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Trevi - Chiesa di S. Emiliano - Altare del Sacramento
Relazione del Canonico Francesco Mariani, Priore. ms, 20/11/1869 - Copia in archivio privato
Memoria sulla Costruzione del grandioso Tabernacolo
ossia Cappella del Sacramento nella Chiesa Collegiata di S. Emiliano di
Trevi,
e delle vicende, che si verificarono in processo di tempo.
La venerabile Compagnia del SS.mo Sacramento eretta nel 1503 nella Chiesa
Collegiata di Trevi per opera del Padre Ambrogio da Mortara Canonico
Lateranense preposto nel Convento della Madonna delle Lacrime sino dai suoi
primordii rivolse le più calde premure a procurarsi in detta Chiesa un altare
ove celebrare le Funzioni di proprio Istituto. Infatti con Rogito del Notaro
Trevano Ser Andreangelo di Piermarino del 19. Agosto 1521 il Priore della
Confraternita ed altri Deputati contrattarono con maero Rocco di
Tommaso da Vicenza il Magnifico Tabernacolo che tuttora si ammira nella Chiesa
predetta. Questo stupendo lavoro di pietra tenera denominata Caciolfa è
ricchissimo di ornati di ottimo Stile. Lo intero monumento comprende tre
Altari[1],
cioè due laterali dedicati il destro alla Madonna, ed il sinistro a S.
Giuseppe. Lo Altare di mezzo elevato
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per tre scalini dalli due laterali e dedicato
propriamente al SS.mo Sacramento aveva sopra la Mensa un Ciborio di pietra di
elegante forma, come oggi si vede ripristinato.
Fu nello anno 1610, che Sua Eminenza R.ma Mons.r Maffeo Barberini
vescovo di Spoleto, innalzato successivamente alla Dignità di Sommo Pontefice
sotto il nome di Urbano Ottavo, avendo forse verificato a danno della Ostia
Eucaristica qualche inconveniente, che poteva derivare probabilmente dalla
umidità della massa del muro, sul quale il vano del Ciborio era scavato,
decretò nel giorno 27. Settembre sudo anno fosse sostituito altro
Ciborio di legno[2]
per custodire il SS.mo Sacramento, come venne esattamente eseguito, con
apporre un Ciborio.
Dopo il lasso di centoventitre anni, e segnatamente il
1733. Il prospetto del Ciborio stesso fu rimosso, avendo la Compagnia fatto
una nicchia per collocarvi altro Ciborio con repositorio di legno intagliato,
e dorato, quale nell’anno 1851. Fu venduto per S[cudi] 14.75. agli
Amministratori dell’Ospedale di questa città, e collocato nella Chiesa di S.
Domenico.
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Per il corso di 104. Anni le pietre, che costituirono
il prospetto dello antico Ciborio e delle parti ad esso sovrastanti sino alla
trabeazione principale erano rimaste totalmente dimenticate, e fu solo
nell’Anno 1837. che l’Ingegnere Sige Sabbatino Stocchi
chiamato dallo ora defunto Gaspare Cruciani di Trevi a visitare alcune pietre
lavorate, che diceva di sua spettanza, accedette in un fondo a pianterreno ad
uso di legnara, ove, comprese con molti sassi informi, trovò una quantità di
pezzi di Caciolfa benissimo lavorati, ed intagliati, e ad esso Sige
Stocchi, che vivamente e sino ad allora inutilmente aveva bramato contezza
dello antico Ciborio rimosso, non fu difficile di riconoscerlo nei pezzi
suddetti casualmente rinvenuti. Lo stesso Sige Ingegnere corse
allora a denunciare il felice ritrovamento al Priore della Compagnia di quel
tempo cioè allo scrivente Canonico D. Francesco Mariani. Il quale si dette
subito premura di ricuperare le pietre anzidette mediante tenue regalia al
Cruciani, e custodirle in luogo più conveniente.
Il Prenominato Sige Ingegnere dopo quella
epoca non cessò dallo insistere, che il
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rinvenuto Ciborio si riponesse al suo luogo, e
ricompletare così la magnifica opera dello esimio artista Rocco da Vicenza,
addimostrando che ciò mediante un Tempietto di legno da esso ideato si sarebbe
ottenuto il Ciborio scevro da quegl’inconvenienti, cha avevano dato causa alla
sua rimozione. Siccome lo intero prospetto del Ciborio dopo ricollocato al suo
posto non avrebbe potuto in alcun modo rimuoversi per applicarvi
posteriormente un credenzino di legno, così lo Ingegnere Sige
Stocchi ideò il modo di comporre nel vano del muro posteriormente
conformato una Casetta di legname di pianta ottagona con tanti pezzi da
introdursi dal vano della porticina, che trovasi aperto nel pezzo principale
del prospetto di pietra. Laonde premessa la risoluzione della Compagnia nella
Congragazione delli8 Novembre 1850., e la debita approvaziione di Sua
Eccellenza R.ma Mons.r Sabbioni Arcivescovo di Spoleto del 27.
