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La Chiesa di San Francesco a Trevi 
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[Note: Nella trascrizione è stata cambiata 
	  la è grave in é acuta (perché. 
	  poiché, invece di
	  perchè, 
	  poichè come figurano 
	  nel testo originale) 
 L'articolo è stato pubblicato a pag. 55 di "Studi Francescani" (Già "La Verna") Gennaio-Marzo 1924, n°1_____________________________________________________ 
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| <3> La Chiesa di San Francesco a Trevi  Memorie Storiche Francescane 
	   Quando si sale su per lo stradone che dalla pianura 
	  conduce a Trevi, la città grigia e rosea, circondata dal ricamo argenteo 
	  degli ulivi, e tutta protesa e rampante sul declivio della dolce collina, 
	  si ha come il presagio di una beatitudine imminente, poiché si sa di 
	  andare in silenzio verso la musica e la luce: la musica della bellezza e 
	  la luce dello spirito. Si vedono loggie fiorite, dal ballatoio medievale con 
	  mensole di pietra, finestre di mattoni ad arco tondo, inghirlandate di 
	  verde, vecchi muri di cinta, fortificati da torrioni angolari, viuzze 
	  ripide, piene di penombra e di mistero. Verso la piaggia di S. Francesco 
	  .un'edicola civitale s'eleva sopra il muraglione di cinta, lungo il 
	  margine della strada bianca: è tutto quel che resta d'una chiesuola della 
	  santa vergine Reparata, che venne distrutta per costruire la via nuova che 
	  scende fino alla Stazione. Lì dentro c'è un affresco lavorato di buona 
	  mano da qualche imitatore di Giovanni Spagna: raffigura una Madonna in 
	  trono, che reclinando la testina bionda, come un fiore illanguidito sullo 
	  stelo, sorride e prega tra due angioli gentili, che stanno assorti in 
	  adorazione estatica, con le braccia serrate in croce e il cuore vicino a 
	  perdersi nel canto. E quando 
	  ci si ferma un poco sul Belvedere, posto presso quel torrione triangolare, 
	  che fu edificato nel 1477 da Francesco Maria vescovo di Spoleto e 
	  governatore papale, ci sembra di trovarci. ad un tratto in una specie di 
	  zona incantata, ricca di misteriosi influssi e di sottili incanti. Il 
	  paesaggio umbro, che si estende laggiù, è così vasto e arioso, che al 
	  primo respiro par ci si vuoti l'anima. La luminosità è così abbagliante e 
	  viva, che ci sembra di vivere e respirare entro 
	   una 
	  fresca nuvola di raggi. La città serafica è lì, sul contrafforte del 
	  Subasio, e più in basso s'intravede, in un vapore perlaceo, il profilo 
	  della santa Porziuncola, [si può identificare 
	  il profilo della basilica di S. Maria degli Angeli, che racchiude la 
	  Porziuncola] dove ancora aleggia la poesia umile e odorante 
	  dei 
	  Fioretti. Lassù Montefalco protende al cielo le sue chiese e 
	  torri medievali, quasi in un tacito rito d'offerta., misurato col gesto 
	  grave della liturgia. Il campanile quadrato del suo tempio di S. Francesco 
	  (1338) A pochi passi dal detto 
	  Belvedere sorge il tempio monumentale di S. Francesco. E alzando da lì lo 
	  sguardo voi scorgete subito una torre alta e snella, che si profila nella 
	  purità del cielo umbro; sopra di esso le rondini sfondano rapide, come 
	  freccie di antichi balestrieri. Quel campanile è assai vetusto: fu 
	  costruito con muro grezzo nel secolo XIV, venne rivestito di pietre 
