<41>
Sembrerebbe naturale che di un avvenimento religioso, quale era
quello del sorgere di una nuova devozione verso la Madonna, avesse
dovuto interessarsi l'autorità ecclesiastica per regolare tutto
ciò che si svolgeva intorno alla miracolosa «maestà». Però non fu
così.
I documenti che possediamo ci danno la prova del sollecito e
diretto intervento del comune in questo avvenimento d'origine
popolare. E l'opera del comune fu oculata. assidua, prudente.
Quando venne il momento di sistemare in modo definitivo ciò che
concerneva il culto della nuova chiesa, si rivolse alla competente
autorità ecclesiastica; ma non prima.
Fino dal 30 Settembre 1485, cioè appena 55 giorni dopo la
«scoperta» dell'imagine miracolosa, il comune prese in consegna i
doni e le elemosine; e ne fece l'elenco per mano del cancelliere
del comune: Giuliano Pellegrini, da Capranica(1).
I primi «operai» furono Piermartino Petroni e Bartolomeo Lucarini,
due cittadini delle più illustri famiglie. Ed ebbero la qualifica
di «operarii», come era 1' uso di quei tempi, poiché
s'incaricavano dell'«opera» della nuova chiesa. E tale qualifica è
conservata anche oggi in molte simili amministrazioni.
Merita speciale esame il sistema tenuto dal comune
nell'organizzare,
____________________
(1) Archivio delle 3 chiavi Trevi N. 155.
<42>
come si direbbe oggi, tutto ciò che
si riferiva alla gestione dei beni che affluivano alle «Lagrime».
* * *
La prima nomina di «operai» fu fatta dai deputati delle «Lagrime»
il 3 Settembre 1485 (1): e si chiamarono anche «santenses»;
vocabolo che vive tuttora negli attuali «santesi», che hanno
l'incarico — nelle nostre campagne — di raccogliere offerte in
denari ed in generi, per le feste dei santi protettori od altre.
Successivamente, il 5 Marzo 1486, venivano nominati 11 «deputati
per la cappella che era in costruzione. E così, periodicamente, si
rinnovavano gli «operai» che duravano in carica sei mesi; poi un
anno.
Coi «deputati» c'erano anche i «custodi» oltre ai «cappellani»
anch'essi nominati dal comune: e per la prima volta, il 13 Maggio
1486. L' intromissione
del
comune in tali questioni era così
energica, che 1'8 Agosto di quell'anno si proibì ad un tale D.
Melchiorre di celebrare messa nella cappella della Madonna.
Tra tutti gli addetti alla nuova opera il comune stabiliva una
specie di gerarchia; e così deliberava che gli «operai» non
potessero dare ordini ai «custodi».
Le nomine di tali cittadini si succedono molto frequentemente
nelle «Riformanze» del comune; e — se è interessante leggere i
relativi verbali nell'originale — non altrettanto utile può
riuscire la pubblicazione di essi che, salvo nei nomi, sono sempre
uniformi. Venivano, però, divise le attribuzioni(a),
e mentre, come vedemmo, c'era chi aveva l'incarico di tenere in
consegna le offerte, si affidava a commissioni speciali l'incaricò
di provvedere o alla calce, o alla pietra, o ad altro che potesse
occorrere per la fabbrica.
Coll'andare del tempo, — e precisamente il 19 Marzo 1487 — si
aggiunsero agli altri incaricati gli «officiales», per la
cresciuta importanza dell'amministrazione a cagione della fabbrica
che tra poco si sarebbe iniziata. Per la custodia continua della
cappella ci fu un devoto che si offrì di risiedere in permanenza
lì presso. E si chiamò .: l'oblato di S. Maria delle Lagrime». Il
verbale del 3 Maggio 1487 lo qualifica «quel buon uomo che si
offrì per la detta chiesa». Il consiglio, in compenso, delibera di
fornirgli il vitto giornaliero.
____________________
(a) nel testo: attribuizioni.
(1) Per tutti i fatti
indicati con una data precisa e in mancanza di altre annotazioni,
s' intende che i relativi documenti si trovano nelle «Riformauze»
sotto la data medesima.
