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Giovanni Bizzozzero
Dove si trovava la città di Trevi
all'epoca dei Romani?
Stab Tip. «Grafica» di Salvi & C. Perugia
Estratto da nuova economia,
edito dalla Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Perugia.
N.5 - Maggio 1973
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Nota. |
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Plinio il vecchio menziona le popolazioni Trebiates tra quelle Umbre della VI Regione, secondo la divisione di Augusto. Esisteva, quindi, al tempo di Roma, tale popolazione, ma dove si trovava? Sulla collina, ove sorge l'attuale ridente Trevi, mia città natale, o nel piano? Quando io avevo sette o otto anni, mia madre mi condusse a vedere un mosaico romano, che era affiorato, nella località Il Fosso di Bovara, in seguito ad un acquazzone. Le acque abbondanti lo avevano scoperto. Era di modeste dimensioni, in tessere bianche ed aveva una fascia policroma. É questo l'unico rinvenimento attestante la romanità della mia Trevi, durante i ventisette anni di mia permanenza, emerso però in una località lontana lontana dal centro abitato. |
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Di altri rinvenimenti io non ho avuto mai sentore. Se sulla collina ci fossero stati edifici di epoca romana indizi vari sarebbero affiorati durante i secoli, cosa di cui avrebbero parlato certamente coloro che scrissero di storia e di arte. Dire che la città romana sarebbe andata distrutta in seguito alle invasioni barbariche o ai movimenti tellurici, per cui ogni traccia sarebbe scomparsa, non è una convincente ragione. Distruzioni di qualsiasi genere salvano le fondamenta di templi o di mura. A proposito di mura non si deve confondere la maniera romana con quella medioevale, di cui esistono avanzi notevoli con una magnifica porta di severo ed imponente aspetto, attualmente denominata Portico Mustaccio. Sotto la casa Arredi, nelle mura castellane, a sinistra della via scoscesa che mena alla Piaggia, vi è sì una porta murata che arieggia all'epoca romana, ma non lo è. Sarebbe interessante riaprirla per vedere dove conduceva. Sulla sommità si saranno certamente elevati dei templi che dominavano la pianura, dove scorreva il grandioso Clitunno. Circa i templi mi riferisco ad un particolare. Francesco Mugnoni, trevano, nei suoi Annali dal 1416 al 1503, scrive che il 27 ottobre del 1489 si era recato ad ascoltare la messa a S. Martino, chiesa annessa al convento dei frati minori, che, in fondo all'amena passeggiata, costeggiante la collina, sovrasta la meravigliosa pianura, chiesa che seppure ricostruita nei pressi, esiste anche oggi. Nel piazzale, al di sopra dell'attuale Belvedere, dove termina la passeggiata, c'era uno spiazzo con «multe belle prete de altare et colunne de multe belle prete et parte ne sonno in ecclesia nova, et parte portate ad Santo Miliano», cioè nella chiesa collegiata di S. Emiliano, che esisteva, come ora, sul culmine della collina di Trevi. Ai lati del portale di tale Chiesa vi sono due grossi capitelli romani di travertino, di ordine corinzio, i quali dovevano appartenere ad imponenti colonne. Suppongo che i capitelli siano due di tali «belle petre1 » e siano appartenuti al tempio di Diana cacciatrice2, che doveva elevarsi appunto nella località sovrastante il Belvedere della passeggiata, nel punto dominante la pianura. |
Sulla collina di Trevi e lungo i suoi fianchi non sono quindi emerse attestazioni di civiltà romana, differenza di Pietrarossa, dove attualmente sorge la vetusta ed interessantissima chiesa di S. Maria. Al tempo in cui io, compivo gli scavi archeologici di Urbinum Hortense, cioè nel 1938, una gentile e colta signorina di Matigge, frazione che si trova vicino a tale località, mi riferì che durante i lavori dei campi vi erano stati rinvenuti casualmente dei blocchi di travertino, lastre di marmo e frammenti di sculture. Anche nel 1864, come attesta il Prof. D. Aurelio Bonaca, insigne cultore e scrittore di storia ed arte, quando si costruì la ferrovia, vennero alla luce oggetti di epoca romana, alcuni dei quali sono conservati attualmente nella Pinacoteca comunale.3 ed altri andarono perduti. Alcuni piccoli reperti io li vidi nella raccolta del palazzo Bartolini. |