	  d'intaglio nel 1640. Nel 1478 il Comune di Trevi erogò la somma di 25 
	  fiorini «pro amore Dei» onde si rifacesse una campana. Accanto a quella 
	  torre si prospetta l'abside trigona, di color grigio: nel lato mediano 
	  scintilla vagamente un finestrone biforo ad arco gotico, avente nel 
	  timpano un rosone polibale [= 
	  polilobato?]. 
	  Fino al 1910 alcune case stavano addossate all'abside e al campanile, 
	  deturpandone i lineamenti di pura bellezza(l). Sopra il tetto del Collegio 
	  Lucarini apparisce la vecchia facciata della chiesa. Vi campeggia una 
	  bella finestra a rosone geometrico, con colonnine radiali attorno al 
	  centro. Più in alto sporgono due strane teste di pietra, che sembrano 
	  maschere di bronzo; vi si vedono inoltre due palmizi stilizzati, due 
	  piccole colombe, una croce bizantina gemmata, e altri motivi di 
	  decorazione longobarda o romanica. Tale facciata non è anteriore alle 
	  altre parti dell’edifizio, e risale al Trecento; ma quella lapide 
	  figurativa in travertino, ____________________ (1) Conte 
	  Dott. ALESSANDRO 
	  [TOMMASO] 
	   VALENTI,
	  Curiosità storiche trevane, pag. 
	  126 Foligno, Campitelli, 1922). 
 L'ingresso principale s'apre 
	  sul fianco destro dell'unica navata: vi si scorge un magnifico portale ad 
	  archi acuti: le asce sono in pietra bianca del trevano colle Paterno, le 
	  colonnine in pietra rossa del Subasio. Due leoni guelfi, chiaroscurati 
	  dall'ombra dei secoli, fan da capitello d'arresto al primo arco (il 
	  superiore) formato d'un listello e d'una gola rovescia. I capitelli sono 
	  un viluppo di fogliame barbarico, stilizzato, con molta grazia. Questo 
	  portale è racchiuso in un solenne frontispizio di pietre intagliate, dal 
	  grande arcone gotico: giunge sino alla linea del tetto e sporge di mezzo 
	  metro dal muro della fiancata. Nel triangolo mistilineo, inscritto 
	  dall'ultimo arco e dall'architrave, una Madonna del trecento, di. maniera 
	  senese, vi guarda maternamente con due occhi placidi e puri di bambina 
	  ingenua, e accetta l'omaggio di Francesco e Chiara d'Assisi. Qual 
	  devozione profonda e tenera sentivano i trevani per questi due Santi! 
	  Ricordo l'umile e commovente dedica che qui, nel magnifico Santuario delle 
	  Lacrime, dove c’è un capolavoro firmata dal Perugino, si legge chiaramente 
	  in basso a uno splendido affresco dello Spagna di Spoleto, raffigurante « Fino al vertice del portale d'ingresso, e per tutta l'intera lunghezza dell'edifizio, non si osserva che una cortina di pietre grigie a filari isometrici; ma più in alto, il muro è invece costruito, fino al tetto con pietre rosse trevane. I quattro mezzi pilastri, o piattabande, che rafforzano tale fiancata laterale, segnano il punto estremo ove un tempo cominciava il tetto della chiesa. Infine si capisce subito, guardando attentamente, che il frontispizio alto e decorativo venne costruito sui due pilastri di rinforzo che fiancheggiavano il portale d'ingresso; infatti esso è di un materiale più rozzo e meno antico di quello che servì ad erigere, non solo tutti i mezzi pilastri, ma l'intera fabbrica del tempio. Queste osservazioni estetiche che nessuno ha fatto finora, mi confermano nella mia convinzione cioè che l'edifizio venne accresciuto di altezza in tempi posteriori alla fondazione, di S. Francesco, e forse nel 1569, quando il Comune trevano erogò 10 scudi per la facciata che minacciava di crollare. 
 
