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IL MONASTERO SANTA CHIARA IN TREVI
Il vecchio Monastero di S. Chiara qui descritto è attualmente occupato da un'altra comunità.
In amena posizione proiettata in vista della Valle
Spoletana, della quale Francesco di Assisi cantò il "Nihil
jucundius vidi", laterato a nord e ad ovest dalle poderose mura urbiche
medievali, si stende l'ampio e soleggiato Monastero S. Chiara, nel quale lo
scorrere dei secoli ha lasciato le diverse tracce che pur si incrociano e si
fondono in quella armonia tipica dei complessi che il tempo ha visto via via
dilatarsi. Così, ai severi resti duecenteschi in pietra, si accostano le
robuste arcate claustrali in cotto e gli ampliamenti cinquecenteschi
puntualizzati dallo snello torrione rotondo dalle finestre aperte sulla
valle e con veranda svettante nell’alto, cui si accede con una ininterrotta,
e pur riposante, scala elicoidale in ariosa muratura. E poi le seicentesche
facciate dell'ingresso e della chiesa, nell’interno della quale lasciò
robusta impronta il gotico nell'ultima fase della sua espressione: il tutto
ben legato dalle più moderne strutture di ampliamento e restauro, che
sottolineano l'ininterrotto lindore monacale e annunciano la mistica oasi di
pace e di preghiera riversantesi sugli orti e sui giardini.
Del Monastero S. Chiara in Trevi non si conosce l'anno di fondazione, né si
sa da chi sia stato fondato. L'unico antico documento, salvato dalla
dispersione napoleonica dell'archivio, è la bolla del 7 aprile
Durastante Natalucci, nella sua Historia Universale di Trevi, ritiene la
data di emissione della bolla come quella di fondazione del monastero[1].
Questa volta non siamo d'accordo con l'illustre storico trevano, ritenendo
che, per la stessa presenza della bolla nel monastero, e per quanto
osserveremo in seguito, la data della fondazione debba essere portata
indietro nel tempo di alcuni decenni.
É tradizione che il monastero sia stato fondato dalla stessa Chiara di
Assisi. Non intendiamo ancorarci a tale suggestiva ipotesi, ma non
escludiamo che il monastero sia sorto ancora vivente
Ma la nostra opinione si fonda soprattutto sul fatto dell’esistenza in Trevi
di un primo convento di Frati Minori, che affermasi essere stato fondato,
nel 1213, dallo stesso San Francesco[2].
La prima memoria storica della sua esistenza l’abbiamo in ogni caso in un
breve di Alessandro
IV
del 1258[3].
Il Convento di S. Francesco è documentato anche dalla bolla di Onorio
IV
dell’anno 1285[4],
con la quale il Papa demanda al guardiano del detto convento l’assoluzione
dei Trevani dalla scomunica (in cui erano incorsi per aver aiutato Perugia,
ribellatasi alla Chiesa, nella guerra contro Foligno). Dobbiamo ritenere per
vero che tale importante incarico e soprattutto la preferenza alle altre
autorità ecclesiastiche del luogo, presuppone che il Convento dei Minori era
assurto a notevole importanza, e ciò non avviene normalmente se non in
cospicuo lasso di tempo, e i 27 anni dal breve di Alessandro IV sono
veramente un po’ pochi per salire a tanto prestigio. Quindi anche la data
del 1258 (che certifica la sola esistenza) va portata indietro di qualche
anno.
Se dunque a
Trevi nella prima metà del sec. XIII era così vivo il movimento francescano
in campo maschile, dobbiamo supporre che tale doveva essere anche in campo
femminile. Riteniamo dunque che il convento e il monastero siano sorti
entrambi, se non vivente il grande Santo, almeno in quella atmosfera di
fervore che divampò subito dopo la di lui morte, dando la priorità al
Convento dei Frati Minori e ritenendo questi i fondatori del Monastero che
da loro dipese sino al 1567.
Sotto la “Regola di Santa Chiara”,
approvata da Papa Innocenzo
IV
il 9 agosto 1253, viveva dunque il primo nucleo delle “Sorelle
Povere”, in assoluta obbedienza alla Chiesa, senza alcunché di proprio,
e in castità, "mandando con fiducia
per l'elemosina", recitando le Ore, lavorando secondo le personali
capacità e possibilità, possedendo il monastero il solo terreno necessario
per il conveniente isolamento, e coltivando il medesimo ad orto per il
sostentamento della comunità (Regola).
Queste prime Sorelle Povere
furono chiamate con vari nomi: talvolta “Sorelle”,
talaltra "Signore", spesso "Monache"
o "Povere Rinchiuse dell'Ordine di S.
Damiano". Non intendiamo ripercorrere la complessa storia della
legislazione costitutiva dell'Ordine di Santa Chiara, al fine di poter
seguire più da vicino le prime suore del nostro monastero. Vogliamo solo
specificare che a tale Regola sono adattate le Costituzioni Generali, le
quali, riviste e aggiornate nel volgere degli anni - e tenuto conto anche di
quanto trattato dalla
XXV
sessione del Concilio di Trento, 4 dicembre 1563, circa la riforma dei
regolari e delle monache - vigono nel testo ultimamente approvato con
Decreto della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, il 13
maggio 1988.
Nel riferire le
notizie rinvenute nelle nostre ricerche seguiremo, per quanto possibile,
l'ordine cronologico perché in questo meglio si rispecchia l'evolversi della
vita del Monastero, Non divideremo quindi la narrazione in capitoli; e per
la individuazione dei singoli argomenti, ove interessi, rimandiamo il
lettore all'indice analitico.
Troviamo documentato il Monastero S. Chiara in Trevi nella notizia del 1355
che si riferisce alla risoluzione, a favore del monastero, della divergenza
avuta con il Comune, circa l'esenzione da alcune collette[5].
È documentato cioè quando alla povertà iniziale era seguita l'acquisizione
di quei terreni a cui si riferiscono le contestate tasse, ingiustamente
pretese dal Comune di Trevi. La notizia non contraddice in alcun modo quanto
più sopra osservato circa la vetustà della fondazione.
Il Monastero S. Chiara è ulteriormente documentato nell’anno 1363, nella
notizia della morte di Valente Valenti, il quale "aveva
fatto vari legati pii, in specie ai monasteri di S. Maria Maddalena e di S.
Chiara"[6].
Anche se non troviamo particolarmente ricordato il nostro monastero in
eventi di rilievo, lo dobbiamo però ritenere coinvolto in tutti quei fatti
che riguardarono la popolazione trevana, della quale le nostre claustrali
sorelle facevano e fanno parte. Con ciò non scorreremo
particolareggiatamente la storia di Trevi; diremo solo che il dominio della
Chiesa sulla nostra città fu interrotto talvolta dal sempre agognato libero
governo, e talaltra da quei, non infrequenti, passaggi al dominio altrui,
seguenti a sanguinose aggressioni. Vogliamo ricordare qui per tutte,
l’aggressione e il sacco del 1353, dati improvvisamente a Trevi, da fra’
Monreale di Alberno di Provenza, ribellatosi al cardinale Albornoz (cioè
alla Chiesa). Ammoniti da tale luttuoso e dannosissimo evento, che trovò
impreparati i Trevani, questi, temendo per l'avvenire, si misero a
fortificare ed armare le torri e le mura[7],
un tratto delle quali faceva in qualche modo parte del monastero. Lasciamo
immaginare al lettore le ansie e i disagi patiti dalle nostre monache in
tutti gli eventi bellici nei quali le mura prendono sempre parte tra i
protagonisti.
