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Il Beato Ventura da Pissignano |
itinerario giubilare |
( Da una commemorazione in S. Francesco il 28/6/1987)
1 - INTRODUZIONE Questa magnifica chiesa dedicata a S. Francesco e l'attiguo
ex convento sono legati intimamente alle più importanti vicende del nostro comune.
Vogliamo qui ricordarne soltanto alcune. Ma è nella storia religiosa che questa chiesa riveste
un'importanza che travalica i confini del nostro comune. |
2- GLI EREMITI Chi erano gli eremiti? "Le prime tracce di cristiani che abbandonarono il mondo in vista di una maggiore perfezione spirituale si hanno nel III secolo e con la persecuzione di Decio, ma nel corso di pochi decenni l'ascetismo cristiano crebbe e si sviluppò straordinariamente. Vi contribuirono il mondanizzarsi di molte chiese, con le conversioni in massa dopo Costantino. L'anacoretismo dapprima attenuato (riunioni per il culto, raggruppamento di `discepoli' attorno a un `anziano') cedette sempre più il posto a forme di vita ascetica associata, sebbene avesse, a tratti, delle riviviscenze notevoli. La tendenza alla vita ascetica, manifestatasi dapprima in Egitto, si propagò successivamente a tutto il mondo cristiano." "Tra i vari tipi di asceti si possono distinguere i RECLUSI, in grotte o celle, talvolta in un monastero, o - specie le donne - nel muro di una chiesa; "gli STAZIONARI, che per la loro penitenza stavano sempre in piedi; gli STILITI che dimoravano sopra una colonna e i cosiddetti PASTORI che conducevano vita nomade." "L'Occidente vide più tardi popolarsi di solitari
le foreste e le caverne dei monti." "Con l'andar del tempo infatti prevalse sempre di più la vita cenobitica", ma "nei secoli 12° e 13° era ancora grande in Occidente il numero degli eremiti indipendenti che portavano un abito religioso arbitrario, dando luogo anche ad abusi che provocarono provvedimenti da parte dei papi." |
3 - LA VITA Tra questi eremiti isolati va inquadrato il Beato Ventura, la cui vita viene così
sinteticamente esposta dal Natalucci, il grande storico locale già ricordato. Castello di Piscignano, chiamato comunemente da Trevi, non solo perché detto castello fu per il passato della giurisdizione trevana, ma ancora perché, vivendo, il medesimo beato dimorò nella grotta di S. Marco - la quale anche presentemente nel distretto di Trevi - dove venne sovvenuto di elemosine e spendé il tempo nelle mortificazioni, orazioni e lagrime ed in ricibare il prossimo con le carità [che] gli si portavano; esortando ciascuno a far sempre del bene e a fuggire il male; specialmente nel dire: 'SIA LODATO E BENEDETTO IDDIO', non senza ristarne inteso miracolosamente anche da quei [che] li stavano assaj lontani, sparsi per tutta la valle spoletana, intonando tal detto dal luogo suo a fine rispondessero i popoli assuefatti ad udirlo: "SIA BENEDETTO IDDIO". Donde, dotato di spirito profetico, predetta la santità della Beata Chiara di Montefalco allora vivente e i prodigj che poj gli si scoprirono nel cuore, per le molte altre virtù, avendo ornata la vita sua con più miracoli, la quale finì l'undici luglio dell'anno di N. S. 1310, si meritò il titolo di beato e di santo." Alla fine del XVI secolo, in occasione del rifacimento dell'altar maggiore, furono trovate le spoglie mortali del beato nell'arca di pietra che ora sta in fondo alla chiesa. Sembrerebbe che il ritrovamento sia stato casuale: forse i venerati resti, come molte altre reliquie nel medioevo, erano stati accuratamente nascosti per evitare che venissero trafugati e successivamente si era persa la memoria della loro ubicazione. Muzio Petroni (che per l'occasione ritrascrisse la vita) chiese ed ottenne di poter degnamente sistemare nella sua cappella di famiglia le ossa del Beato. La traslazione avvenne, come dice poeticamente il Natalucci, "il dì 26 dicembre 1593, che resesi placido come giorno di primavera", "con solenne concorso de' populi, specialmente del castello di Piscignano". |
Stampa tratta dal volume di Tolomeo Petrelli Lucarini del 1694. |
4 - NOTIZIE E FONTI Il Natalucci, come suo costume, riporta puntigliosamente per ogni frase tutte le fonti
da cui ha attinto la notizia, dandoci così modo di poter ragionevolmente discernere le
notizie inoppugnabili da quelle un po' fantasiose. Infatti anticamente le vite dei santi,
specialmente se scritte a notevole distanza di tempo dalla morte, venivano semplicemente
"inventate". Anche se questo quasi ci scandalizza, dobbiamo considerare che le
biografie dei santi venivano composte non per fornire un saggio di una storia documentata,
ma soltanto al fine di edificare i fedeli con la narrazione delle gesta del protagonista.