 Il 
	  Convento Nel 
	  1213, S. Francesco adunò il popolo di Trevi sulla piazza grande, per 
	  predicare l'ideale dell'evangelico amore. Un asino randagio cominciò a 
	  scorrazzare, disturbando l'uditorio con le sue scorribande gioiose. Il 
	  Santo gli comandò di star fermo e di non essere impertinente; e il 
	  somarello obbedì subito, e anzi si pose ad d ascoltar la predica 
	  santa. “Frate 
	  asine, sta in quiete et dimitte me praedicare
	  
	  populo – scrive il 
	  cronista Bartolomeo Pisano –
	  E  
	  
	  subito l'asino Questa 
	  deliziosa leggenda ci viene riferita da 
	  Bartolomeo Pisano, da Luca Wadding, dall'Iacobilli e da altri storici e 
	  agiografi: essa ha tramandato attraverso i secoli il suo profumo squisito, 
	  per alimentare la tenera pietà dei trevani. E perché dobbiamo sottoporla 
	  all'esame severo della critica? Le leggende sono il fiore miracolosi della 
	  storia, e con la loro potenza noi possiamo risalire alle rive più remote 
	  del gran fiume del tempo, approdare nelle isole armoniose del segno, 
	  conversare famigliarmente con gli eroi antichi e vivere per un’ora 
	  nell’atmosfera musicale del mito. Nel 1614 
	  il pittore Gagliardi da Città di Castello, chiamato a decorare il chiostro 
	  dei Conventuali di Trevi, dipinse l'episodio suddetto con ogni esattezza 
	  di particolari. Nello sfondo scenico di qaell’affresco si vede la torre 
	  del Comune col suo ballatoio pensile, o canestro,
	  eretto nel 1354 per sostegno della merlatura 
	  quadrifronte, (ormai sparita) e nel centro della piazza si vede la fontana 
	  poligona con la colonna di marmo, di cui ci parlano Durastante Natalucci e 
	  Alessandro 
	  [Tommaso] Valenti, egregi 
	  storici trevani (3) ________________________. (1) Bartolomeo 
	  Pisano Conformitates S. Francisci; Milano, 1510. (2)Wadding, 
	  Annales Minorum; t. I, a. 
	  1213, n. VI. - Iacobilli, 
	  Vita dei  santi e beati 
	  dell'Umbria; tomo I, pag. 87, torno II, pag. 104. 
	  P. Nicola Cavanna, 
	  L'Umbria francescana illustrata; pag. 343; Unione Tip. Cooperativa, 
	  Perugia 1910, (3) Essa aveva dieci lati (poligono regolare) e inoltre 
	  otto faccie o mascheroni: 
	  almeno così il Valenti la pensa. Quella fonte gaia è stata distrutta; ma 
	  qualche frammento e nella fontana di Piazza del Mercato (Valenti, lib. cit. p. 7). 
	   Il cenobio francescano nacque prima dell'attigua chiesa, e doveva essere di piccole proporzioni e di umile aspetto, conformemente allo spirito del beatissimo Padre. Nel 1258 già esisteva; infatti il Natalucci ci fa sapere che in quell’anno Alessandro IV inviò un breve papale ai religiosi di S. Francesco in Trevi. Questo prezioso documento era nell'archivio dei Conventuali, che è sventuratamente scomparso senza traccie. Del cenobio medievale non rimane più nulla; malgrado la sua nobile antichità e la sua gloriosa esistenza, fu demolito per intero quando i Frati i pensarono di farsi una più comoda abitazione, che fu condotta, a termine verso il 1630. I1 nuovo edifizio serviva per pochi sacerdoti e laici nonché come residenza del P. Ministro Provinciale, che doveva provvedere al proprio man tenimento e che adunava talvolta il Capitolo Provinciale. Doveva esservi un centro di cultura e di studi, giacché qualcuno Religiosi diveniva dottore o baccelliere («baccalareus »). Sotto gli affreschi sacri del chiostro, tra gli ornati e puttini in monocromo, leggiamo i nomi di alcuni Conventuali illustri: P. Felice Bandinelli e P. Giuseppe Cetronio, Guardiano del Convento trevano, P. Sante de Ruteis, Ministro Provinciale. Tutte le venti storie del Santo furono eseguite dal pittore Gagliardi, tranne una sola, su cui si legge questa iscrizione: Ant. Birremi [Birretta]de Trebio pingebat. A.D. 1715. Sotto il dipinto «Morte di S. Francesco» sì nota un'iscrizione leggibilissima: Gagliardus de Tifernio pingebat A D, 1614. Strano e bizzarro davvero questo cavaliere Gagliardi, maestro del colore e della spada! Dopo avere eseguito il soggetto «Morte di S. Francesco» in cui non manca madonna Jacopa dei Settesoli, egli si ritrasse in ginocchio innanzi al letto del beatissimo Padre, ma in un atteggiamento mondano ed elegante, con gli occhi rivolti fuori della patetica scena. Ha gambali di cuoio, dall'orlo riverso, giustacuore di velluto violaceo, colletto di trine bianche, chioma e pizzo alla D’Artagnan, spada signorile appesa alla cintura, e cappello di feltro rosso, con piume fiammanti, messo sotto il braccio. Egli doveva essere un artista geniale, avventuriero, bizzarro, come quel Bazzi detto il Sodoma, il quale dopo aver dipinto con molta devozione nella Badia di Monteoliveto presso Siena, ed essersi lasciato penetrare dal misticismo e dall’incanto di quella vita tranquilla, lontana dal tumulto della passione, si fece donare uno splendido abito dai monaci, poi fuggì via, e corse al pallio di Siena, per farsi riprendere dal mondo e da tutti i suoi piaceri. 
 