Altri eventi
comuni, e dai quali nessuno poteva rimanere estraneo, furono i periodi di
peste, tanto ricorrenti nei secoli passati; e ricordiamo che i conventi e i
monasteri erano in continuo contatto con la gente più esposta al contagio: i
poveri ed i pellegrini in continuo ricambio avanti alla porta, nell' attesa,
mai vana, della mano benefica che spesso significava la sopravvivenza.
Aggiungiamo le particolari veglie di preghiera (che si univano spesso a
quelle dei fedeli) per chiedere al Signore misericordia per l’afflitta
umanità così pesantemente oppressa: e questa incessante preghiera è la vera
grande parte della storia dei nostri monasteri.
Con la peste
ricordiamo anche le carestie (spesso origine della peste).
Non proseguiamo
con elenchi, date e annotazioni, perché sarebbero uggiosi anche per la loro
quantità.
Durante il sec. XVI, nell'atmosfera creata dal subdolo serpeggiare di
deliranti teorie, e in una generale crisi, la morale e i costumi ebbero un
diffuso rilassamento, dal quale non seppero sottrarsi anche molti istituti
religiosi tradizionalmente di integerrimo comportamento. Ed a questo
disordine non si sottrassero i Frati Conventuali di S. Francesco in Trevi e
forse, di conseguenza, il Monastero S. Chiara che da quelli dipendeva. Ed
inizia il triste periodo tutto da dimenticare, ma del quale bisogna pur
parlare per la verità che richiede la storia. Leggiamo negli Annali di Ser
Francesco Mugnoni[8]
che il 22 febbraio 1502, fu a Trevi frate Egidio Delfini d'Amelia, ministro
generale dell’Ordine Francescano, che tra l’altro si riprometteva di sedare
le divergenze tra gli Osservanti e i Conventuali e riformarne i costumi,
piuttosto rilassati anche a Trevi.
Ridusse quindi "i Frati Conventuali
di S. Francesco a vita e abito come i Frati di S. Maria degli Angeli”,
tutti a vita comune, senza eccezioni. Le monache di S. Chiara ebbero forti
rimproveri (…e forse qualcosa di più!). Il Ministro Generale prescrisse loro
"grande astinentia de vestire e de
conversazione con seculari", e l’obbligo di non poter parlare con essi
se non in presenza di testimoni. Sembrò che le cose tornassero al loro
posto. Ma non fu per molto tempo. Infatti, nel 1549, il Consiglio Generale
del Comune di Trevi (che per norma statutaria doveva interessarsi anche
della disciplina interna delle comunità), elesse tre deputati con l'incarico
di far tornare le monache sulla retta via[9].
Ma gli effetti ottenuti non soddisfecero troppo gli amministratori, che
infine operarono in modo che il monastero fosse tolto dalla dipendenza dei
Frati Conventuali e passasse sotto l'obbedienza del Vescovo di Spoleto; come
infatti avvenne nel 1567[10].
Il Wadding[11]
riporta il breve apostolico con il quale viene affidato al Vescovo di
Spoleto la cura del Monastero S. Chiara in Trevi, rimossi i Conventuali. E
tutto tornò alla perfetta osservanza della Regola in obbedienza, pietà,
umiltà, povertà. Da allora il Monastero fu tenuto a pagare al Vescovo di
Spoleto, ogni anno, libre tre di cera (come altri monasteri)[12].
Dall'anno 1358 il Comune di Trevi iniziò ad aggiungere alle mura urbiche i "fortalizzi”
[torrioni][13].
Quello "quadrato che si gode dalle
monache di S. Chiara" fu costruito nel 1521[14].
Attualmente il torrione termina nel sommo con un ameno, silenzioso terrazzo
(raggiungibile dal sottostante orto con una comoda scala esterna),
adattissimo per l'incontro con "Chiara
e Francesco"al fine di centellinare, magari in uno dei tanti sfumati,
iridescenti tramonti, il Cantico delle Creature.
Nel 1575 il Comune concesse al Monastero un altro torrione "affinché
vi potessero fabbricare il palombaro"[15].
Si intensificava infatti all'epoca la costruzione delle palombare, che si
erano rivelate di prezioso apporto, sia quantitativo che qualitativo, al
nutrimento umano, mentre il guano era utilissimo per le sue alte qualità di
fertilizzante: proprietà tutte non disprezzabili, anche per il loro basso
costo di produzione.
Il Comune di Trevi si dimostrava abbastanza generoso con il Monastero S.
Chiara (così come lo era con gli altri monasteri). Nel 1602 concesse l'acqua
per la cisterna[16],
dono prezioso e privilegio concesso a pochi, stante l'annosa penuria
dell'acqua pubblica.
Per la festa di S. Chiara, lo stesso Comune interveniva con donativo di cera[17];
ed all’occorrenza elargiva elemosine[18],
quantunque -osserva il Natalucci - il Monastero fosse piuttosto ben messo
anche quanto a beni mobili e immobili. Infatti da un inventario che esisteva
nell'archivio del Monastero, risultava che questo possedeva "molti
beni stabili, censi e luoghi di monti, che li costituiscono il valzente di
circa scudi 40 mila, compreso quello del suolo trevano”. Possedeva
altresì un terreno nel territorio di S. Giovanni che, nell’anno 1704, fruttò
scudi 549. 43. 1
[19].
Il capitale dell'agro trevano era, nel 1577, di libre 1126. 4[20].
Il tutto era certamente frutto di donazioni e delle doti delle monache.
Circa la dote delle monache sappiamo che questa, nel 1620, era di scudi 300[21].
Quanto alla chiesa del Monastero, il Natalucci dice:
”…la sua bella chiesa, di competente
grandezza, che, lasciata la vecchia per il coro, stato illustrato con volta
e novo altare il 1739 (Arch. Mon. S. Clarae in lib. exspens. ad d. an. )
restò fabbricata circa il 1666 e
compita con volta, dui organi e sette ben adorni altari, con colonne e
ornamenti di stucco intorno alle loro immagini, il maggiore dei quali è
ancora indorato. È ricco di argenti e preziose suppellettili e devoto per
varie reliquie di santi”[22]
. L'interno è ornato di stucchi di un barocco ormai decadente[23].
Attualmente gli altari non sono più sette ma tre:
quello di destra con quadro delle Stimmate di S. Francesco e statue in gesso
di S. Carlo Borromeo e S. Bonaventura; nel fastigio l'immagine, pure in
gesso, del Risorto; sotto un cartiglio che dice:
SIGNASTI, DOMINE, SERVUM TUUM FRANCISCUM
SIGNO REDEMPTIONIS NOSTRAE.