E per dare più forza e persuasione al racconto venivano propalate delle semplici favole,
sia pure al solo scopo di far emergere con più forza una verità conclamata e non certo
per imbrogliare i destinatari del messaggio. Ma il documento più probante della santità del beato Ventura citato dagli atti del
processo di canonizzazione della Beata Chiara di Montefalco. Tra le più antiche
testimonianze che si cominciarono a raccogliere pochissimi giorni dopo la morte di Chiara,
avvenuta nel 1308, viene citato Santo Ventura da Trevi che ne aveva proclamato la santità
in vita e aveva profetizzato dei miracoli che lei avrebbe operato dopo la morte. Durante la sua vita il beato Ventura, pur essendo in un luogo appartato, non fu "fuori dal mondo", ma con il mondo comunicava più volte al giorno con la giaculatoria che proclamava con voce tonante e le risposte che ne riceveva. Questo particolare, riportato nella biografia del Petroni che lo riprende dalla "vita" precedente da considerarsi coeva, può ragionevolmente essere accettato come fortemente attendibile, anche perché, a quanto ci risulta, una caratteristica del genere non stata mai attribuita a nessun altro personaggio oltre che al Beato Ventura. Il fatto, riportato dal Natalucci come miracoloso, che la voce venisse udita dai lavoratori dei campi e delle vigne non appare poi così strano poiché dobbiamo ritenere che a quei tempi i territori in collina fossero abitati e regolarmente coltivati e non sembra inverosimile che, in assenza di tanti rumori che oggi ci bombardano, una voce robusta potesse giungere dal sasso che sovrasta la grotta fino al fondovalle. Dagli atti inoppugnabili del processo di canonizzazione di S. Chiara di Montefalco emerge che, oltre al carisma della preveggenza profetica, l'eremita Ventura aveva contatti con la gente e si interessava delle cose che accadevano nel mondo. Ed è da ritenere verosimile che i pellegrini che si recavano fino alla grotta per visitarlo andassero a chiedergli consigli e conforto. La fama della sua santità non fu inventata a posteriori ma fu unanimemente riconosciuta essendo egli ancora vivente, tanto che, il giorno seguente la sua morte, le salma fu traslata nella chiesa di S. Francesco e fu deposto sotto l'altar maggiore. Numerosi documenti di vari archivi citati dal Natalucci, confermano che la chiesa di S. Francesco, allora di recente costruzione, fu per molto tempo intitolata al Beato Ventura o a San Ventura, e con l'attributo di Santo indicato anche negli atti del processo di S. Chiara. Ciò nonostante non risulta che si sia mai celebrato un processo di canonizzazione del Beato Ventura. In tempi tanto poveri fu ritenuto degno di sepoltura marmorea e fu riutilizzato l'imponente sarcofago che si può verosimilmente supporre essere appartenuto ad un notabile longobardo. Per vari secoli fu oggetto di culto, risultando dai libri di spese e perciò inoppugnabili, che si celebrava regolarmente la sua festa. Oltre che dalla celebrazione della festa, si può rilevare che il culto sia stato ininterrotto attraverso i secoli da altre inoppugnabili testimonianze, come l'affresco del 1414 nella cappella Petroni, la tela nell'altare di S. Francesco del 1598, la biografia del Petroni del 1592, la riedizione che ne fa il Lucarini nel 1694 e l'Historia del Natalucci dei primi del '700. |
5 - SANTI LOCALI Abbiamo visto come il nostro Beato sia stato sicuramente un uomo eccezionale, ma un
uomo che, anche se lontano nel tempo, possiamo considerarlo per certi aspetti molto vicino
a noi. Un uomo che calpestò questa nostra terra, che si affacciò a contemplare questa
nostra valle e i magnifici monti azzurri che si vedono all'orizzonte. Un uomo che in una
parola "visse" qui, amando Dio e il prossimo con passione, sopportando le
avversità con coraggio, perseverando con forza nella difficile ricerca del Bene. Ebbene, tutti costoro insieme ad un'altra moltitudine di anime elette, che nel corso
dei secoli hanno vissuto su questa nostra terra come noi e di cui nel tempo si
è perso memoria, non
possono restare indifferenti alle nostre ansie, alle nostre gioie, alle nostre speranze. |
Notizie tratte da: Muzio Petroni, Vita del Beato Ventura eremita (Ristampa di Tolomeo Petrelli Lucarini), Foligno, 1694. Tolomeo Petrelli Lucarini, Sincerissima relazione. . . del Beato Ventura Eremita, Foligno, 1694. Durastante Natalucci, Historia . . . di Trevi, Todi, 1985. Giuseppe Bragazzi, La rosa dell'Umbria, Foligno, 1864. Salvatore Marino Mazara, La chiesa di S. Francesco a Trevi, Alba, 1924. Aurelio Bonaca, Le memorie francescane di Trevi, Firenze, 1926. Aurelio Bonaca, Religione e beneficenza in Trevi, Tevi, 1935 Alberto Pincherle, Anacoreti, in E. I. , s. v. Pietro Pisani, Eremiti, idem. Ansano Fabbi, Antichità umbre, Assisi, 1971. Ansano Fabbi, Presenza cristiana a Spoleto e a Norcia, in Atti 1°Convegno di Studi Storici Ecclesiastici, Spoleto, 1977. Silvestro Nessi, Trevi e dintorni, Spoleto, 1979. Giovanni Bertassi, Trittico, Trevi, 1984. Lo studio a
tutt'oggi
più completo, con la pubblicazione di documenti di archivio inediti, è stato condotto
dal Nessi: |
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