Dicembre di detto anno colla opera del Marmista Francesco Madami di Assisi fu
ricollocato al suo posto il famigerato Ciborio, il quale consiste in un
prospetto di Tempietto ornato di due
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colonne di ordine Composito, che [inclu]dono (?) tra
loro num.o otto graziosi Serafini disposti in giro intorno alla
porta. Il prospetto è coronato da un Frontespizio, sul Culmine del quale
torreggia un grande Calice parimente di Pietra abbellito da ornati finamente
intagliati, e sortmontato dalla figura di una grande Ostia operata anche
questa in pietra.
Dopo ciò si dette mano ad introdurre per il vano della
porta li pezzi del credenzino tutti in tavola di noce in forma di Tempietto, o
Tabernacolo di pianta ottagona coperto da una cupola parimenti ottagona, e
tapezzato nello interno con drappo di seta bianco.
Affinché possa aversi una guida a scomporre lo
indicato tempietto in circostanza, che potesse occorrere nel tempo avvenire,
non sarà inutile di accennarvi, che il pezzo prima di ogni altro introdotto è
stato quello, che forma il basamento. Ossia la platea del tempietto e quindi
la Cupola già Platea e alla Cupola tutti li pezzi verticali. È da notarsi, che
preventivamente il Tempietto era stato composto con tutto comodo fuori dal suo
posto,
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e
vi era stata applicata la necessaria ferratura con viti ec(cetera), e perciò
dopo presentati tutti i pezzi dentro al vano del muro, come sopra si è
accennato, non altro è occorso di fare, che applicare le viti al posto
preparatogli, e ciò manovrando sempre con una sola mano nella parte anteriore
del tempietto: si ottiene così, che tutti i pezzi connessi, ed uniti tra loro
costituissero un solo oggetto, cioè il prefisso Tempietto.
La chiudenda antica del Ciborio era di ottone dorato,
e dalle memorie scritte della Confraternita si ha, che nello anno 1761. fu
venduta come bronzo al fonditore Carlo-Antonio Petrolini di Trevi per la somma
di scudo uno, baj. trentotto. Chi potrebbe immaginare, qual basso
rilievo pregevole ornava quella chiudenda, e si è perduto? A Tale difetto si è
supplito con una chiudenda di legno, la quale agisce su di un telaro parimenti
di legno, che internandosi a foderare l’apertura fatta nella spessezza della
pietra giunge ad unirsi, e fermarsi con il descritto Tempietto, e questa è la
ultima parte opposta di legname. La quale dovrebbe essere in conseguenza la
prima a togliersi nel caso, che occorresse di scomporre il descritto
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Tempietto. Deve ancora avvertirsi, che le rosette di
ottone dorate, le quali appariscono ad ornare lo interno del Ciborio
costituiscono la testa di altrettante viti, che stringono, ed uniscono fra
loro li pezzi componenti il tempietto, e che girando le rosette medesime, ed
estraendosi le viti vengono disciolti li pezzi, ed il tutto scomposto può
estrarsi dalla porticella, così come vi fu introdotto.
Esaminata con la maggiore diligenza la massa del muro
aderente al Ciborio non vi si è riconosciuto il minimo indizio di umidità.
Tuttavia l’ampiezza del vano per il Ciborio vi si è operata in modo, che oltre
il tempietto di legno, rimanga una intercapedine, affine di ottenere, che il
legname del medesimo tempietto non venga investito dalla umidità, che potesse
aver luogo, quantinque improbabile, nella massa del muro. A maggiore cautela
poi sono stati pratticati attorno al prospetto di pietra quattro fori
comunicanti colla ripetuta intercapedine, onde, mediante essi fori venga
continuamente attivata una corrente, la quale rinnovando continuamente l’aria
dell’intercapedine ne asporterà qualunque ombra di umidità potesse emanare dla
muro, e li fori medesimi furono garantiti con una minuta Crata di fili di
ferro.
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Siccome le ripetute pietre del Ciborio per il lungo
abbandono fra le pietre informi fra il terriccio e fra le immondezze della
legnaia Cruciani avevano perduto quella patina, che la Caciolfa esposta
all’aria acquista con lo invecchiare, così divenuta chiara la tinta del
Ciborio, e di altri pezzi sovrapposti fino alla trabeazione principale, che
con esso erano stati rimossi, troppo dissonava dalla bruna patina del
rimanente, resa anche più bruna dall’affumicazione prodotta dalle faci, che in
molta quantità sogliono accendervisi, nacque discussione col Priore, ed
officiali della Compagnia, se, per eliminare la dissonanza predetta fosse più
conveniente ridonare la patina bruna al Ciborio, ed altre parti impallidite
spalmandole con un bagno di color bruno, ovvero fare a tutto il resto una
lavanda generale, e riportare il tutto al colore bianco-giallo naturale della
pietra, e considerando essere cosa disconveniente di porre il pennello sulla
pietra, come chi la volesse tinteggiare, considerando, che molte parti
dell’opera annerite reclamavano di essere ripolite, considerando, che qualche
parte dello altare della Madonna, della Cappella principale essendo
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stata in tempo antico colorata di rosso, e quà e là
irregolarmente dorata produceva nello assieme un disaccordo, si stimò più
conveniente la ripolitura generale.