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Lo stesso Prof. D. Aurelio Bonaca ne Le Memorie Francescane di Trevi riporta un manoscritto del 1765 del seguente tenore: «Fin a giorni nostri chiunque scava il terreno per quel circuito e vicinanze (Pietrarossa) trova le fondamenta di ben grossi muri, uno dei quali specialmente in retta linea per lo spazio di sopra a mezzo miglio per la sua ampiezza e lunghezza ci dimostra senza dubbio il fondamento delle antiche mura della Città; strade ottimamente selciate; piedistalli e basi di colonne in tal distanza e simmetria disposte, che vi fanno conoscere essere stati in quel luogo altri antichi e sontuosi templi, o pure bagni, o teatri; colonne infrante, pietre lavorate in quadro di considerevole grandezza, che danno chiaro indizio di essere frammenti di edifici in magnificenza a città cospicua corrispondenti ». Pur ammettendo esagerato quanto scritto dall'anonimo trevano nel 1765, la sua descrizione si addice ai resti di una città d'indiscussa importanza, cioè la città delle popolazioni Trebiates. Lo attesta indirettamente Svetonio, il quale riferisce come si comportò Tiberio in relazione ad un lascito di un cittadino trevano per costruire, un teatro. Egli non permise che la somma venisse spesa per lastricare una strada. Un pagus o un modesto agglomerato di edifici non poteva avere un teatro. La città invece l'ebbe in antico ed altro allora ne costruì, come conferma un piedistallo in marmo, già sostenente una statua, rinvenuto nella zona archeologica di Pietrarossa.4, attualmente conservato nella Pinacoteca di Trevi. In esso vi è scolpito che gli scabillari del teatro raccolsero del denaro per erigere un monumento a Lucio Succonio della famiglia Prisca, forse il benemerito cittadino del lascito di cui sopra. Le popolazioni Trebiates si trovavano, dunque, a Pietrarossa, dove dovizia di ruderi romani giacevano e giacciono sepolti lungo la zona compresa tra il Clitunno e la strada, cioè il diverticolo della via Flaminia. Dalla città si poteva ammirare il sovrastante grandioso tempio di Diana ed altri templi che si stagliavano sulla prospiciente boscosa collina. Il conte Dott. Tommaso Valenti, altro illustre cultore e scrittore di antichità, in Curiosità Storiche Trevane, riferisce di aver letto in una cronaca manoscritta, che si conservava nel Convento di S. Francesco di Gualdo, come, all'epoca dei Carolingi, verso il secolo IX, gli abitanti di Lucana, sita in Pietrarossa, si trasferirono nella collina di Trevi per sfuggire alle incursioni barbariche. Lucana non sarebbe altro che la città delle popolazioni Trebiates, cioè Lucana Trebiensis o Trebia. Ser Francesco Mugnoni, l'annalista di cui ho parlato, scrive che nel mese di luglio o di agosto dell'anno 1468, nella notte di S. Giovanni, ancora una volta scaturì l'acqua «ad santa Maria de pié de Trevi, dove c'è facta quella maestà et dove ce sonno quilli bagni», cioè a Pietrarossa. Secondo la tradizione, oltre all'acqua perenne che alimentava i bagni, di cui parla l'annalista, altre polle comparivano in occasione della festa di S. Giovanni. Nei pressi della vetusta chiesa di S. Maria ci sono ancora i pozzi dove si attinge l'acqua miracolosa del Santo. Ai tempi di S. Francesco, qualche piscina o vasca dei bagni doveva essere ancora efficiente. Infatti il Poverello di Assisi ivi mondava i lebbrosi, provenienti dall'Ospedale dei S.S. Tommaso e Lazzaro, che si trovava nell'attuale località Borgo di Trevi. L'Ospedale aveva certamente un pozzo, ma il Santo preferiva condurre i lebbrosi ai bagni di Pietrarossa, sia per avere l'aiuto di S. Giovanni con l'acqua miracolosa, sia per poterli immergere nelle vasche o piscine. In che consistevano i bagni, alimentati dal Clitunno? Opino che dovevano essere i resti delle terme dell'ormai pressoché sepolta città romana. Sorgono però dei dubbi, i quali farebbero pensare che nella località di Pietrarossa non esisteva la romana Trebia. |
I dubbi scaturiscono dall'epistola di Plinio secondo a Romano. Egli raccontava all'amico le meraviglie del fiume Clitunno, che forse aveva ammirato percorrendo il diverticolo della Flaminia per recarsi nella sua sontuosa villa di Tifernium Tiberinum, oggi Città di Castello. Descriveva la fonte di acqua cristallina che scaturiva ai piedi di una collinetta boscosa ed oscura di antichi cipressi, la quale copiosamente, in più vene, formava un ampio lago, che alimentava un fiume «amplissimum», dove si rispecchiavano i frassini e i pioppi delle due rive. Il fiume era navigabile ed i navigli scorrevano trasportati dalla copiosa corrente, che era difficoltoso risalire con i remi e le pertiche. |
