, rimangono affreschi di Orazio e Domenico Alfani (1580).

Nella Chiesa si osservano anche:

10 - L'Addolorata, bella tela ad olio;

2° - L Angelo Custode, tela ad olio;

 

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3° - San Carlo Borromeo, bel quadro conservato in sagrestia.

 

Chiesa di San Francesco

Questa Chiesa fu costruita forse ai tempi di San Francesco. L'ingresso è laterale ed è costituito da fasci di pilastrini e colonne terminanti con capitelli ed è coronato da un arco slanciato a sesto ogivale (secolo XIV). Dello stesso secolo XIV è la pittura nella lunetta: Madonna col Bambino tra San Francesco e Santa Chiara d'Assisi.

L'interno della Chiesa era del tutto ornato di pitture votive del secolo XIV e XV, sovrapposte in più parti, parte scoperte e parte distrutte quando furono costruiti i numerosi altari barocchi. Tali pitture rappresentano Gesù, la Vergine, i Santi.

Sopra l'Altar Maggiore è collocato un magnifico Crocifisso del secolo XIII.

L'abside centrale era ornata di grandi pitture disposte a quadri rappresentanti scene della vita della Madonna e nelle lunette erano raffigurati gli Evangelisti. Tali pitture sono ridotte in cattivo stato.

Gli Angelucci da Mevale (secolo XVI) in una nicchia in fondo alla Chiesa, lasciarono affreschi mediocri. Seguono pitture votive del secolo XIV e XV. Qualche altare e ornato da discrete tele.

 

Pinacoteca comunale

[Dal 1997 tutte le opere sono state trasferite nel complesso Museale di S. Francesco]

- Incoronazione della Madonna dello Spagna. - Bellissima tavola (1522) che ha molta analogia con

altra dello stesso pittore conservata in Todi. Nella predella del grande quadro, in tondi, mezze figure della Madonna, dell’Angelo Annunziante, le Stimmate di San Francesco e San Martino che dà il mantello ad un povero. Nella grandiosità del quadro, sotto un baldacchino, circondato da testine di Serafini, Cristo incorona la Vergine tra schiere di Angeli. Nel piano inferiore San Francesco, circondato da Santi; si osserva una figura di meno del quadro di Todi, nel

 

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quale c'è forse in più fra Jacopone. Questa tavola apparteneva al Convento di San Martino.

2° - Santa Cecilia e Santa Caterina, tele dello Spagna, tolte dalla Chiesa delle Lacrime.

3° - Adorazione dei Magi, personaggi di aspetto senile, opera di un artista tedesco del secolo XVI, forse un seguace di Giusto di Gand.

4° - Redentore con Angioli, di scuola folignate secolo XVI.

5° Madonna della Misericordia. - La Vergine accoglie sotto il suo manto alcuni fedeli (secolo XV). Probabilmente opera di Nicolò da Foligno. Tavola a gonfalone.

6° - Madonna col Bambino, bozzetto del Pinturicchio del quadro conservato nella Galleria Nazionale di Londra.

7o - Polittico (secolo XIV). Nei vari scomparti sono effigiate varie scene della vita di Gesù.

8° - Trittico; l'insieme comprende 14 quadretti, ognuno rappresentante uno dei tratti principali della vita di Gesù o raffigura qualche Santo. Autore sconosciuto, del secolo XV, forse opera di un ritardatario, di un paziente miniatore umbro, dei primi del secolo XV, che risente della scuola eugubina e senese e specialmente di Bartolo da Fedi. In basso ci sono i nomi di coloro che ordinarono l'opera: Getto Urrighi e Jacobuccio di Mattia.

E' proprietà della Parrocchia di Santa Croce, alla quale fu tolta con la scusa che in Comune si può conservare meglio. Tale proprietà è riconosciuta da regolare atto da parte del Comune del 12 luglio 1867.

9° - Tavolette votive dei secoli XV e XVI provenienti dalla Chiesa delle Lacrime.