	  Il convento trevano non era 
	  molto ampio (vi dimoravano appena sei Religiosi!) e venne ingrandito di 
	  recente per adattarlo alle esigenze del Convitto, fondato dal benemerito 
	  Vergilio Lucarini, e era diretto dai figli del Ven. D. Bosco. Il chiostro 
	  quadrilatero, dalle colonne ottagone, è pressoché intatto nelle sue linee 
	  originarie, ma è stato chiuso il loggiato secentesco, dagli archi tondi e 
	  dai Pilastrini decorativi. Nell'unico corridoio (gli altri si sono 
	  trasformati in stanze e dormitori) si notano ornamenti policromi di stile 
	  rococò. Affacciandosi alle finestre del lato occidentale si gode un 
	  panorama sublime. Nelle giornate rigide e limpide, quando il cielo è terso 
	  come un diamante, appare in lontananza la cima del serafico monte della 
	  Verna, ove il Poverello ricevette sul corpo suggello fiammante delle
	  cinque piaghe. Tutta la 
	  vallata è azzurra e vasta esame un mare, ma nelle mattinate d'autunno è 
	  più completa la similitudine col maie e con le onde, giacché tutta 
	  l'immensa pianura è interamente 
	  coperta da uno strato di nebbia azzurro lattea, da cui Mentefalco 
	  emerge sorridente su una, specie di promontorio tranquillo, per ricever il 
	  respiro del paesaggio quieto e felice, e per rivelare la serenità dei suoi 
	  fortunati abitatori. Alcuni asseriscono, senza 
	  fondamento di notizie sicure, che la chiesa trevana di San Francesco 
	  d'Assisi venne cominciata verso l’anno 1250. I più antichi documenti, che 
	  ne fanno menzione, non. risalgono oltre il secolo XIV; da essi apprendiamo 
	  che fu dapprima dedicata a S. Maria, poi al B. Ventura. Una riformanza 
	  consiliare dal 1358 obbligava tutti gli abitanti di Matigge, borgata 
	  trevana, a portare ai Conventuali una soma di pietre per ciascuno, 
	  utilizzando tutte le bestie «actas ad salmam portandam»(1).
	  Fino al  
	  ___________________________ 
	  