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* * *
Anche i cappellani erano nominati dal consiglio e duravano in
carica sei mesi. Le loro mansioni vennero, fino dal principio, ben
determinate dagli addetti alle «Lagrime»; i quali il 6 Giugno 1487
stabilivano che i cappellani dovessero esercitare il loro ufficio
personalmente; onde non potevano farsi sostituire da altri.
I «deputati» stabilivano quante messe si dovessero celebrare nella
cappella e con quale elemosina. Così fu fissato che, oltre a
quella del cappellano, non si dovessero celebrare più di tre
messe, a meno che i fedeli portassero elemosine destinate
espressamente a tale scopo. Per una messa nei giorni feriali si
dava un «bolognino» e due nei giorni festivi.
Notiamo l'oculatezza di quei «deputati». Essi, nonostante la loro
profonda fede religiosa, non volevano che dai denari offerti dai
fedeli alla cappella si distraessero soverchie somme per la
celebrazione delle messe. Assicurato un culto decoroso, al di più
avrebbero dovuto provvedere i devoti, se volevano. Ed ai
cappellani si faceva espressa proibizione di immischiarsi in tale
faccenda delle messe: in nessun modo! (1).
I «depositari» dei denari e dei doni venivano sorteggiati in
consiglio ed anch'essi duravano in carica sei mesi; poi un anno.
La chiusura dei loro conti era fatta in comune da due «operai». In
seguito tutti gli addetti formarono la «Società della Madonna
delle lagrime» presieduta da un suo priore; ma non era una
confraternita nel senso attuale della parola. Della erezione della
«Confraternita di S. Maria delle lagrime» si parlò soltanto nel
1618 (2).
* **
Il comune che sentiva tutta l' importanza e tutta la
responsabilità dell' impresa, esigeva dagli incaricati che
adempiessero scrupolosamente ai loro doveri. Così troviamo che i
«custodi», che non avessero fatta buona sorveglianza o non
avessero provveduto a quanto occorreva per la fabbrica, dovevano
pagare la multa di un «fiorino».
________________________
(1) Qui in dcta re non debeant se
immiscere quoquo modo. (A r
c h i v i o delle 3 chiavi No 155, Riformanze 1487, f:
72t).
(2) A r c h i v
i o delle 3 chiavi, Busta 1600-1700). Tre cittadini trevani:
Corinto Citeroni, Camillo Celli e Leonzio Martinelli avevano
domandata facoltà di istituire la Confraternita delle «Lagrime».
Il vescovo di Spoleto, Lorenzo Castrucci, per mezzo del suo
vicario, Andrea Billochi, concede tale autorizzazione, salva
l'approvazione dei capitoli (29 settembre 1618).
<44>
Ma il loro ufficio era gratuito. E più tardi — l'8 Gennaio
1488 — fu deliberato che essi facessero la guardia dal levare del
sole, fino al tramonto: pena due «fiorini».
La «società» Si adunava spesso nella sala comunale e i verbali di
tali riunioni fanno parte delle «Riformanze», ossia sono alternati
con esse. Delle deliberazioni della «società» avrò occasione di
parlare quando tratterò della fabbrica della chiesa.
In vista del sempre crescente lavoro, i componenti la «società»
furono portati da 11 a 34, il 23 Febbraio 1494. E tra essi furono
nominati due revisori dei conti (rationatores).
Poco dopo anche il numero dei cappellani fu portato a due — il 22
Maggio 1494 — e furono D. Nicola Marzolini e D. Valentino
Vannis (= di Giovanni) Salvi. Quando si presentò la necessità
di deliberazioni importanti per il definitivo assetto della chiesa
e dei suoi beni, fu sempre il comune che se ne interessò, per
mezzo del Consiglio generale, oltre che della «società».
E in casi più gravi nominò speciali commissioni, chiamando a farne
parte i rappresentanti di tutti i «terzieri», cioè di Trevi, di
Matigge del Piano. nei quali era diviso il territorio del comune.