L'altare di sinistra con quadro dell'Assunzione
della Vergine con statue in gesso di David e Salomone; nel fastigio,
l’immagine in gesso dell'Eterno; sotto un cartiglio che suona:L'altare di sinistra con quadro dell'Assunzione
della Vergine con statue in gesso di David e Salomone; nel fastigio,
l’immagine in gesso dell'Eterno; sotto un cartiglio che suona:
TOTA PULCHRA ES MARIA ET MACULA ORIGINALIS NON EST IN TE
Il catino dell'abside, coperto in ogni parte di cornici, lacunari, statue e
angeli, ha nello sfondo una tela raffigurante la gloria di S. Chiara. Nel
fastigio del frontone, tra cornici e volute, un grande coloratissimo stemma
del card. Facchinetti, con sotto un cartiglio con iscrizione commemorativa
che dice:
D. O. M. CAESAR. CARD. FACCHINETTO EPISC.
AUSPICANTE TEMPLUM HOC A FUNDAMENTIS ERECTUM
MONIALES HOC STEMMATE DECORARUNT AN. SAL. 1666
REST. M. ALTARE 1793,
cioè:
Eretto questo tempio dalle fondamenta per interessamento del card. Cesare
Facchinetti vescovo nell'anno della salvezza 1666 -restaurato l'altare
maggiore nell'anno 1793, le monache lo decorarono con questo stemma
-
Riteniamo opera della stessa epoca il grazioso
campanile a vela dalla singolare forma triangolare, con tre piccole campane,
bene intonate e dal timbro festoso.
Fino al 1666
fungeva da chiesa del Monastero,
E circa
Il fatto è
narrato nella memoria coeva conservata nel Monastero. L’mmagine della
Madonna delle Grazie - che tradizionalmente ritienesi affresco della scuola
giottesca - rappresenta
Dalla relazione
della visita pastorale del 1713 veniamo a sapere che nel Monastero di S.
Chiara erano in numero di 29 tra monache, converse ed educande.
Sicuramente
bella, serena, in perfetta risposta d'amore si svolgeva la vita nel
Monastero, allorché anche sopra di esso cominciarono ad addensarsi le nuvole
della tempesta napoleonica.
Le notizie che
seguono, verranno tratte dalla "Storia di Trevi 1746-1946", tratta a sua
volta, per la gran parte, dai documenti dell'archivio storico di Trevi, al
quale pertanto si rimanda come fonte, salvo diversa indicazione. Gli
avvenimenti che riguardano il Monastero verranno inquadrati, sommariamente,
nella storia nazionale per meglio comprendere le cause e l'evoluzione degli
eventi stessi.
Nella marcia
d'invasione dello Stato Pontificio, nel febbraio 1797, i Francesi giungono a
Foligno e ben si comprende quale possa essere lo stato d'animo di chi si
sente vicino l’invasore, dal quale già sa di non potersi aspettare altro che
opera di disgregazione, nello spettro della violenza, anche fisica, spesso
associata alle non sempre controllate penetrazioni militari.
Il 15 febbraio
1798 viene dichiarato decaduto il potere temporale del Papa, e Pio VI,
ottantenne, malaticcio, è così arrestato e tradotto in Francia. Comincia
l'agonia del nostro monastero.
Il 6 Fiorile, Anno VII dell’Era Repubblicana (25 aprile 1798) il Ministro
dell'Interno comanda alla Municipalità di Trevi di procedere alla
soppressione dei conventi e monasteri del Cantone. Si ordina nella lettera:
"… fate inventario di tutto, e di
tutto rendetemi conto. Ogni monaca porti via tutto ciò che è di sua
proprietà nella sua cella… Allorché tanto i frati che le monache evacueranno
il proprio monastero, fate loro prestare individualmente il giuramento che
niente è stato occultato o distratto".
II 26 Fiorile stesso, il Ministro faceva pervenire alla Municipalità di
Trevi quest'altra lettera: "Avendo
presa in considerazione il Cittadino Ambasciatore della Repubblica Francese
la soppressione del Monastero di S. Chiara in Trevi, esistente in codesto
Cantone, è d'uopo che sospendiate nel momento l'esecuzione della
soppressione stessa fino a che dal lodato Ambasciatore siano state fissate
su di tale oggetto le determinazioni opportune". Non si conosce la
ragione di tale intervento a così particolare e inatteso favore del
Monastero S. Chiara; ma è certo che tale intervento, nonostante
l'autorevolezza della fonte, rimase lettera morta perché risulta dagli atti
che 40 pezzi di terreno del "soppresso
Monastero di Santa Chiara in Trevi" andarono subito a far parte dei "Beni
Nazionali" e furono ceduti "al
cittadino Valerio Travaglini Procuratore della Compagnia Annonaria di questo
Comune in soddisfazione di tanto pane somministrato e da somministrare per
servizio dell'Armata".
Altro proclama che ci interessa da vicino è quello del Generale di Divisione
Gouvion S. Cyr: "Dal Quirinale il 22
Fiorile, Anno VI Era Repubblicana (18 maggio 1798)-Art. l-Contando dal
giorno della pubblicazione della presente legge, non potrà più riceversi
verun novizio dell'uno e dell'altro sesso. Art. 2 - Si accorda ai novizi
attualmente esistenti in detti chiostri un termine di giorni dieci, per
restituirsi nelle rispettive famiglie".
Nella stessa legge si statuisce che non sono più riconosciuti i voti
religiosi, e si impone l'immediata "sortita
dal territorio della Repubblica di tutti i religiosi nati fuori del
territorio stesso".
La legge 2 Messifero, Anno VI (4
settembre 1798), estende la soppressione alle "Confraternite,
Università, Oratori, Congregazioni e qualunque altra Incorporazione o Unioni
di Persone Laiche". Si aggiungono altre leggi severe e angarianti contro
gli ecclesiastici. Ma forse proprio in conseguenza delle stesse, il clero
non rimaneva quieto, tanto che il vescovo Francesco Maria Locatelli inviava
al clero una notificazione raccomandando la subordinazione alle autorità per
evitare mali peggiori. La notificazione non porta la data, ma senza dubbio è
di questo periodo, nel quale ormai cominciavano a serpeggiare sollevazioni e
rifiuti, anche perché il Re di Napoli, che mal sopportava la presenza dei
Francesi nella Repubblica Romana (cioè nell'ex Stato della Chiesa),
d'accordo con gli Inglesi, Russi e Turchi, si accinse alla guerra. Nel
novembre 1798 i Napoletani entrano in Roma, ed i Francesi, ritiratisi,
trasferiscono
In questo andirivieni di truppe, con ancora spogliazioni e angherie e,
possiamo aggiungere, sotto le finestre del nostro monastero, è facile
immaginare lo stato d'animo delle povere monache, forse riparate, almeno in
gran parte, negli abitati vicini.
Nell'agosto del
1799 anche Trevi fu liberata dall'invasore e riteniamo che il monastero si
sia subito riorganizzato in qualche maniera.
Il 29 dello
stesso mese, era morto prigioniero a Valenza, Pio VI ed il conclave indetto
a Venezia, il 13 marzo 1800, aveva eletto Pio VII, che fu a Foligno il 27
giugno. Il 30 mosse per Spoleto attraversando il territorio di Trevi, e
senza dubbio le nostre monache, dalle finestre del monastero, seguirono il
corteo papale transitante nella Via Flaminia, a circa
Segue un periodo di quiete, ma che diviene subito denso di apprensioni,
perché Napoleone era sceso nuovamente in Italia e vi aveva ristabilito
Anche Trevi (ed
il Monastero S. Chiara) torna sotto il governo francese: ricomincia il
martirio delle nostre monache.
Con decreto 28
maggio 1810, vengono nominati i commissari per la soppressione dei conventi,
monasteri e corporazioni religiose. A Trevi furono soppressi: il Monastero
S. Chiara, il Monastero delle Benedettine di S. Lucia, i Conventi dei
Francescani di S. Francesco e di S. Martino, di S. Domenico, dei Cappuccini,
di S. Pietro in Bovara, i Canonicati di S. Emiliano, e le Cappellanie.