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L'acqua era fredda come la neve. Presso la sorgente maggiore si elevava un antico e venerabile tempio, «priscum et religiosum», di cui gli oracoli annunciavano la presenza del nume «Clitumnus» e la sua virtù fatidica. «Praesens numen, atque etiam fatidicum, indicant sortes». Il nume si ergeva in piedi con indosso la pretesta. E' da notare che, mentre le deità fluviali si rappresentavano sdraiate, il Clitunno, forse Giove Clitunno, maestosamente si ergeva in piedi: ciò dimostra l'importanza che aveva. Intorno, presso le sorgenti più modeste, che ugualmente si perdevano nel fiume, sorgevano molti piccoli simulacri, dedicati ad altre divinità. Uno di questi è forse il tempietto attuale, la cui parte superiore è stata ricostruita nel secolo V con frammentario romano e simboli cristiani per dedicarlo a San Salvatore. Il fiume era diviso in parte sacra e in parte profana da un ponte, che doveva esistere forse presso la Fatistana. Nella parte sacra era permesso solo navigare, mentre in quella profana era permesso anche prendere il bagno. Lungo le rive della parte profana sorgevano molte ville. Precisamente qui si elevava l'edificio dei pubblici bagni, donati d'Augusto agli Spellani. «Balineurn Hispellates, quibus illum locum divus Augustus dono dedit, publice praebent, prebent et hospitium». Si offriva, dunque, anche la gratuita ospitalità. Alcuni pensano che tali bagni siano quelli che si trovavano in Pietrarossa, dei cui resti si servì S. Francesco per mondare i lebbrosi e che esistevano ancora al tempo dell'annalista Mugnoni. In seguito a ciò Trebia si sarebbe trovata sulla collina, dove si trova anche oggi. Non sono d'accordo. Io penso che i bagni donati d'Augusto agli Spellani si dovevano trovare alla fine dei sacraria, tra il diverticolo della via Flaminia ed il Clitunno, presso il ponte o al di là di questo che forse serviva per accedervi. Se i bagni si fossero trovati a Pietrarossa, cioè a circa tre chilometri di distanza, Plinio non avrebbe poto fare a meno di nominare la città di cui facevano parte. Se Trebia si fosse trovata sul culmine della prospiciente collina avrebbe offerto, come oggi, uno spettacolo così interessante che non sarebbe sfuggito alla sensibilità del gentile scrittore. Egli invece esaurisce l'argomento senza altra menzione. É d'uopo, in questo punto, soffermarsi in brevi considerazioni. Plinio non dice che Augusto permise agli Spellani di fabbricare i bagni in quella incantevole località, ma che glieli aveva donati. Allora questi già esistevano e a chi appartenevano? All'erario, cioè al complesso dei sacraria, come la vasta zona di Bovara, Forum Boarium, dove si allevavano in gran numero i buoi anche per i sacrifici presso i templi dell'Urbe? I buoi venivano abbeverati e bagnati nelle limpide acque del fiume, che aveva la virtù di renderli candidi, come attestano Virgilio, Cornelio Nepote e Silio Italico. Oppure i bagni appartenevano alle popolazioni finitime, di cui la più vicina era Trebia? Forse questa si era trovata al fianco di Mevania durante il rovinoso assedio di Perugia, sperando nella conservazione delle antiche istituzioni repubblicane? La collera crudele di Augusto le avrà tolto anche i bagni, che vennero donati ai suoi sostenitori ed alleati? Si tratta di supposizioni che non sono suffragate da indizi specifici e tanto meno da documenti. I bagni erano di essenziale importanza per ogni città romana, come dimostrano le vaste terme di Urbinum Hortense che si trovava in cima ad una collina. Erano importanti specialmente per Trebia che, secondo l'Itinerario Bordigalense o Gerosolimitano, aveva l'attributo di civitas ed era quindi municipio ed in seguito una delle primitive sedi vescovili. Non poteva usufruire dei bagni del Clitunno che, seppure sempre scomodi per la distanza, erano ormai di pertinenza di Spello. Costruì allora i suoi bagni in riva al Clitunno, che scorreva presso la città, parallelamente al diverticolo della Via Flaminia, che si troverebbe più a valle dell'attuale autostrada..5 Il distinto e colto Avv. Carlo Zenobi, non smentendo l'antica tradizione trevana di studi e di ricerche, ritiene