	  Valenti, lib, c it., pag, 
	  128. «Il tempio fu cominciato a fabbricare nel 1354. Infatti il 28 agosto 
	  di quell'anno il Consiglio imponeva a tutti i popolani 
	  di Trevi di portare una soma di legna ai Conventuali per la fornace 
	  della calce da servire all'ampliamento della chiesa di S, Ventura». (Valenti, 
	  lib. Cit. pag. 128). 
 Il tempio insigne non fu, 
	  credo, iniziato prima del Trecento. Prescindendo dal fatto essenziale che 
	  tutti gli affreschi, che lì abbelliscono pareti e cappelle, rivelano 
	  concordemente l'influenza della scuola giottesca, e non mai la maniera 
	  bizantina del duecento, io ho constatato che la chiesa somiglia 
	  Moltissimo, nella struttura e nell'aspetto, (salvo qualche variante 
	  stilistica), a quella di S. Maria di Valdiponte o Montelabate (Perugia) e 
	  a quella di S. Francesco a Mentefalco, costruite entrambe nel sec. XIV ad 
	  imitazione della basilica assisana del Santo, la quale divenne archetipo e 
	  madre d'una filiazione di chiese francescane coeve, da S. Francesco di 
	  Gubbio a S. Francesco di Bologna. Il tempio leggiadro di Montefalco 
	  Possiede, come questo di Trevi un abside poligona con finestrone biforo al 
	  centro e due cappelle laterali all'abside, adorne con costoloni rampanti, 
	  che convergono verso la chiave della volta a crociere. Adesso entriamo devotamente 
	  nella navata spaziosa ed alta per contemplare con due puri occhi lo 
	  splendore della bellezza immortale. Appena, si entra Si scorge subito 
	  un'acquasantiera di pietra bianca, elle porta lo stemma ed il nome del 
	  donatore: Aquilantes Guafferrus.[più 
	  precisamente: Giraferrus] In alto, sulla 
	  parete, una dolcissima Madonna vi guarda con due occhioni di bambina 
	  innocente, mentre il Bambino si trastulla con un'arancia rosea. All’altro 
	  lato della porta, sul muro, sta una Madonna di scuola eugubina (sembra 
	  lavoro del Palmerucci) ed in basso una seconda acquasantiera di basalto 
      (*)
       a 
	  foggia di conchiglia marina: è un'offerta di qualche discendente della 
	  illustre 
	  __________________________ 
      (l)
	  Pierangelo  
	  [più precisamente: Francesco]
	  
	  Mugnoni,
	  Annali manoscritti,. Bibl. Vaticana, Codici Capponiani, N., 178, 
	  n. 82. 
	  [Nell’edizione del 1921, è pag. 112, sub 1484] 
      
      (2) La, 
	  riformanza del 26 agosto 1354, ci parla d'una chiesa del B. Ventura (poi 
	  dedicata al Serafico) che allora si ricostruiva:
	  quae noviter aedificatur. 
	  Dunque noi possiamo credere all'esistenza d'una chiesa più antica, ma non 
	  già sotterranea come attesta arbitrariamente Natalucci. Nonostante la 
	  suddetta riformanza, non abbiamo altre prove e notizie sicure; manca 
	  quindi la base per una certezza storica assoluta.
       
       
	  [Nei lavori di trasformazione 
	  dell’edificio per la sistemazione del museo, nel 1995, fu scoperta la 
	  parte inferiore della facciata ovest della chiesa ed è emerso, al piano 
	  inferiore, il portale gotico di ingresso della chiesa di Santa Maria] (*)[in realtà è di pietra tenera o "pietra serena". Negli anni Settanta del '900, quando, in attesa dei restauri, crollò parte del tetto, l'acquasantiera ne fu vistosamente mutilata] <10> e secolare famiglia dei Valenti di Trevi, che diede alla patria une stuolo di oratori, magistrati, giuristi , scrittori eruditi , tra cui il cardinale Erminio, sepolto nel santuario della Madonna delle Lacrime Dovunque, sui muri 
	  intonacati, si stendono affreschi votivi che fino a, pochi anni addietro 
	  tacevano con la loro bellezza sepolta. In fonde alla navata, un polittico 
	  murale del Mezzastris di Foligno, 
	   