Alle monache
venne impartito l’ordine di togliere l'abito religioso e di tornare al paese
di origine entro il 30 giugno. Ad esse venne assegnata una pensione a carico
degli enti disciolti (secondo la possibilità degli stessi … e il
comportamento delle singole monache). Le pensioni però, per evidenti motivi,
tardarono a venire, o non vennero mai.
Il Monastero S.
Chiara trovavasi nella giurisdizione della Parrocchia di S. Croce in
Piaggia: il parroco di questa, don Nicola Lupacchini (per molti anni
cappellano e confessore delle nostre monache) fu deportato in Corsica perché
non volle giurare fedeltà ali'Imperatore Napoleone Bonaparte.
Dal 20 al 22
settembre 1810 vennero posti in vendita tutti i beni dei conventi e dei
monasteri, fabbricati, terreni e bestiame.
Le monache
lasciarono il loro monastero; la tradizione ci dice che quante non trovarono
agevole il ritorno in famiglia, vennero accolte da famiglie trevane.
Ma intanto l'astro napoleonico si andava offuscando, ed alla fine del
gennaio 1814, i Francesi abbandonarono il nostro compartimento. Il Venturini[24]
ci fa sapere che appena Napoleone venne esiliato nell'isola d'Elba "gli
ordini religiosi vennero richiamati a nuova vita". Ma ancora un sussulto
alla tranquillità delle monache lo dette la notizia che Napoleone, il 5
marzo 1815, era fuggito dall'Elba e il 20 dello stesso mese aveva
riacquistato il potere.
Pio VII fugge a
Firenze. Gioacchino Murat, con le truppe napoleoniche, invade lo Stato
Pontificio; occupa le Romagne e giunge sino a Ferrara. Gli Austriaci lo
respingono e lo inseguono, passando anche per il territorio trevano. Le
nostre monache, con il cuore in gola, vedono ancora scorrere truppe nella
tanto vicina Via Flaminia. Ma il 18 giugno
Annunziata era nata a Visso il 24 novembre 1805 da agiata famiglia. Da
giovanetta sembrò accennare a vocazione religiosa; ma poi mostrò più
spiccata tendenza per la vita piuttosto mondana. I genitori la mandarono a
Trevi, presso lo zio prete perché questi la persuadesse ad accettare una
delle proposte
di matrimonio da lei stranamente respinte, ma ritenute vantaggiose dalla
famiglia a seguito delle mutate condizioni economiche.
Dopo tante
incertezze, e forse non pochi affanni dati dalla vocazione che tornava a far
capolino, Annunziata decise per il monastero; e lasciato un laconico
biglietto allo zio, entrò in S. Chiara. Era abbadessa M. Costanza Ciccaglia,
le cui virtù conquistarono subito la probanda, che per di più, si immise con
tutto il fervore nella singolare e calda devozione al S. Cuore di Gesù che
allora si praticava nel monastero. Esemplare nel probandato e nel noviziato,
il 10 settembre 1828, emise i voti solenni. Fu poi meravigliosa maestra
delle educande. Ebbe come direttore spirituale mons. Ignazio Cadolini,
vescovo di Spoleto, mentre era protettore del Monastero il prestigioso
cardinale Giacomo Filippo Franzoni. Alle virtù che Annunziata possedeva in
alto grado, si aggiungeva quella particolare sensibilità e grazia che fa
prevedere eventi futuri e fa vivere eventi presenti. Singolare memoria si
conservò nel Monastero, dell'episodio che riguardò l'assassinio del buon
parroco di Parrano di Trevi, don Alessandro Virgili, fervente devoto di S.
Vincenzo Ferreri, dal quale le otteneva vistose grazie in continuazione.
Tre malfattori, complice la vecchia fantesca del parroco stesso, ritenendo
questi molto ricco per i doni che la chiesa riceveva, e che don Alessandro
custodiva in casa per timore dei ladri, nella notte tra l’8 e il 9 febbraio
1828, lo sopraffecero nel suo letto e lo strangolarono. La sera dell'8, Suor
Annunziata era con le sue educande alla ricreazione, e ad un certo momento,
sembrò assopirsi e, come se si trovasse in uno stato tra il sonno e la
veglia, prese ad esclamare: "Ahi
povero Curato! Guardate, figlie!
Ah! Quella miserabile serva che si rende complice di così orrendo delitto!
Povera la sua anima! … Lo uccidono…”
Insomma descrisse la tragica scena come se vi assistesse. Immagini il
lettore la reazione delle educande, che attribuirono il tutto a un brutto
sogno della loro Maestra. Ma immagini il lettore anche la meraviglia quando,
al mattino, il priore Lupacchini, venuto al monastero per celebrarvi
Per tutte le sue
virtù ed anche per questa singolare grazia, Suor Annunziata era salita in
altissima considerazione non solo tra le educande, ma anche presso tutte le
consorelle. Aggiungasi ora la guida di una attivissima e santa abbadessa,
perché tale era
Il card. Giovanni Maria Mastai Ferretti (il futuro Pio
IX)
fu arcivescovo di Spoleto dal 1827 al 1832 ed ebbe così modo di vedere in
Suor Maria Annunziata la monaca ideale per l’affidamento, anzi l'erezione di
un nuovo istituto, quello per Adoratrici Perpetue del S. Cuore di Gesù, che
il card. Mastai, divenuto arcivescovo di Imola, si era proposto di attuare
in Lugo. Mise in atto quindi tutte le cure per poter ottenere i vari con
sensi necessari per il trasferimento di Suor Annunziata. E la partenza di
Suor Annunziata da Trevi per Lugo avvenne il 29 marzo 1840, tra il pianto di
tutte le monache, lo sgomento delle educande e il rincrescimento di non
piccola parte dei Trevani. Maria Annunziata aveva trascorso in S. Chiara 14
anni della sua intensa vita.
In Lugo fondò,
auspice il card. Mastai Ferretti, il primo Istituto delle Adoratrici
Perpetue del S. Cuore. Conquistò il cuore di tutti, tutti infervorando, mai
dimenticando l'amato monastero S. Chiara, dal quale aveva portato il fuoco
del suo apostolato.
Morì il 13
gennaio
Ed entra nella storia del nostro monastero anche quanto segue: l'abbadessa
Ciccaglia piangeva la dolorosa morte di Suor Annunziata, quella "santa
sua figlia” come usava chiamarla. "Stavasene
sola nella sua camera, avvilita, prostrata di spirito, pensando appunto alla
sua Annunziata, ed ecco se la vede davanti in persona, tutta raggiante di
luce e di gioia”… “ Provai -
ella disse a mons. Cadolini - una
dolcissima incredibile consolazione". Voleva dirle tante cose, ma
comprendendo essere quella una apparizione fugace, raccomandò alla cara
figliuola se stessa, il suo monastero, altre persone; "e mentre voleva ancor
dire,
Il 13 gennaio
1832 un fortissimo terremoto coinvolse tutta la valle umbra ed anche Trevi
riportò molti danni. Le scosse replicarono più o meno fortemente sino al 15
marzo e furono ruinose. (Cadde anche parte della Basilica di S. Maria degli
Angeli). I danni subiti da Trevi ammontarono a scudi 52.000, somma, per i
tempi, veramente ingente. Non sappiamo se, in tanto sfacelo, anche il
monastero abbia riportato danni (alcuni speroni lo porterebbero a credere);
ma l'evento è di tale rilevanza che lo abbiamo voluto ricordare perché,
anche se fortunatamente non associato a qualche danno, sicuramente
memorabile deve essere stato, per lo spavento e l'ansia delle nostre
monache.