Inutile dire che in tutto ciò che si riferiva alla nuova chiesa,
alla quale il fervore del popolo aveva dato quanto più poteva, il
comune volle la collaborazione di ogni classe eli cittadini. Ma
specialmente diedero la loro opera ssidua i Lucarini, i Petroni, i
Valenti, i Contucci. E. quando la fabbrica della nuova chiesa fu
inoltrata, furono nominati — il 30 Marzo 1500 — sei «conservatori»
due per e terziero»; che, insieme ai «sindaci», agli «operai», ai
«camerlenghi», ai «depositari» dei denari e dei panni e ad altri
«officiali» formavano un corpo di 31 individui, che continuarono
la loro opera fino al giorno in cui la chiesa delle «Lagrime» fu
consegnata alla congregazione religiosa, alla quale il comune —
sempre di sua iniziativa e scelta — volle affidarla.
Ora., su questa opera oculata, diligente ed energica che il comune
nostro esplicò in tale nuova ed eccezionale occasione, vengono
spontanee alla mente alcune considerazioni, che mi sembra, utile
esporre.
Se un fatto simile a questo di cui ci occupiamo, la
manifestazione, cioè, di un' imagine prodigiosa agli occhi dei
credenti, si avverasse ai tempi nostri, è fuor di dubbio che
l'autorità ecclesiastica interverrebbe subito ed efficacemente,
sia per la parte religiosa, che per l'economica. Ne abbiamo un
esempio, assai vicino a noi di luogo
<45>
e di tempo, in ciò che.avvenne nel
1862 al tempo della «scoperta» della, Madonna «della Stella» in
territorio di Moutefaleo. Anche lì affluirono i devoti, e con essi
le elemosine e i doni; ma, per i mutati tempi, non fu il comune
che di ciò prese cura, bensì L'arcivescovo di Spoleto.
I1 contrario, invece, accadde per la Madonna delle Lagrime,
quattro secoli avanti. L'autorità ecclesiastica non prese alcuna
parte all'avvenimento e fu del tutto assente; pur non ostacolando
nè l'entusiasmo dei fedeli, nè l'iniziativa del comune; il quale —
come dissi — oltre ad assumere la gestione di tutte le risorse
finanziarie, esercitò atti di tale natura che sarebbero sembrati
ben più confacenti all'autorità religiosa; come: la nomina dei
cappellani. la proibizione a taluno dei sacerdoti di celebrare la
messa nella nuova cappella, la fissazione delle elemosine ai
celebranti e, più tardi. la ricerca di una comunità religiosa cui
affidare il santuario; e simili.
Per comprendere oggi come tutto ciò potesse avvenire, è necessario
rievocare il complesso delle istituzioni che dei comuni erano la
base e la vita ad un tempo. I comuni che — pur sotto la tutela
della Chiesa si davano volontariamente statuti e leggi; che nei
loro consigli generali decidevano di cause penali, che emanavano
provvedimenti fiscali e finanziarii, che — talvolta — battevano
moneta, vivevano, può dirsi. di vita propria, per quanto soggetti
alla cupidigia ed alle aggressioni dei vicini.
Era. quindi, naturale, allora, che della nuova
manifestazione dell'animo religioso del popolo il comune assumesse
la direzione e la responsabilità, e con la sua autorità tutelasse
e coprisse la buona fede di coloro, che, secondo le forze, davano
parte dei loro beni al nascente santuario. Onde si spiega tutto
ciò che il comune di Trevi fece in quella occasione. Né può dirsi
che dell '
intervento dell'autorità
ecclesiastica siano scomparsi i documenti; poiché se essa avesse
presa una qualsiasi parte negli avvenimenti religiosi che vengo
narrando, non ne sarebbe mancata qualche traccia nella numerosa
serie dei documenti che si conservano. Nulla, invece, né
dall'archivio comunale, né da quello della Curia arcivescovile di
Spoleto, né dagli «Annali» del Mugnoni risulta, che valga a fare
nemmeno sorgere il dubbio di un qualche interessamento
dell'autorità ecclesiastica in questa materia. Quando, con
l'andare del tempo. i religiosi cui fu consegnato il santuario, e,
dopo di essi, il comune vollero o dovettero rivolgersi al papa od
all'arcivescovo di Spoleto, come vedremo, i documenti ce ne danno
le prove abbondanti.