10° - Deposizione di Sebastiano del Piombo, pittura in tavola trasportata dalla Chiesa delle Lacrime.

11° Crocifisso del Margaritone (1200) .

 

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12° - Famiglia del Conte di Urbino in preghiera. Anno 1500.

13° - Deposizione del Cristo di un Fiammingo del (secolo XVI).

14° - Assunta in Cielo. - Bel quadro. In basso Apostoli che guardano nella tomba della Madonna, San Francesco d'Assisi, scuola bolognese.

15° - Croce con Crocifisso raffiguralo da ambo le parti.

16° - Caldano di rame scolpito e grafico. 170 - Avanzi di lapidi e di oggetti romani.

18° - Statua di San Francesco di scuola toscana.

19° - Modello del gruppo “Galileo e Milton” di Cesare Aureli.

 

Via Salvatore Zappelli

In una facciata del palazzo Petrucci esiste un graffito raffigurante Atteone che si trasforma in cervo per ammirare tre dee che stanno al bagno (1407).

 

Teatro Clitunno

Sipario molto bello, raffigurante l'Imperatore Caligola che si reca al Tempio del Dio Clitunno. L' opera del pittore Domenico Bruschi da Perugia, del secolo passato.

 

Villa del Collegio Etiopico

In origine fu Villa dei Carrara Rodiani di Terni e fu costruita nel secolo XVI. Taddeo e Federico Zuccari decorarono più sale con episodi biblici, figure allegoriche, ecc.

Nell'atrio: figure di paesaggi; la Gloria. Nella sala prima: prevale il nudo; Giudizio di Salomone, Giuseppe e la moglie di Putifarre, Susanna al bagno e i Vecchioni, Sansone e Dalila, David che guarda Ber sabea, la Concordia, la Tranquillità, la Munificenza,

la Liberalità, la Prudenza, la Pace. Sul muro che

 

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chiude una porta, è raffigurato il pittore, forse lo stesso Taddeo Zuccari. - Nella sala seconda: la Religione, l'Arte Militare, la Letteratura, la Caccia, il Matrimonio. - Nella sala terza: Convito di Baldassarre, l'impostura dei Sacerdoti di Belo nel tempio, la stoltezza del culto del dragone o serpente, Daniele nella fossa e i suoi nemici gettati ai leoni. - Nella quarta sala: San Paolo Eremita, Sant'Antonio, San Macario, Sant'Onofrio, San Girolamo, ecc. - Nella quinta sala: la Maddalena penitente, Santa M. Egiziaca, Santa Sofronia Tarentina, Santa Drampna. La Cappella interna e la facciata della Villa furono, qualche anno fa, dipinte da artisti tedeschi della scuola di Beuron.

Collegio Lucarini

Bernardino Gagliardi da città di Castello dipinse nel 1641 venti episodi della vita di San Francesco di Assisi; nella pittura rappresentante la morte del Santo, raffigurò se stesso. Artista mediocre.

Chiesa di San Giovanni Decollato

Tribuna di pietra caciolfa per racchiudere I'Altar Maggiore. Opera eseguita nel 1588 donata da Alessandro Valenti ed eseguita forse da un frequentatore della scuola di Mastro Rocco da Vicenza.

 

Asilo infantile

Sulla porta esterna esiste un affresco del sec. XV, di probabile scuola folignate.

 

Portali in Trevi

Esistono in Trevi magnifici portali di suntuosi palazzi del rinascimento. I principali sono:

Portale della Chiesa di Sant'Emiliano eseguito con avanzi di epigrafi antiche; Portale di Casa Lucarini, ora orfanotrofio femminile; Portale della casa Cristo

 

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foro, poi Gelsomini, ora Barbini; Portale del Palazzo Valenti, ora Natalini, magnifico palazzo; sul portale, in tondo con testa femminile, qualcuno ha graffito con una punta la data 1556; questo portale si attribuisce a Mastro Rocco da Vicenza, o a qualche suo allievo; Portale della Chiesa di San Francesco; Portale della Casa Manenti ora Maggiolini; Portale dello Ospizio; Portale del Palazzo Bartolini.