Da tale ripolitura però si eccettuarono le Statue
della Madonna e di S. Giuseppe per la ragione, che la patina naturale della
pietra su di esse non era stata alterata dal fumo, né da altro, e che le
dorature delle parti dei loro panneggiamenti trovavansi in plausibile stato.
D’appresso adunque a varii consulti, cui intervenne
pure lo Ingegnere Sig.e Sabbatino Stocchi, ed il Marmista Madami, e
premesse ancora varie prove di sostanze liquide da scegliersi per la lavanda,
venne adottato il bagno di Acido Nitrico molto allungato con acqua di pozzo,
in modo che ne era resa insensibile la effervescenza, e ciò anche, perché la
lavanda medesima doveva agire sul color rosso, e sulle frazioni dorate, il
tutto operato con preparazione a mordente. Con l’accennata lavanda si scoprì
in ogni parte il colore naturale della pietra, e si ridonò
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lo accordo a tutta l’opera senza perdere veruno delli
più delicati tratti, e nervature dei finissimi ornati.
Mentre tale operazione si eseguiva, non mancò qualche
ansioso di biasimare, senza cognizione di causa, piuttosto che informarsi
delle ragioni che dettavano la necessità della lavanda, e delle sostanze
innocue, che in essa si adoperavano, si diede a strombazzare contro la lavanda
medesima esagerando li pregi della patina antica, che si perdeva, e prevedendo
una corrosione, e sgretolamento della pietra, e dei pregevolissimi ornati di
questo monumento, e di ciò incolpava l’adottata lavanda per causa dell’acido
adoperatovi, diceva, confondendo lo effetto corrosivo permanente
dello Acido Nitrico reso innocuo dalla
miscela di abbondante dose di acqua. Né tali clamori rimasero senza effetto,
poiché mossi da questi li Signori Priore, ed Officiali della Congregazione del
Suffragio, li quali, senza verun titolo di proprietà, ma soltanto perché nello
altare della Madonna trovasi eretta la loro Congregazione, con lettera del
giorno 5. Marzo 1851. mossero lagnanze al
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al Priore, ed Officiali della Congregazione del
Sacramento proprietaria del monumento contro la operazione, che si effettuava
chiedendo che si volesse «far lasciare
intatta almeno la Statua di Maria Vergine ivi esistente non avendo potuto
ottenere, che si conservasse il
resto». Tale domanda rimase senza discussione adempita, perché il Priore
ed Officiali della Compagnia del Sacramento avevano sino da principio
stabilito che della lavanda in proposito fossero esentate le due Statue per le
ragioni di sopra riferite. Le animose censure poi non si limitarono alla
cerchia del solo Trevi, ma si ebbe premura di divulgarle per le convicine
Città, ed in Perugia si compiangeva la rovina procacciata di un classico
monumento in Trevi: si procurò inoltre, che della medesima rovina venissero
informati i visitatori del monumento medesimo.
Il fatto ha però contradetto, e confutato
trionfantemente le chimeriche, e poco benigne censure, giacché per lo spazio
di anni 18. quanti ne trascorsero dalla epoca della famigerata lavanda sino ad
oggi 1869. quantunque sia cresciuta ogni
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giorno più la frequenza dei visitatori del monumento,
quantunque di molte sue parti siano stati ricavati esemplari in gesso, ed in
legno, quantunque ogni sua parte sia stata ispezionata per rilevarne
minutamente le misure, onde averne un disegno dello assieme, nessuno vi ha mai
avvertito una scheggia, uno sgretolo, od altro indizio di minimo deperimento.
A completare in fine la operazione si fece eseguire in
legno dorato uno Espositorio combinato in modo, che li ristretti ornati di
legno coprissero il meno possibile quelli di pietra, e fra questi si ebbe
cura, che comparisse il grande Calice, che si accennò di sopra, il quale
durante la Esposizione viene coperto dall’Ostensorio. Non potrebbe negarsi che
lo Espositorio medesimo faccia quivi figura alquanto meschina, ma a tale
difetto dovette darsi passato, per la ragione d’ingombrare il meno possibile
li classici lavori di pietra.
Trevi 20. Novembre 1869
Francesco Can.co Mariani Priore.
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