Non ho dati di fatto per istituire confronti .del come in casi
simili e di quei tempi si sia regolata l'autorità ecclesiastica in
altri luoghi:
<46>
sarebbe certo interessante.
Sappiamo, però, che due secoli prima la Repubblica di Orvieto
interveniva energicamente ed esplicava la sua opera e la sua
autorità in tutte le manifestazioni che seguirono il miracolo
detto «di Bolsena»; e nel corso dei secoli, fino a tempi presenti,
il comune stesso, che fece sorgere quel miracolo di arte che è il
meraviglioso suo duomo, difese strenuamente — anche contro
l'autorità ecclesiastica — la sua supremazia di fronte alla nuova
istituzione (1).
E, continuando, dico che non può neanche sorgere il dubbio che
l'autorità ecclesiastica si sia disinteressata della cosa, a
Trevi, per non pronunciarsi col suo intervento, circa
l'autenticità o meno dei fatti prodigiosi che infiammavano l'anima
del popolo. Simili slanci di fede erano frequenti nell'età di
mezzo; e la Chiesa — anche se rimaneva assente — non credeva
necessario frenare l'entusiasmo dei fedeli; specialmente nei tempi
di calamità pubbliche, alle quali ogni conforto spirituale era di
grande sollievo.
Per ultimo vorrei anche esprimere l'opinione che agli occhi della
autorità ecclesiastica l'opera sollecita del comune, la
rispettabilità delle persone che di esso erano a capo — le une e
le altre sempre deferenti alla chiesa — poterono sembrare efficaci
garanzie per lasciar proseguire nel sistema iniziato. Non solo: ma
io credo che il comune, intervenendo con la sua autorità e con la
sua tutela in tutto ciò che riguardava il nuovo santuario, non
facesse altro che esercitare un suo diritto, consacrato negli
antichissimi Statuti municipali, riveduti nel 1427.
Questi, infatti, dispongono che il comune debba eleggere tre «sanctuarii»
o «santenses» uno per ogni terziero, i quali, affinché «gli
affari delle chiese siano trattati rettamente ed affinché non
avvengano dissipazioni», devono sorvegliare le chiese di S.
Emiliano, di S. Francesco, di S. Giovanni con l'annesso ospedale,
e di S. Tommaso con l'altro ospedale per i lebrosi, nonché tutte
le confraternite. I «sanctuarii dovevano redigere
gl'inventari, tenere il libro dell'entrata e dell'uscita, vigilare
che non avvenissero frodi, sotto la pena dell' infamia per essi e
di 100 «libbre» di denari. In compenso del loro ufficio, che era
obbligatorio, ricevevano 40 «soldi» per ciascuno all'anno. Allo
scadere di questo dovevano presentare i loro conti al podestà, il
quale, se vi erano frodi o negligenze, puniva le prime con
____________________________
(1) Fumi
Luigi — Statuti e regesti dell'opera di S. Maria
in Orvieto — Perali
pericle — Memoria sull'attuale stato giuridico
dell' Opera del Duomo di Orvieto — ivi, Marsili,
1922
<47>
una multa di 10 «libbre» di denari e
le altre con 40 «soldi», oltre al rifacimento dei danni (1).
Tenendo presenti queste disposizioni che si riferivano alle
principali chiese ed ai più importanti istituti di beneficenza
allora esistenti, il comune non esitò punto ad applicarle, per
ragionevolissima analogia, alla nuova manifestazione del
sentimento religioso del popolo ed alla chiesa delle «Lagrime»,
che stava per sorgere sotto così promettenti auspici di fede e di
elemosine.
Così e non altrimenti va inteso l' intervento del comune, il quale
non volle certamente ribellarsi all'autorità ecclesiastica, nè
invadere il campo delle attribuzioni di essa: ma volle — allora,
come sempre — valersi dei suoi indiscutibili sovrani diritti.
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(1) «Statuta Vetustiora» del comune di Trevi —
Libro I — Rubrica III — f: 6t. in Archivio delle 3 chiavi - N°
70.
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