Belle finestre cinquecentesche ornano parecchi nostri palazzi.

E' da notare l'esistenza di due bellissimi camini, eseguiti forse da Mastro Rocco o dalla sua scuola, uno nel Palazzo Centamori, e l'altro nella casa Maggiolini, già Manenti.

Nei tempi in cui Mastro Rocco da Vicenza lavorava nell'Umbria, fioriva nella nostra regione una schiera di artisti che si denominavano i Lombardi.

 

Chiesa di Santa Croce

1° - La costruzione di questa Chiesa fu iniziata nel 1685 e nel fabbricato annesso vivevano Monache Benedettine, che vi si erano rifugiate dopo l'incendio che aveva distrutto il loro Monastero sito presso l'attuale Porta del Cieco. Il Comune aveva preso l'impegno di costruire, tra l'altro, una Cappella dedicata a Maria Maddalena. In tale Cappella, di cui rimane solo una parete, rimane un grande affresco, che minaccia cadere, e di cui abbiamo parlato diffusamente nella prima parte di questo lavoro.

Fu detto e scritto che quella pittura sia opera di Giotto; niente di più falso perchè l'affresco fu certamente eseguito verso la metà del 1400 e fu opera di più artisti; rappresenta una Crocifissione.

L'affresco misura una superficie di m. 5X5. Il Crocifisso è in atteggiamento di agonizzante; il volto è espressivo ed anche il corpo è fatto bene. I piedi sono meno ben fatti e forse ritoccati. Ai lati, in alto, sono quattro Angioli, forse posteriori al Crocifisso; un Angiolo

 

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raccoglie in un calice il sangue che esce dal costato di Gesù.

A destra del Crocifisso l'artista ha raffigurato una bella Madonna col Bambino in grembo. In epoca non molto posteriore un altro pittore ha eseguito molto bene il gruppo delle tre Marie. La Madonna è sorretta dolcemente da Maria Cleofe, mentre Maria Maddalena, che guarda Gesù, con una mano le accarezza il volto. Questo gruppo è bello e abbastanza ben conservato.

A sinistra un terzo pittore ha effigiato due Sante oranti, ma il loro aspetto è meno delicato. Segue la scena dell'Annunciazione.

E' opera grandiosa, ma condannata a perire, se nessuno provvede.

2° - L'Altare Maggiore ha una bella e grandiosa tela, opera di qualche bravo discepolo del Berrettini.

In alto troneggia la Croce; la Vergine sta verso la metà del quadro ed ha in braccio il Bambino, che guarda alla Croce, mentre Maria Maddalena sta a sinistra, in atto di adorazione, gli bacia il piedino. A destra, in atto di preghiera anch'esso, è raffigurato San Benedetto. La Madonna posa il suo sguardo sopra questi due Santi.

Il quadro simboleggia evidentemente l'unione del Monastero di Santa Maria Maddalena con quello delle Benedettine di Santa Croce.

E' lavoro certamente di pregio ed ha valore artistico indiscutibile;

3° - In Chiesa è conservato un bel quadro raffigurante la Madonna.

Alla Chiesa di Santa Croce appartiene il Trittico conservato nella Pinacoteca Comunale.

 

Palazzo Valenti

Benedetto Valenti lo fece costruire nei primi del secolo XVI.

Nell'atrio del palazzo si conservano molte iscrizioni, frammenti, urne, lapide con ritratto (grecizzante),

 

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busto di donna, frammenti di sarcofaghi, statua giacente di fiume (Clitunno?), ecc.

