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La festa e la fiera di S. Giovanni a Pietrarossa
A Pietrarossa, una volta S. Maria di Piè di Trevi, dovremmo ricercare le radici della nostra civiltà. Sulla sponda dell’antico lago, nel punto in cui la lingua di terra più si spinge nello specchio d’acqua, appare evidente il connubio dei due elementi che generano e favoriscono la vita. È lecito pensare che qui si siano stabiliti i più antichi abitatori della valle.
In epoca storica la frequentazione di questo luogo è ampiamente testimoniata. Forse vi furono le terme e certamente un porto lacustre e poi fluviale, dove il fiume diventava lago e successivamente palude. Esistono testimonianze e rimangono tracce nel terreno degli edifici e dell’antica strada consolare Flaminia e di strade che da qui risalivano verso le località montane e i valichi verso le Marche. Questo crocevia, che potremmo chiamare multimodale, cioè tra vie di terra e via d’acqua, certamente favorì la nascita di un punto di scambio, “emporium” o centro commerciale, con conseguente sviluppo edilizio, che nel basso medioevo si chiamò "Trevi del Piano".
Qui, da tempo immemorabile, per la presenza delle sorgenti che affioravano e per le fresche e limpide acque del Clitunno prima che diventasse palude, furono particolarmente apprezzate le proprietà delle acque. La deificazione pagana del fiume e dell’acqua sorgiva nei pozzi è stata assimilata dalla religione cristiana e convertita a nuove forme di culto. L’antico tempio che secondo una tradizione fu dedicato a Giunone, risorse come chiesa dedicata alla Madonna e nasce spontaneo l’accostamento delle sorgenti di acque terapeutiche e miracolose alla figura di S. Giovanni Battista che per mezzo dell’acqua purificatrice dà una nuova vita. Certamente questa relazione fu colta da S. Francesco poiché è attestato che qui il santo venisse a lavare le piaghe del lebbroso ricoverato nel vicino ospedale di S. Tommaso, sull’altro lato della Flaminia.
Tale salvifica e terapeutica funzione dell’Acqua di S. Giovanni fu ulteriormente convalidata dall’osservazione che in un pozzo, proprio nel periodo della festa dedicata al santo, l’acqua aumentasse di livello, fenomeno che si manifestava con maggiore evidenza ogni trent’anni (Mugnoni, sub anno 1468 e 1496). Il fenomeno naturale suscitava certamente stupore, poiché era ritenuto in contro tendenza in quanto in questo periodo estivo generalmente si affievoliscono le numerose ma piccole sorgenti locali alimentate da “vene” superficiali e fu facile stabilire un collegamento miracoloso tra il ripetersi dell’evento e la festività della nascita di S. Giovanni Battista il giorno del solstizio d’estate. Questa congiuntura astronomica cade il 20, 21 o 22 giugno, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo o quarto giorno successivo, quindi fin da tempi remoti era fissata al 24 di giugno (analogamente al Natale, il 25 dicembre, solstizio d’inverno).
La coincidenza della notte di mezza estate con la festa di S. Giovanni ha caricato questa festa dei significati che le erano propri già dal mondo pagano, tanto che nella nostra era si sono affermate e tramandate altre tradizioni, come le abluzioni rituali. Ci si lavava con l'acqua in cui erano state messe per tutta la notte erbe aromatiche, foglie e petali di fiori. Un rito tutto particolare si compiva la notte di S. Giovanni quando le donne di Trevi si recavano a Pietrarossa in processione notturna per bere e lavarsi con l'acqua del pozzo di S. Giovanni, sperando che questo rito favorisse la salute e la loro maternità. Questa particolare devozione è daporre in realzione alla nascita miracolosa di san Giovanni da una donna in età avanzata. Verso il 1570 questa processione fu soppressa per motive che diremmo “di ordine pubblico”, poiché era invalsa l’usanza che le giovani approfittavano del devoto pellegrinaggio per farsi “rapire” dai temerari innamorati e così prendere per marito chi volevano loro e non colui che avevano loro destinato le famiglie. Cosa per quei tempi intollerabile! (Natalucci, c. 559)
Ma nel giorno della festa convenivano processioni da parrocchie vicine e lontane, analogamente a quanto avveniva per le feste dei santuari più noti quali la Madonna delle Lagrime, S. Arcangelo e S. Pietro e Paolo a Cancelli e la festa crebbe con la fama del santuario che, oltre a meta di pellegrinaggi sia singoli che collettivi, fu anche teatro di spettacolari episodi di riappacificazione di potenti contendenti. Tanto che, oltre ad un crocevia naturale come detto, questo santuario si può considerare un crocevia della storia.
Ogni festa importante era seguita nel medioevo da uno o
più giorni di fiera (il nome deriva dal latino
feria da cui ha origine anche la
parola festa) e l’evento, nato per
lo scambio di merci, era anche per molti l’unica occasione di incontro con
persone al di fuori della strettissima cerchia di conoscenze abituali. La
caratteristica principale di tali appuntamenti ricorrenti era l’esenzione
dei dazi e delle gabelle per le merci scambiate, salvo varie eccezioni e
addirittura l’immunità e la sospensione della pena per alcuni reati.