Il 4 settembre 1841, Papa Gregorio
XVI,
alle ore 10,30, giunse nel nostro territorio e fu ricevuto dai Trevani nel
punto in cui la strada per Bovara si congiunge alla Flaminia, dove venne
eretto un grande arco di trionfo. Certamente le nostre Sorelle non poterono
andare ad inginocchiarsi ai piedi dell’amato Vicario di Cristo, ma nulla ci
vieta di immaginarle incollate ai vetri delle finestre, anzi volate
sull'altana del bel torrione rotondo sotto il quale si stende, visibile, per
lungo tratto
Il 22 febbraio 1842, Gregorio
XVI
emanava l’enciclica con cui invitava tutta la cristianità a pregare per
Abbiamo più
sopra accennato alla concessione dell'acqua da parte del Comune; ma ci è
d'obbligo precisare che questa venne a mancare in frequenti periodi, e
specialmente nel 1842, allorché l'acquedotto si impoverì in maniera
impressionante. Per fortuna il monastero era, ed è fornito di due capaci
cisterne. Ma anche il Monastero S. Chiara poté ritenere risolto il problema
annoso e angoscioso dell’acqua potabile, con l'entrata in funzione, nel
1928, del nuovo acquedotto comunale che si alimenta da una delle
limpidissime sorgenti del fiume Clitunno.
Nel 1848, nel
parlatorio del Monastero, avvenne un fatto del quale riteniamo dover parlare
perché riguarda un santo e operoso sacerdote trevano, don Ludovico Pieri,
che fu sempre tanto vicino alla vita del Monastero S. Chiara. Figura
complessa che fece tanto parlare di sé, per la sua vita costellata di
visioni, ispirazioni e rivelazioni. Sta di fatto però che presso di lui
convergevano, per averne consiglio e guida, molti giovani sacerdoti di
particolari e meravigliose attività; due di loro sono ascesi agli onori
degli altari: Placido Riccardi e Pietro Bonilli.
Ludovico Pieri
frequentava sin da ragazzo, la chiesa del Monastero, prestando quei piccoli
servigi propri dell'età, ricevendone elemosina di pane, ben prezioso per
l'estrema povertà della famiglia. Nel 1848 lo troviamo, allora semplice
chierico, a coprire l'incarico di sacrestano della chiesa di S. Chiara.
Ludovico era in grande prostrazione perché il Vescovo gli aveva fatto sapere
che non l'avrebbe mai accettato in seminario, ritenendo (e così gli avevano
riferito) che aspirava al sacerdozio, non per vera vocazione, ma solo per
trovarvi rimedio alla sua povertà. Traggo il racconto da uno scritto del
Pieri medesimo (scritto che, con altre sue carte, trovasi nell'archivio
episcopale di Spoleto): "Mi portai
alla sera, per la solita funzione del Sacro Cuore di Gesù, in S. Chiara.
Terminata la sacra funzione, mi chiamarono secondo il solito, in parlatorio
per cenare. Posta la cena alla ruota, la portinaia si ritirò, giacché era
l'ora del coro. Chiuse le porte ed andiede. Era vicina l'ora dell'Ave Maria
della sera e mi metto al tavolino, per mangiarmi la solita carità. Nel
mentre mangiava, sento picchiare alla porta esterna del parlatorio. Mi alzo
e vado. Aperta che fu la porta, mi si fece avanti una donna forestiera, e mi
disse: "Quando il Signore chiude una porta, apre un portone. Dunque,
fatti animo, giacché il Signore non ti abbandonerà".
Io rimasi sbalordito ad un tal
parlare; gli offrii un pezzo di pane. "No -
mi disse ella -. sei povero anche
tu". Io, fortificato da un tal
parlare improvvisato, terminato di cenare, ritorno alla Collegiata per
governare la lampada dell'Addolorata, di cui ero custode". Per brevità
riassumiamo il resto del racconto. Avanti alla porta della Cattedrale
incontrò un sacerdote giunto proprio allora da Spoleto, che gli riferì che
il Vescovo lo voleva presto in seminario; e per di più il Vescovo aveva
detto che se non avesse potuto far fronte al pagamento della retta, perché
povero, avrebbe pensato a tutto lui stesso. Quanto gli aveva annunciato la
donna misteriosa (rimasta sempre tale) era dunque la consolante verità. Il
"portone" poi era veramente grande, perché superare la questione
dell'impossibilità del pagamento della retta doveva ritenersi all'epoca
quasi un miracolo. E Pieri divenne il don Ludovico dalla portentosa
attività, sempre tanto devoto e grato al Monastero S. Chiara.
1848: nubi tempestose, nuovi timori, tristi previsioni, particolarmente
tristi (la storia insegna) per i nostri perseguitati monasteri. Roma si leva
in tumulto contro Pio
IX.
Il 15 novembre viene assassinato il capo del governo pontificio. Si punta un
cannone contro il Quirinale (allora residenza del Pontefice). Colpi di
fucile vengono sparati contro le finestre e uno dei colpi ferisce mons.
Palma, segretario del Papa. Pio
IX
fugge a Gaeta per mettersi sotto la protezione del Re di Napoli. I rivoltosi
indicono le elezioni per il governo che dovrà sostituire quello pontificio.
Anche a Trevi giungono proclami ed incitamenti alla rivolta. Il 9 febbraio
1849 viene dichiarato decaduto il potere temporale del Papa, ed è proclamata
Il 7 maggio 1857 Pio
IX
è a Trevi, nel viaggio per il suo stato ed i sudditi trevani lo festeggiano
nel Borgo. Alle nostre monache è dato però solo di seguire il tutto dalle
finestre (o dalla altana del torrione) e cercare di scorgere, troneggiante
sopra tanta gente, l’amato Pontefice sostare e transitare a poche centinaia
di metri da loro. Immaginiamo poi l'agitazione e la gioia di quelle monache
che avevano conosciuto Pio
IX
quando era arcivescovo di Spoleto!
1860. Altra
rovinosa tempesta sta per abbattersi anche sul Monastero S. Chiara.
Le guerre che
mirano ad unire al Piemonte gli stati proliferati nella penisola italiana, e
tra questi lo Stato Pontificio con capitale Roma, mettono in agitazione i
fautori e i contrari. Profonda è la paura e l’ansia nel monastero, anche
perché già ben si immagina la fine decretata per le istituzioni religiose.
Il 13 settembre
le truppe piemontesi conquistano Perugia. Il 15 entrano nella vicinissima
Foligno. Il 16 passano per il territorio di Trevi, per portare l’attacco a
Spoleto, che alle ore 20 si arrende. Il giorno 18 passa lungo
A Perugia si insedia il Regio Commissario per le Provincie dell'Umbria,
Gioacchino Napoleone Pepoli, che l’11 dicembre emana il decreto n. 168 con
cui sopprime " tutte le Corporazioni, gli Stabilimenti di qualsiasi genere
degli Ordini Monastici e delle Corporazioni regolari e secolari; i Capitoli
delle Chiese Collegiate; i Benefizi semplici; le Cappellanie ecclesiastiche;
le Cappellanie laicali; le Istituzioni designate con il nome generico di
fondazioni o legati pii, patrimoni ecclesiastici e simili". Si danno 40
giorni ai frati e alle monache, per lasciare i loro conventi e i loro
monasteri. A tutti, secondo la entità della rendita degli enti soppressi e,
a seconda della condotta tenuta, verrà data una pensione. Si obbligarono i
parroci a consegnare i libri parrocchiali dei battesimi e delle morti. A
Trevi vennero soppressi il Monastero di S. Chiara e quello di S. Lucia; i
Conventi di S. Martino, dei Cappuccini e dei Liguorini (il convento di S.