La pinacoteca raccoglie molti quadri, di cui meritano il ricordo Sant'Antonio da Padova del Sassoferrato, un ritratto di donna del secolo XVIII di scuola veneziana, una Sacra Famiglia della stessa scuola, Ratto di Europa copia di Guido Reni, ritratto di Giuseppe Piermarini di Martino Knoller di Trento, un bozzetto di Domenico Bruschi, ecc.

'Pregevole è anche il ricchissimo archivio.

 

Chiesa del Crocifisso

A sinistra dell'Altar Maggiore fu costruita una Cappella, ornata dagli Zuccari (secolo XVI), che dipinsero in questo luogo su cuoio.

 

Chiesa di Santa Lucia

Bel quadro sull'Altar Maggiore, rappresentante il martirio di Santa Lucia. Il quadro è firmato, ma il nome dell'autore è illeggibile. Tale quadro è catalogato.

 

Chiesa della Madonna delle Lacrime

Eretta nel 1487. Di Giovanni di Gian Pietro da Venezia è il magnifico portale (1495).

Nella prima cappella a sinistra, pitture di uno scolaro del Perugino, forse di Orazio Alfani; nella seconda, quadro di Sant'Alfonso; nella terza, affreschi di Giovanni Spagna dell'ultimo periodo della sua attività. Nella parete di fondo: Deposizione di Gesù nella tomba, assistenti Nicodemo, Giuseppe di Arimatea, San Giovanni Evangelista, Santa Maria Maddalena, la Madonna, la Veronica, San Francesco di Assisi. E' imitazione di una tavola di Raffaello, conservata nel Museo Borghese di Roma.

Ordinò la costruzione della Cappella un tal Dioteguardi da Trevi.

 

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Nel braccio destro della crociera della Chiesa si erge il ricchissimo monumento del Cardinale Erminio Valenti morto nel 1618.

Nell'Altare posto nel centro della grande navata si ammira l'Adorazione dei Magi terminata da Pietro Perugino nel settembre 1521, all'età di 75 anni. L'affresco è firmalo: Petrus de Castro Plebis pinxit. Ai lati del vestibolo arcato stanno le figure di San Pietro e San Paolo. Alla sinistra della Madonna il Perugino ritrasse se stesso ed il suo allievo Raffaello morto nel 1520.

Altro Altare è dedicato a Sant'Ubaldo, Vescovo di Gubbio. Vi è la figura del Santo, quattro storie della sua vita, episodi della vita della Vergine. Tali pitture furono eseguite dagli Angelucci da Mevale per ordine del trevano Pier Costanzo Ricci (secolo XVI).

 

Chiesa di San Martino dei Francescani

A sinistra della facciata della Chiesa, è costruita una Cappella con un affresco dello Spagna, rappresentante la Vergine sorretta da nuvolette leggere in una mandorla a testine di Serafini tra due deliziosi Angioli adoranti. Ai piedi della Vergine stanno in preghiera, San Girolamo, San Giovanni Battista, San Francesco e Frate Leone. E' una delle migliori opere dello Spagna (1512).

A destra del dipinto dello Spagna, Tiberio d'Assisi riprodusse Sant'Emiliano ed una Monaca in preghiera (secolo XVI).

Sull'architrave della Porta della Chiesa lo stesso Tiberio d'Assisi si dipinse la Vergine col Bambino. L'opera è firmata.

Ai lati dell'Altar Maggiore, sul davanti, nell'interno della Chiesa, su due piccoli tramezzi in laterizio, a sinistra, forse lo stesso Spagna o Simone Martini dipinse San Martino che dona il mantello ad un povero; a destra Pier Antonio Mezastris eseguì la Vergine

 

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col Bambino in seno, tra Sant'Antonio e San Francesco e dietro sei Angioli che suonano il liuto.

Nel chiostro del Convento Ascensidonio Spacca da Bevagna, detto il Fantino, eseguì pitture di busti di Santi (secolo XVII).

Chiesa di San Pietro a Pettine

Edificio romanico del secolo XIII. Nell'interno si ammirano pregevoli affreschi di ignoti, di scuola folignate.