	   link o nota: recenti studi 
	  critici.. TODINI 
	   e due episodi della Passione, di 
	  scuola giottesca; accanto all'altare della Madonna
	  ad Nives c'è la «Presentazione di Gesù al Tempio » e ai lati la profetessa Anna, 
	  che ha nelle mani una specie li rotulo sibillino. Le immagini di S. 
	  Antonio, di S. Elisabetta, di S. Bernardino, di S. Ludovico da Tolosa, e 
	  di tanti altri santi dell'Ordine sono spesso lì ripetute. Dovunque vedete 
	  profili di santi, testine di madonne, parvenze d'angeli, che vi fissano 
	  con due occhi profondi, velati di sogno e di mistero. Hanno volti calmi, 
	  occhi dolci, gesti lenti .squisiti pallori e raffinamenti della forma. 
	  Sulla loro fronte traluce la beatitudine e la grazia d'un paradiso ignoto, 
	  deve regna il silenzio delle passioni mortali e si spezza la spada roggia 
	  del desiderio. Ma quale strano incanto li attira? Sono estranei 
	  all'infinito respiro del mondo. scrutano Perciò con sguardi pieni di 
	  stupore e d'ansietà, E. sembrano fortemente turbali nella leva serenità 
	  inconsapevole, dall'apparizione della nostra figura umana. La loro 
	  atmosfera, è molto differente dalla nostra, ma vi vorremmo vivere in 
	  un'ora di bontà e d'innocenza, per dimenticare … Le sante diafane e delicate 
	  possiedono lì dentro una bellezza quasi liturgica, e par che la loro bocca 
	  suggellata e casta esali un profumo di verginità e un aroma di boschi; tra 
	  di esse non manca la martire alessandrina, dalla ruota dentata. I pittori 
	  medievali avevano davvero mia predilezione speciale nell'effigiare questa 
	  martire — Caterina 
	  d'Alessandria: — la raffiguravano sottile bionda e rosea, con un petto 
	  quasi infantile, con un manto di porpora sanguigna, orlato di candido 
	  ermellino. S. Sebastiano e S. Rocco erano Poi santi prediletti in 
	  quell'epoca, perché la lebbra e la peste facevano strage crudele. Nel 1471 
	  i magistrati pubblici di Trevi vollero che si erigesse nella nostra chiesa 
	  una cappella in onore di Sebastiano, milite imperiale, «Meritis et 
	  precibus eius - dice la riformanza comunale — periculum, atrocissimae 
	  pestis  evadere valeamus»(1). (1) VALENTI, lib. Cit. pag. 129. 
 
 Cappella del 
	  B. Ventura di Pissignano. 
	  — La prima cappella, 
	  a destra di chi guarda 
	  l'abside corale, ha un'arca funeraria, finemente scolpita. In alto, una 
	  cuspide goticizzante, con timpano ad. arco trilobo, con colonnine di 
	  pietra rossa, dal capitello lumeggiato d'oro; in basso sorge l'arca a 
	  pluteo con decorazione geometrica ch'è un intreccio di circoli in pietra 
	  bianca su tondi di pietra rossa. Sull'orlo superiore della tomba si legge:
	  Ossa Beati
	  Venturae. 
	  La parete di fondo, sotto la cuspide saliente, doveva essere 
	  decorata con qualche Madonna trecentesca; ma il barocco profanatore riempì 
	  quel vuoto con stucchi dorati, vi fece una specie di nicchia, e vi collocò 
	  la statua dell'Immacolata. Anche l'altra cappella, coeva e consimile, fu 
	  deturpata in maniera identica, per mettervi la statua del Santo di Padova
	  
	  
	  [ora rimossa, dopo la profanazione con il furto del Bambino che il Santo 
	  teneva in braccio] Ma 
	  quando vennero lì deposte le reliquie del beato eremita Ventura? E perché 
	  furono rinchiuse nella tomba che porta lo stemma a della nobile famiglia 
	  dei Petroni? Ce ne informa il Natalucci, storico del secolo XVIII, 
	  narrandoci che le ossa; di quel beato 203 anni dopo la sua morte furono lì 
	  collocate «… per la congiuntura 
	  della fondazione dell'Altar Maggiore, e prima erano in un'arca di pietra 
	  (l), assieme al manoscritto della di lui vita, quasi affatto consumato. Le 
	  quali (ossa) il 20 
	  settembre del 1593, che videsi placido come un giorno di primavera, furono 
	  trasportate al nuovo altare ad istanza di mastro Muzio Petroni con solenni 
	  feste et concorso di Populi, specialmente del Castello di Pissignano 
	  venendo rimesse entro due casse di stagno et di cipresso con la vita di 
	  nuovo stampata e varii elogi di lode (sic !) delle sue gesta» (2). 
 