Francesco si chiuse definitivamente con la soppressione napoleonica); i 16
canonicati, le 5 dignità, le 4 prebende e l’opera della Sacristia di S.
Emiliano. In forza del citato decreto gli oggetti d'arte degli enti
soppressi dovevano passare all'Accademia di Belle Arti del Circondario; ma
poi il Regio Decreto 21 aprile 1862 concesse la proprietà degli oggetti
d’arte ai singoli Comuni (Rif.
Dal verbale di valutazione delle opere d'arte incamerate dallo Stato,
risulta che nel Monastero S. Chiara non furono rinvenuti oggetti d'arte di
pregio. Dobbiamo ringraziare il perito governativo, perché così il Monastero
S. Chiara ha conservato, nella chiesa, i quadri di S. Chiara, di S.
Francesco e dell'Assunta e, nell'interno del monastero, una quindicina di
tele iconografiche di Santi da distribuirsi tra i sec. XVII e
XVIII,
senza dubbio di non grande qualità artistica, ma neppure disprezzabili e che
in ogni modo costituiscono un arredo sobriamente intonato all'ambiente
monastico.
Dal Venturini[26]
veniamo a sapere che al monastero vennero espropriati, oltre al fabbricato e
annessi, anche i terreni consistenti in sette poderi.
Non conosciamo il numero delle monache presenti al momento della chiusura
del monastero, né conosciamo dove le stesse andarono a rifugiarsi nel
tornare allo stato laicale. Ipotizziamo però che, come avvenne per il vicino
Monastero Benedettino di S. Lucia, esse siano riuscite a rimanere, almeno in
parte, nel monastero avuto a titolo di locazione dal nuovo proprietario, il
Comune di Trevi, sino a quando questo, nell'anno 1899, non mise all'asta il
fabbricato e annessi. Acquirente figurò Pietro Giusti di Trevi. Una epigrafe
marmorea (ora posta sul portoncino della Cappellina dell'Addolorata nel
giardino interno) così recita: " Pietro Giusti di Trevi, che nell'anno 1899
con pia munificenza redense questo Monastero, avrà da noi perenne tributo di
benedizioni e preghiere". Pietro Giusti morì nell'ottobre 1911 e la sua
tomba (Famiglia Giuliani) si trova vicina a quella del Monastero S. Chiara
nel cimitero urbano.
Le nostre
monache così, superata quella che deve essere stata una vera tragedia
collettiva e singola, poterono tornare a riprendere la vita di clausura, ma
in povertà estrema, vissuta piamente nelle mani della Provvidenza, sempre
nella stima e nell'affetto della popolazione. Le ricorrenti ondate di
anticlericalismo mai le sfiorarono. In una notte del 1874 alcuni ignoti
sacrileghi appiccarono il fuoco e quasi distrussero la porta principale
della Chiesa di S. Croce, contigua al monastero; ma le monache non patirono,
né allora, né mai, alcun affronto.
Nel 1935
Ma la protratta
estrema povertà aveva privato il Monastero anche di altre necessarie opere
di manutenzione. Infine, a più riprese dal 1946, anche dietro l'intervento
del sindaco apostolico
che provvide al finanziamento, vennero effettuati
lavori di riparazione e di ristrutturazione che riguardarono le celle, la
cucina, i bagni, il salone allora utilizzato per il lavoro, ed altri locali.
Le ristrettezze
economiche (che dal 1935 cominciarono ad attanagliare l'Italia) si fecero
sentire e, sempre più aspre, anche nel nostro monastero, e le monache furono
costrette ad inviare all’esterno, la classica coppia di religiose, per la
questua del vitto, che talvolta non raggiunse neppure la minima sufficienza;
e più di una volta, le Monache soffrirono la vera fame. Ascoltate il
racconto così come uscito dalla viva voce di una di esse: “In
quegli anni, c'era molta povertà dappertutto, anzi si direbbe miseria.
Questa faceva pesare i suoi momenti ‘di punta’
anche sul piccolo gruppo delle Sorelle Povere di S. Chiara, qui in Trevi.
Ricordo che, a quel tempo, qualche vetro delle finestre era sostituito con
un cartone o uno straccio, fermato da qualche puntina, sempre un riparo per
l'aria fredda specialmente nell'inverno! In molti vani il pavimento era
tutto sconquassato e i grandi lastroni alquanto sfessurati e traballanti,
non permettevano di eseguirne agevolmente la spazzatura. Spesso, alla sera,
per cena, c'erano pochi bocconi di pane, dei fichi secchi, un'acciuga, o un
mestolo di legumi. Eravamo però contente di quest'esperienza: sempre una
grande gioia, una forza d'animo e di volontà, indicibili, ci erano segreto
di slancio, per ricominciare ogni giorno a ripetere il nostro ‘sì’
al Signore Gesù, povero e crocifisso, che ci chiamava alla sua sequela. E le
parole della Madre Santa Chiara ci risuonavano in cuore:’Egli vi ha rese
eredi del regno dei cieli’. Mi
vengono in mente certi episodi simpatici, che si potrebbero chiamare i
‘nostri fioretti’. Ricordo quando, in
pieno inverno, non c'era il riscaldamento e, nel giro di poche ore, l'acqua
calda lasciata nella brocca, diventava un pezzo di ghiaccio! Ognuna si
portava dietro, dappertutto, il suo scaldino, che era un piccolo recipiente
di coccio o di ferro, con un manichetto da infilare nel braccio, ripieno di
carboncini e cenere calda! Né potevamo evitare l’inconveniente dell'odore di
bruciato, quando stando sedute, spesso il fiocchetto del cingolo si adagiava
su quel fuocherello e cominciava a fumare! Il tragico del momento era sempre
unito a qualche risata che non riuscivamo a trattenere! E pensare che questo
scaldino ce lo portavamo anche a letto, per poterci addormentare con un po’
di tepore, specialmente dopo l’alzata per l'Ufficio notturno.
Due nostre Sorelle, che avevano il permesso di uscire per la questua,
avevano di che raccontarci al ritorno, per le avventure del breve viaggio
affrontato su di un carretto tirato da un asinello! Non ci sembra vero aver
potuto superare tanti disagi! Certo, eravamo giovani. Il Signore ci ha
comunque veramente guidate, con la sua provvidenza, magnifica e
imprevedibile. Una cosa molto bella da ricordare e la fiducia e l'insistenza
dell'abbadessa e della comunità, in quel periodo, a voler rimanere qui in
località di Piaggia, senza volersi trasferire, come ci avevano consigliato,
nella Villa dei Moretti, in Trevi alta, dove lo stabile era in migliori
condizioni, ma meno soleggiato! Una grande riconoscenza dobbiamo a don Luigi
Sturzo, che si interessò per far iscrivere la chièsa del monastero all'Ente
dei Beni Culturali. E così, con piccoli e frequenti con tributi che man mano
ci arrivarono, fu possibile riparare i tetti e rimettere in sesto i
pavimenti, tra cui quello della chiesa. Contemporaneamente si moltiplicarono
gesti di bontà, di attenzione, di carità in ogni senso da parte di
benefattori, che permisero alla comunità di affrontare e sostenere le spese
necessarie per continuare i lavori necessari anche in altri ambienti del
monastero".