A sinistra, Madonna in trono con Bambino e Sant'Antonio da Padova (1457). A sinistra dell'Altare San Pietro, a destra Gesù che esce dalla sepoltura, Madonna in trono col Bambino; vi si legge la seguente scrittura: Hoc opus f. f. Christophanus Gregorii 1525.

Si tratta evidentemente di immagini votive.

 

Chiesa della Madonna di Pietrarossa

Sorge dove una volta vi era il balineum. regalato da Augusto agli Spellani, e precisamente la Chiesa occupa un ambiente delle antiche terme.

Tanto il portico esterno quanto l'interno della Chiesa raccolgono numerosissimi affreschi votivi, circa novanta, del secolo XV e XVI. I pittori che più vi lavorarono furono Bartolomeo da Miranda e Valerio De Mutis da Gualdo. Le date che vi si leggono più spesso sono: 1446, 1449, 1477, 1484.

Su una colonna è appoggiato un Altarino con finissimi fregi, elegantissimi, opera di Mastro Rocco da Vicenza.

 

Cappella di Sant'Andrea

Sta in territorio di Santa Maria in Valle. Piccola Chiesina con due affreschi votivi, d'ignoto, abbastanza deperiti (secolo XV o XVI).

 

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Chiesa di San Niccolò in Matigge

Piccola Chiesa del secolo XIII, con discreti affreschi votivi del secolo XV. Vi è raffigurato Sant'Antonio da Padova; la Madonna col Bambino vi è riprodotta cinque volte e due volte San Nicola da Bari. L'abside raccoglie una Crocifissione, con ai piedi del Cristo San Sebastiano. Santa Chiara d'Assisi, Frate Leone e San Francesco, ambedue con tonaca color cenere.

 

Chiesa di San Pietro di Bovara

Verso il 1150 la Chiesa di San Pietro in Bovara era già stata fondata. Da notarsi è il Coro fallo costruire nel 1610 dall'Abate Michelangelo Tramontana. Bellissimo è lo specchio centrale, in lavoro di intaglio. Belle le porte delle due Sagrestie, una delle quali, specialmente, è magnifico lavoro di intaglio.

Nella Sagrestia principale è stato collocato nel cielo della volta un bel quadro raffigurante l'Annunciazione, d'ignoto, perchè non fosse rubato dai Francesi nel tempo di Napoleone e là è rimasto fin da quell'epoca. Nella stessa Sagrestia si conservano, eseguiti ad olio, i ritratti dei dodici Apostoli ed otto ritratti di Dottori della Chiesa.

 

Frazione di Manciano

Si balta di frazione del Comune di Trevi posta tra i monti. L.i questo paesello vi sono due opere d'arte:

1° - Nella Sagrestia della Chiesa Parrocchiale tavola di m. 1x0.60. Da un lato della tavola è rappresentata la Madonna, che accoglie sotto il manto suo vari penitenti, che si disciplinano. Dall'altro lato della tavola è dipinto un Crocifisso, un po' deperito.

2° - Nella Chiesina dedicala a San Martino, in vocabolo Elceto, chiodata ad un armadio, sta una tavola

 

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di circa m. 1x0,80, raffigurante la Madonna col Bambino, con un Angelo per lato; a destra della Vergine è raffigurato il Crocifisso con donne piangenti e a sinistra Gesù legato alla colonna.

Tanto l'uno che l'altro lavoro sono di pregio, e sarebbe cosa opima se si togliessero di lassù e fossero trasportati nella Pinacoteca di Trevi. Una delle tavole fu una volta rubata, ma per fortuna fu poi ritrovata.

 

Melanzio nella Chiesa di Picciche

E' frazione del Comune di Trevi.