	  Altar Maggiore. 
	  «Era egregiamente adorno con statue e colonne dì stucco, costrutto ad 
	  honore di Dio, della Madonna, di San Francesco, da Mastro Cristofaro e 
	  Pomponio De Angelis, e dotato di una messa quotidiana». Portava 
	  questa iscrizione: D. O. M. Beate 
	  Dei Genitrici, Beato Francisco Seraphico, Gloria, Laus, Honor. Pomponius 
	  De Angelis et Cristophorus frater posuervnt et pro una missa.celebranda 
	  hic dotaverunt. A D1593, Su quell'altar maggiore, ____________________________ (1) Esiste ancora. Giace in 
	  fondo alla navata. (2)
	  Durastante Natalucci,Historia 
	  universale di Trevi, manoscritto inedito di 1233 pagine, in 8. 
	  grande, che appartiene al gentilissimo Sig. Giuseppe. Natalucci di Trevi.[edito 
	  nel 1985] 
	   LINK 
	   Il Durastante, che ora e sepolto 
	  nella chiesa monumentale di S. Francesco, scrisse quelle memorie storiche 
	  trevane nel 1745. LINK 
 Chi era Valenti Giacomo? Un 
	  legista, un oratore, un magistrato famoso. Circondò Trevi di belle mura, 
	  vi portò acque fresche e chiare, riformò gli statuti cittadini.
	  «Prima di morire — scrive il Natalucci — aveva fatto varii Legati ai 
	  monasteri e alcuni offitii
	  di famiglia in tutte le feste nel 
	  medesimo altare da lui eretto e dotato presso i Padri Conventuali, che fin 
	  ad oggi ne riscuotono i Canoni»(2). La lapide tombale valentina è 
	  state, tolta dal suo posto, e incastrata lateralmente, nel muro. L'effigie 
	  del magistrato, è scolpita sulla pietra rossa, e composta nella pace 
	  suprema della, morte. Porta il robone e il camauro; riposa su una coltre 
	  orlata d'oro. Ha le braccia in croce. Tiene allato un codice con borchie 
	  d'oro. La sua figura ha tanta purità e durezza di linee, che sembra incisa 
	  nel rigido adamante, Quella lapide e quell'uomo, obliati in un canto della 
	  chiesa, rivelano la vanità degli onori terreni. A che affannarsi per le 
	  cose mortali se tutti dobbiamo tornare alla gran madre antica? ___________________________ (1) «In Christi nomine. Amen. 
	  A. D. 1257 [Errato. Deve intendersi 
	  1357]. Inditione X tempore Domini 
	  Innocentii P.P. VI, mense novembris. Istud est sepulchrum Domini Valentis
	  Iacobi de Trebio et eius haeredum, factum in ista sua cappella 
	  sub vocabulo Sancti Antonii, quae sepoltura facta est ad perpetuam rei 
	  memoriam et testimonium».CLEMENTE BARTOLINI,
	  Antichità Valentine; Perugia 
	  1828. 
 La nostra vita è mutevole e
	  fugace come l'ombra d'una nuvola sull'acqua. Una cosa solo è 
	  necessaria: la vita alta dello spirito. La migliore e ultima 
	  significazione di quella cappella magnatizia è dunque la singolare 
	  devozione che la famiglia Valenti e i cittadini trevani nutrivano per il 
	  glorioso Antonio di Padova e per l'Ordine dei Frati Minori. E solamente 
	  ciò è eloquente e unica, «perpetuam 
	  rei memoriam et testimonium» come attesta l'epigrafe della 
	  sepoltura valentina. Un tempo la chiesa aveva, 
	  parecchi altari barocchi, adorni di frontispizi, colonne, statue, targhe e 
	  festoni, in stucco e oro. Per fortuna nostra, e dell'arte umbra, ne 
	  restano soltanto quattro. Son pochi, è vero, ma ingombrano il tempio, e lo 
	  profanano, lo deturpano orribilmente, Non vogliamo descrivere il gran 
	  numero d'altari consimili, che regnavano nella vasta navata; ci basta 
	  esserci liberati in gran parte da quel baroccume pretenzioso e massiccio, 
	  S. Sebastiano, S. Michele Arcangelo, S. Anna, S. Crispino, il Buon Gesù 
	  etc., vi avevano Il proprio altare. Giustamente il dotto Conte Alessandro
	  [Tommaso] 
	  Valenti, che discende dalla magnanima stirpe, 
	  scisse così: «La rigida ed elegante architettura del secolo XIV fu 
	  deturpata nel Seicento e nel Settecento dalle goffe e barocchissime 
	  sovrapposizioni di numerosi altari,
	  uno più deplorevole dell'altro»(1). 
	  E ci vorrebbe tanto a rimuovere gli altri quattro? Il buon volere basta. 
	  Non sarebbe poi spesa eccessiva il sostituirli con altari liturgici: una 
	  mensa di rude travertino, un cippo di pietra, qualche paio di candelieri 
	  in ferro battuto, e null'altro. Ma nel peggiore dei casi ci contenteremmo 
	  che quei quattro altari si togliessero di là; non chiederemmo di meglio. 
	  Nel 1563 il Comune spese 10 fiorini per rimettere una trave al soffitto 
	  della chiesa francescana, e nel 1610 spese 12 scudi pel medesimo scopo. 
	  Adesso c'è appunto nel tetto una trave malandata; invece di metterne una 
	  nuova la si puntelli con due lunghi pali. Ecco come si restaura e 
	  abbellisce ormai il glorioso edifizio... In questo modo! (2). 
	  Altare della Madonna della Neve.- 
	  Il bellissimo tempio conserva tuttora la sua pianta primitiva, la sua 
	  fisionomia medievale, le linee originarie della sua massa costruttiva, 
	  specie all'esterno; 
	  ______________________________ (l)
	  Valenti, lib. cit. Pag. 129. (2) Speriamo che provveda 
	  meglio la Sovrintendenza Regionale dei Monumenti in Perugia. 
 