Dobbiamo riconoscere che è un racconto che non
stonerebbe affatto tra "I Fioretti".
Antonietta era nata a Milano l’11 ottobre 1897 da Enrico Lesino, artigiano
cesellatore e Zelmira Cerosa, stiratrice. Cresciuta in famiglia di notevole
religiosità, sin dalla adolescenza si mostrò entusiasta altruista. Compiuta
la scuola elementare ed appena in grado di essere accettata, entrò in
fabbrica in qualità di operaia, già rimasta orfana del padre e con la madre
di cagionevole salute. Nel 1926 si iscrisse al Terz’Ordine Francescano. Nel
1932 entrò a far parte della "Piccola Famiglia Francescana". Tale Istituto
secolare ebbe origine nel 1929 nella sede del Terzo Ordine di S. Gaetano in
Brescia, per opera di P. Ireneo Mazzotti ofm (futuro padre spirituale della
Serva di Dio) e venne eretto in Associazione di perfezione evangelica,
propria dei Frati Minori, con Decreto della Sacra Congregazione dei
Religiosi, in data 8 dicembre
1961. Antonietta, per poter più e meglio donare le sue cure, si iscrisse ad
un corso serale per infermiere, e ne conseguì il diploma.
Il suo ardente
desiderio di consacrarsi interamente al Signore in un monastero francescano
fu frenato dalla necessità di essere vicina alla mamma sempre più malata.
Perduta la stessa, Antonietta, allora all'età di 46 anni, volle recarsi a
Roma per avere la benedizione del Santo Padre, e poi al ritorno, il 5 maggio
1943 entrò gioiosamente nel Monastero S. Chiara in Trevi, così vicino ad
Assisi. Subito si immerse nell'atmosfera francescana come, da tanto tempo,
desiderato.
Divampava
tremenda la seconda guerra mondiale e il 14 luglio, a seguito delle
terrificanti notizie dei massicci bombardamenti sulla città natale,
Antonietta tornò a Milano per avere notizie dei suoi e prestare loro
eventuale aiuto.
L'assenza dal
monastero doveva essere di breve durata; ma, tagliata in due l'Italia dagli
eserciti belligeranti, non poté tornare prima del 28 ottobre 1945. Il 17
settembre 1946, festa della impressione delle Stimmate di S. Francesco,
vestì l'abito assumendo il nome di Suor Chiara Giuseppina del Bambino Gesù.
L'anno
successivo emise la professione dei voti semplici, nelle mani della Madre
Abbadessa Suor Celeste Magrini. Nel monastero esercitò l'ufficio di aiuto
segretaria e di aiuto infermiera. Correva ancora quel lungo periodo di
povertà estrema "e non ebbe paura di compiere l'atto di umiltà di uscire per
la questua, servendosi di tale occasione per illuminare, incoraggiare e
istruire i benefattori. L'esercizio della questua fu per lei atto di umiltà,
di obbedienza, atto di apostolato. Secondo la testimonianza unanime delle
consorelle che l'accompagnavano alla questua,
Riferirà
Un giorno Suor
Chiara Giuseppina fu comandata di recarsi ad Assisi per alcune commissioni.
Mentre scendeva a piedi verso San Damiano, un viandante si fermò avanti a
lei e le disse:"Tu cambierai divisa;
lascerai questo abito ed aprirai una nuova casa". Suor Chiara Giuseppina
si fermò stupita e quando rialzò lo sguardo verso il viandante, questi non
c'era più.
Episodio enigmatico, ma che si rivelerà profetico pochi anni dopo.
E venne la malattia: una malattia non saputa
diagnosticare dai medici, e che ridusse la nostra Antonietta "un
filino"; per di più si ritenne la malattia di pericolosa natura
infettiva, e si decise il severo isolamento dell'ammalata. È veramente
superfluo dire con quanta serenità ed edificazione Sr. Chiara Giuseppina
sopportava così crudele sventura.
Di fronte alla impossibilità di praticare una
oculata, efficace terapia, si decise per il ritorno della paziente a Milano
per il ricovero all'Ospedale Maggiore.
Il 20 luglio 1950, nella immensa tristezza di tutte
le consorelle ed accompagnata da una di esse, avvenne la partenza.
All'Ospedale Maggiore di Milano, la malattia, pur grave, non risultò
infettiva, e dopo poco più di due mesi di degenza, l'ammalata fu dichiarata
guarita.
Nel frattempo Antonietta aveva avuto la gioia di
ritrovare il suo direttore spirituale, il francescano padre Ireneo Mazzetti,
per obbedienza al quale, scaduto il tempo dei voti, ritornò definitivamente
tra le Sorelle della Piccola Famiglia Francescana.
La predizione del misterioso viandante incontrato nella strada per San
Damiano, sta ora per avverarsi. Infatti l'1l ottobre 1950, Antonietta
apriva, per obbedienza al Padre Fondatore dell'Istituto (suo direttore
spirituale), nei pressi di Brescia, nel
Trovò
benefattori e rese sempre più accogliente e funzionale
Il 24 febbraio
1962, accompagnata da una Sorella del Cenacolo, Antonietta corse a Brescia.
C'era da servire un’ammalata (… ne aveva tante!) in procinto di lasciare
l'ospedale. Occorreva riordinare il modesto appartamento e prepararvi quanto
necessario per la convalescente, priva di ogni altro aiuto. Compiuto il
lavoro, le due Sorelle tornano all'ospedale, per rassicurare e incoraggiare
la convalescente; e poi, via di corsa, per prendere la corriera per Ome.
Nell'attraversare un passaggio pedonale, furono investite da un'auto
sopraggiunta in velocità, dopo il sorpasso di altre due macchine. Erano le
ore 18,40, ora crepuscolare, asfalto umido, bagliore di luci e di riflessi:
il conducente non notò la striscia pedonale, scaraventò da una parte la
compagna, gravemente ferendola, ed investì in pieno Antonietta, uccidendola
sul colpo.
La fama di
santità che accompagnò
Le molte grazie
operate per sua intercessione, sollecitarono l'avvio del processo di
beatificazione e canonizzazione di questa singolare clarissa del Monastero
S. Chiara in Trevi.
Nell'anno 1965
fu inaugurato il bel Coro contiguo alla Chiesa e con questa comunicante
attraverso due grate e una porta. Nello stesso anno fu ristrutturata la
foresteria: 9 camere (17 letti) e saloncino-refettorio, ove trovano decorosa
ospitalità i parenti delle monache, in visita.
Dobbiamo tornare
a parlare della travagliata intestazione catastale del Monastero, che,
acquistato da Pietro Giusti nel 1899, fu posto a nome di alcune monache in
proprio.