Francesco Melanzio nel secolo XVI dipinse in una piccola Cappella della Chiesa di Santo Stefano affreschi votivi; tale Cappella meriterebbe più cura. In altro punto della Chiesa lo stesso Melanzio raffigurò Cristo Crocifisso tra Sant'Antonio Abate e San Sebastiano nel 1510 per incarico eli Mattia di Francesco. Nello stesso anno lo stesso Melanzio dipinse l'Annunciazione; la pittura è firmata.

Nell'abside, in mezzo a dieci Serafini, seduto sopra nuvole, sta benedicente l'Eterno. Nel semitamburo, negli spazi intermedi di un portico sorretto da pilastrini a sostegno di una trabeazione, stanno le figure della Madonna col Bambino. seduta, di San Gerolamo, di Sant'Andrea, di San Giovanni Evangelista, Santo Stefano, San Giacomo Maggiore, Sant'Antonio Abate. Santa Caterina Martire di Alessandria.

Nella Canonica è conservala la parte centrale di un polittico, opera di scuola umbra del secolo XV; è tavola a tempera. Vi è raffigurata la Madonna col Bambino, seduta in trono, circondata da Angeli. In alto vi è Cristo benedicente.

Parche non trasportare questa tavola nella Pinacoteca Comunale di Trevi?

 

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Ex Chiesa di Santa Caterina in via del Cimitero

Poco distante dal cimitero di Trevi, tra gli olivi, era edificata una Chiesa, demolita qualche anno fa per ritrarne materiale da costruzione dalla Congregazione di Carità.

Della Chiesa, dedicata a Santa Caterina Alessandrina V. M., rimane solo una parete che forma una piccola capanna con altra parete testè costruita. Sulla vecchia parete esiste un affresco di valore cospicuo.

L'affresco rappresenta una Crocifissione, che rassomiglia a quello di Santa Croce in Trevi; misura m. 2,90X2,70 e vi si legge ancora la data 1426(1); ogni altra iscrizione è illeggibile. E' opera veramente grandiosa.

Il Crocifisso è maestoso e molto bene eseguito; il suo volto è bello e ben fatto. A destra del Cristo stanno due Angioli recanti una coppa per raccogliere il sangue del Redentore, ed in basso si ammira il gruppo delle tre Marie, alla quale si unisce un'altra Santa; il gruppo è bello e rassomiglia al medesimo gruppo della Crocifissione di Santa Croce; le figure sono però meno raffinate.

A sinistra del Crocifisso sta un Angiolo con coppa, come i due figurati a destra e al di sotto si ammira una Santa; ai piedi di Gesù, San Francesco. Segue, in un riquadro, la bella figura di Santa Caterina Alessandrina V. M., orante; la figura misura l'altezza di m. 1,50.

L'affresco è di minor pregio di quello di Santa Croce, ma di indiscutibile valore artistico. L'intonaco, su cui posa l'affresco, è rigonfio e minaccia di cadere, mandando così in rovina un'altra opera d'arte.

Nessuno cura la pregevole opera, che meriterebbe essere distaccata e trasportata nella Pinacoteca. L'attuale capanna serve, nell'inverno, da rifugio alle raccoglitrici delle olive.

 

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(1) In realtà la pittura è più vecchia di un secolo! Nessi, Silvestro - Ceccaroni, Sandro, 1979, Da Spoleto a Trevi lungo la Flaminia, Panetto e Petrelli, Spoleto , pag.143

La pittura è stata restaurata, previo consolidamento dell'edificio, nel 2010

 

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Valga la modesta opera mia a mettere in evidenza il rilevante patrimonio artistico del Comune di Trevi, che meriterebbe davvero di essere maggiormente curato e custodito e che rappresenta una vera ricchezza, che, purtroppo, spesso non viene compresa e apprezzata da chi ne dovrebbe aver cura.

 

Trevi, 30 maggio 1942.

Prof. D. AURELIO BONACA

 

 

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Con approvazione ecclesiastica

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Finito di stampare il 27 giugno 1942 - XX

nelle officine della Soc. Poligrafica Salvati - Foligno

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