infatti di averlo reperito recentemente entro il letto del canale Alveolo. A conferma del mio assunto, cioè che il municipio di Lucana Trebiensis o Trebia si trovava a Pietrarossa, ci sono i vari itinerari romani della Flaminia, che indicano la distanza tra una località e l'altra. Esiste una copiosa bibliografia riguardante i vari esemplari che ci sono pervenuti, i quali non sono sempre concordi. Comunque dopo L'VIII miglio da Spoleto la via passava in vista dei sacraria, dopo quattro miglia raggiungeva Trebia, dopo altre cinque Foligno e dopo altre tre si riuniva alla vecchia Flaminia a Forum Flaininii..6 Tenendo presente che il miglio romano corrispondeva a chilometri 1,4785, la distanza tra Spoleto e Foligno era di Km. 25,134 circa, quasi uguale a quella odierna. Da Spoleto ai sacraria vi erano Km. 11,828, da qui a Pietrarossa Km. 5,914 e da Pietrarossa a Foligno Km. 7,392. Dai sacraria a Trevi vi sono invece circa Km. 4 e da Foligno a Trevi oltre Km. 9. Non vi sarebbe quindi alcun dubbio che la mia città natale, al tempo di Roma, si trovasse a Pietrarossa, questione però che solo gli scavi archeologici potranno definitivamente risolvere Gli oracoli del nume Clitunno e l'amenità del luogo attrassero anche Caligola che vi si recò a sacrificare in occasione di un suo viaggio nella nebulosa Mevania. Lo riferisce Svetonio, mentre Strabone e Plinio il naturalista confermano che il fiume era navigabile. In esso scorrevano piccole navi onerarie, che raggiungevano il lago Clitorius o Umbro, il Teneas dopo Bevagna, il Chiascio ed il Tevere per trasportare i prodotti agricoli locali fino a Roma. Vari terremoti scossero l'Umbria in epoche lontane arrecando gravissimi danni. Come oltre sei secoli prima, al tempo della battaglia del Trasimeno, di cui parla Tito Livio, un catastrofico sisma si ripeté per circa sei mesi nel 444 ed altri ancora che seguirono chiusero gran parte delle copiose sorgenti del Clitunno, che si ridusse nelle attuali modeste dimensioni. Le acque trovarono altre vie nelle viscere la terra sgorgando in piccola quantità anche in località Abisso in territorio di Bevagna. Perse anche il, suo nome lontano dalle sorgenti di sperdendosi nelle paludi, che furono prosciugate solo nella metà del secolo XVI. Il modesto fiume diventò Teverone, non saprei perché, mentre conservò la denominazione di Teneas, Tinia, toponimo di origine etrusca, fino ad oltre il secolo XIV, per diventare Timia da Bevagna e poi confluente del Topino fino ad assumerne il nome presso Cannara. Il tempio di notevoli dimensioni andò distrutto ed attualmente resta il piccolo simulacro del V secolo. Questo sarebbe apparso oggi molto più interessante se non fosse stato mutilato dei portici agl'ingressi laterali, portici venduti in altri tempi. Bella ed encomiabile iniziativa sarebbe quella di toglierlo dall'infelice luogo ove si trova, per collocarlo in un punto eminente, presso le sorgenti, sullo sfondo di cipressi. Dove nei tempi lontani, fra la boscosa verdura, si elevavano i templi pagani, oggi sorge la ridente Trevi offrendo al viandante, che sfreccia per la larga autostrada, uno spettacolo d'incantevole poesia con i suoi edifici che pare salgano sul fianco della digradante collina per raggiungerne il culmine, da cui emerge l'elegante guglia del piramidale campanile. |
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Note 1) Come correttamente riportato sopra e nell'originale, la grafia del Mugnoni è: prete. 2) Altre fonti narrano del tempio di Diana, ma non sul colle di S.Martino, bensì sul colle di S. Emiliano. V. Tiberio Natalucci che si rifà ai Bollandisti. 3) Attualmente nel Complesso Museale di S. Francesco. 4) Altre fonti non indicano il luogo. 5) Nel 1973, quando scriveva il Bizzozzero, la consolare Flaminia era stata rettificata da poco più di dieci anni, ma scorreva sempre davanti al lebbrosario di S. Tommaso. Da non confondere con la "superstrada" attuale, costruita ex novo, a quattro corsie, che scorre ad ovest della chiesa e del nucleo abitato di Pietra Rossa. 6) Non è chiaro quale percorso l'Autore attribuisce alla Flaminia degli itineraria. Il tracciato romano sicuramente era più a valle della carrozzabile attuale e cioè: Spoleto, S. Sabino, Protte, Piè di Beroide, tutto perfettamente diritto fino a Pietrarossa, deviato poi, sempre in epoca classica, per Faustana e Borgo di Trevi. |