Una nota curiosa: sembra che i cittadini schernissero
gli ingenui villici con scherzi e lazzi, usanza questa praticata in Toscana,
ma anche dalle parti nostre tanto che, secondo lo storico locale, molti
avventori affluivano ben volentieri a Trevi perché qui “non ricevevano le
insolenze e villanie che li si fanno in certi luoghi” (Natalucci, c.830)
Le fiere e i mercati a Trevi assunsero un' importanza
determinante per l’economia locale, ma ne fecero anche un punto di
riferimento per gli scambi commerciali dei paesi vicini e non solo, poiché
vi convenivano anche molti operatori dalle Marche. La disponibilità di tante
merci paragonabili a quelle di un porto di mare, valse a Trevi l’appellativo
di ”porto secco” e tale vivacità
commerciale certamente ne ha influenzato anche la storia. Purtroppo di tali
importanti convegni ci sono giunte soltanto scarse notizie, la maggior parte
delle quali soltanto in modo indiretto.
Fino a alla fine dell’Ottocento c’era mercato a Trevi
tutti i giovedì, da ottobre al giovedì santo, “per consuetudine
immemorabile”, documentato fin dalla fine del Trecento. Il bestiame da
macello quivi acquistato veniva poi inviato al mercato di Roma che aveva
luogo il giovedì successivo. (Venturini, c.5v). Ma altrettanto importanti
erano le fiere della Madonna della Neve, il 5 agosto per dieci giorni, della
Madonna di Settembre, fin dal 1463, per sette giorni, di S. Emiliano, per
quindici giorni e dei santi Vincenzo e Benigno, per tre giorni. Duravano
invece soltanto un giorno le fiere di S. Lucia, di S. Bartolomeo e della
Madonna delle Lagrime che si effettuava la prima domenica di ogni mese, poi
estesa anche ai lunedì successivi.
Interessante è l’origine della fiera di marzo, che si
istituì nel 1484 quando i trevani non furono ammessi a frequentare la fiera
di Foligno per inimicizia tra i due comuni. Pertanto si istituì la fiera a
Trevi il 28 marzo, per dieci giorni, con efficace lancio pubblicitario
(lettere patenti a tutti i governi limitrofi) e con grande successo.
Purtroppo nel 1498 oltre che a Foligno fu fatta la fiera a Spoleto nello
stesso periodo “et per questa fo lassata quella de Trevj” (Mugnoni, sub
anno). Così va il mondo! Ora la fiera è rimasta per il primo lunedì di
marzo.
In questo contesto una rilevanza particolare ebbe la
fiera di Pietrarossa che per la natura del luogo, centrale per tutta la
vallata, ebbe un notevole sviluppo e nel tempo assunse caratteristiche
particolari. Il più antico riferimento alla fiera si trova in un documento
del 1429 e riguarda la nomina e le incombenze di sei soprastanti o maestri
della fiera, i quali dovevano vigilare su eventuali danni e amministravano
la giustizia. Tali funzionari, che negli anni variarono di numero, erano
coadiuvati da un capo dei soldati o connestabile che disponeva di varie
decine di uomini per mantenere l’ordine. (Natalucci, c.828) Forse tanto
personale si rese necessario per prevenire illeciti che avrebbero potuto
verificarsi per la particolare ubicazione della località, distante dal corpo
di guardia comunale, vicina alla strada e ai confini con Foligno. Della
fiera si trovano notizie anche nello Statuto più antico (Rubrica 220),
quando si vieta espressamente di vendere vino nei venerdì di marzo, cioè in
tempo di quaresima e in una “riformanza” del 1477 in cui si stabilisce che
le merci in vendita sotto il portico stiano alla distanza di quattro piedi
dalle pitture. (Natalucci, c. 557)
Purtroppo tanti sorveglianti e armati non sempre
riuscirono a mantenere l’ordine e la fiera venne soppressa nel 1597 a causa
di “alcuni omicidij” che vi si commisero e venne istituita la fiera della
Madonna della Neve, sopra ricordata, che ne conservò tutti i privilegi. Da
allora rimase la fiera solo per il giorno della festa di S. Giovanni e dal
1730 venne istituita la fiera anche nel giorno della festa di S. Isidoro,
patrono degli agricoltori e dei bifolchi, con la cerimonia della benedizione
dei buoi. (Natalucci cc. 831, 832)
La fiera di S. Giovanni, ristretta al commercio di
merci e commestibili (Bonaca, p.26), poi di attrezzi e prodotti agricoli, in
particolare di attrezzi per la imminente mietitura, cannelli per salvare le
dita, falci e battifalci, cesti e canestri, si protrasse fino agli anni ’50
del Novecento, quando la sua funzione fu rapidamente rilevata da negozi
specializzati in prodotti agricoli. Parimenti decadde la festa, poiché non
vi giunsero più processioni dai paesi vicini e ultimamente il giorno di S.
Giovanni si effettuava una processione dalla chiesa alla croce verso la
Flaminia, poi dalla parte opposta fino al Clitunno e ritorno in chiesa. Il
terremoto e la conseguente chiusura della chiesa hanno fatto il resto!
Attualmente(2014), si vuole cogliere l’occasione della
riapertura al pubblico di questo magnifico monumento, per istituire un nuovo
mercato dei prodotti agricoli: gli ortaggi, assolutamente speciali prodotti
nei rinomati orti delle “canapine". A chilometri zero!
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