Il 18 aprile
1910, per atto del notaio Misici di Trevi: Lupi Barbara, Bianconi Maria,
Satrini Lucia, Pergolari Sperandia, Lollini Epifania e Cancellotti Veridiana
- tutte religiose in S. Chiara - vendono a Giuseppe Benedetti Valentini, i
fabbricati e annessi del monastero. Tale finta vendita fu effettuata per
evitare che il fabbricato e terreni annessi passassero, per successione e
per quote, agli eredi delle singole religiose, frazionando così all'infinito
la proprietà e senza possibilità di alcuna valida garanzia per la gratuita
retrocessione e godimento futuro dei beni. Era il Benedetti Valentini
Giuseppe uomo onestissimo e pio, sempre benefico nei confronti del
monastero. Nel 1926 il Beinedetti Valentini ammalò di grave malattia e nella
infausta prognosi, il 25 giugno 1926, per atto dello stesso notaio Misici,
trasferiva a Bianconi Maria, Fratini Assunta, Di Pellegrino Cecilia, Satrini
Lucia, Mantucci Marta, Lollini Stella, Brizi Maria e Baliani Maria - tutte
religiose in S. Chiara - che figurarono acquirenti in proprio, i beni che
gli erano pervenuti con l'atto di cui sopra. Per evitare il trasferimento
dei beni per singole successioni pro quota, si precisava nell’atto che
l'acquisto della proprietà doveva ritenersi fatto esclusivamente a favore di
quella, fra le acquirenti che sarebbe sopravissuta alle altre sette.
Nel frattempo,
dopo laboriose trattative, tra
Delle otto monache che avevano acquistato i beni del Monastero, con il patto
di accrescimento tra loro, era rimasta in vita solo Suor Margherita, al
secolo Brizi Maria, la quale, con. atto del notaio Clorindo Vitti di Trevi,
25 novembre 1950, rimasta unica intestataria dei beni, riconosceva essere
questi di esclusiva proprietà del Monastero S. Chiara, riconoscendo di non
avere essa in realtà alcun diritto da far valere in merito ai medesimi.
Aveva così fine l’annosa, paurosa tempesta dei residui beni del Monastero S.
Chiara. Ma quante angustie, quante spese, quante apprensioni e quanti
tormenti erano costati alle povere monache!
Fino
all'apertura dei cimiteri pubblici, la sepoltura dei defunti avveniva
normalmente nelle chiese. E così, fino al 1908, quando il Monastero S.
Chiara ebbe assegnata una tomba nel cimitero di Trevi, le monache trovarono
sepoltura nella Cappella della Madonna delle Grazie. Nella chiesa, costruita
dalle fondamenta nel 1666, non furono ricavate le consuete tombe perché il
pavimento della stessa chiesa poggia sulla volta di copertura del
sottostante locale, nel quale si apre il passaggio per le "Fonti", un loca,
le abbastanza grande, dove un tempo, vi erano delle vasche ed ivi le monache
usavano lavare a mano i panni. Oggi, queste vasche non ci sono più e questo
locale, essendo al coperto, viene usato come stenditoio, specialmente
durante l'inverno. Queste "Fonti" permettono poi di passare all'orto del
monastero.
Quando nel 1970
fu ristrutturato il parlatorio e con esso
Nel febbraio del
1991 ebbero inizio gli ultimi lavori di riparazione della chiesa:
riguardarono il tetto, l’intonaco, il pavimento e parti varie, ed ebbero il
contributo della Soprintendenza ai Monumenti. Spostato l'altare maggiore,
nel presbiterio venne installato un piccolo Coro per le monache, delimitando
la clausura con una cancellata in ferro, dando così possibilità alle
religiose di poter partecipare alle liturgie insieme ai fedeli. I lavori
furono compiuti nel luglio 1992 e nel giorno 11 dello stesso mese, dopo
lungo intervallo, nella chiesa tornò ad essere celebrata
Nel successivo
11 agosto dello stesso anno 1992, solennità di S. Chiara di Assisi, il nuovo
altare fu consacrato, con solenne cerimonia, da S. E. Mons. Antonio
Ambrosanio, Arcivescovo di Spoleto-Norcia, il quale, alle reliquie di S.
Francesco di Assisi, di S. Ponziano e S. Severo martiri, rinvenute nel
sepolcrino del precedente altare, aggiunse quella di S. Chiara di Assisi.
I nuovi banchi della chiesa, l'organo elettronico e una prima nuova tovaglia
per l'altare furono donati da parenti delle monache e da amici del
Monastero. Il
nuovo confessionale fu acquistato con la somma legata dal compianto don
Giovanni Rossi, parroco di S. Croce e dal settembre 1954 cappellano
Nell’occasione della riapertura della chiesa, furono restaurate, a totale
spesa del monastero, le tele degli altari di S. Chiara, delle Stimmate di S.
Francesco e dell'Assunzione di Maria Vergine.
Attualmente nel
Monastero S. Chiara - nei secoli vivo in santità, povertà e sacrificio, due
volte aggredito e disperso da vorace persecuzione, ma sempre risorto in
alacrità di vita e fede adamantina, orgoglio della Città di Trevi - vivono
trenta religiose tra professe, novizie e postulanti (non esiste più la
distinzione tra corali e converse). Oggi vi pullula vita novella: molte
giovani infatti (alcune con laurea, altre con diploma) tutte di bella
intelligenza e attivissime, attratte dalla inestinguibile luce di Francesco
e di Chiara di Assisi e dal loro universale amore, sono entrate gioiosamente
nel monastero per offrirsi a Dio integre ostie in umiltà e volontaria
povertà; e, nel canto incessante dell'inno di grazie, invocano clemenza,
PACE e BENE per il mondo così tristemente malato e profondamente inquieto.
Seguiamole in una loro giornata qualunque: la campana suona la sveglia alle
5,40 - ore 6 Lodi e meditazione - ore 7,30 S. Messa e Terza - 11,40 S.
Rosario e Sesta - Ore 15 Nona - Ore 18 Vespri - meditazione - Ufficio di
Lettura - Ore 21 Compieta. Intermezzi: dopo la colazione hanno inizio le
diverse attività. C'è un capitolo della loro Regola che dice: “Le
Sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, si dedichino al
lavoro dopo l'ora di Terza, con fedeltà e devozione, applicandosi a lavori
decorosi e di comune utilità, in modo tale che bandito l'ozio, nemico
dell'anima, non estinguano lo spirito della santa orazione e devozione, al
quale tutte le cose temporali devono servire".
C'è quindi chi
si occupa della cucina, chi delle pulizie, chi dell'orto e chi del giardino,
chi del cucito e del ricamo, della corrispondenza epistolare, chi di piccole
"recenti produzioni in gesso e legno" (che vi assicuriamo sempre tanto ben
riuscite);ci so no poi le prove del canto per l'animazione della liturgia,
c'é un tempo per lo studio (con ritmo più intenso per probande e novizie), o
lezioni per tutta la comunità.
Dopo cena c'è
anche un tempo per la ricreazione, durante il quale le Sorelle si ritrovano
tutte insieme, come in una famiglia,per raccontarsi un po’ come vanno le
cose, per fare qualche lavoretto libero, ed anche, perché no?, per cantare e
giocare.
In alcune
occasioni di solennità e festività, le Sorelle comunicano ai fedeli
intervenuti il loro particolare programma, permettendo loro di partecipare
così a suggestivi momenti di preghiera.
È insomma un
alveare in cui nulla indulge all'ozio ed è soprattutto una preziosa catena
rotante che unisce
Care e venerate
Sorelle, quanti nutrono nel cuore speranze di immortalità vi ammirano, vi
amano, e vi ringraziano.
Carlo Zenobi
Trevi, agosto 1994