	   Altare delle 
	  Stimmate. 
	  E' di
	  fronte, all'altro lato. 
	  Venne eretto dalla pietà del 
	  perugino Grifone Petroni 
	  nel 1606; fu dotato 
	  di 100 fiorini «per l'olio per la 
	  lampada ». In seguito passò alla confraternita        
	  dei Terziari Francescani. Il buon Grifone sta sepolto davanti al 
	  suo altare, per segno e 
	  per fede. Altare del 
	  Crocifisso. 
	  
	  Eretto nel 
	  1593 dai fratelli
	  Pomponio e Cristofaro De 
	  Angelis Ha una tela pregevole. . Altare dello ,Spirito Santo.  
	  Un'iscrizione posta sul 
	  plinto delle lue colonne 
	  dice così; P. Philippus Palatius philosophus artis medicine doctor hoc 
	  opus fieri iussit. Ascanius Palatius frater eius haec res complevit. A. D
	  
	   1623. 
 
	  Organo. 
	  Nel mezzo della 
	  chiesa si vede un grande organo. La sua cantoria
	  gigantesca, di legno intagliato, ha
	  per decorazione delle 
	  brutte figure d santi. E' opera della a fine del Cinquecento e 
	  costò parecchi fiorini e scudi al
	  Comune e trevano Valeva la 
	  pena di spendere tanto denaro per una sconcezza simile? Anche 
	  quell’organo  contribuisce a
	   svisare i
	  lineamenti 'della Chiesa. E poi da un pezzo non canta più. Le sue 
	  canne sonore hanno troppa
	  polvere. E pare che i 
	  santi francescani dipinti sui 
	  paliotti della tribuna dei cantori siano malinconici nel desiderio 
	  nostalgico di melodie fresche e sante. Sacrestia. – C’è un lavabo in terracotta di stile 
	  robbianescoo lavorato verso la fine del Cinquecento. In alto vedesi 
	  un'anfora con due anse, e dei vaghi puttini nudi, che sorreggono un 
	  festone di fogliame, frutta e biade, tra cui non manca il
	  granturco e il cetriuolo. 
	  
	  _______________________________ 
	  (1) Attingiamo tutte queste notizie inedite dall'opera preziosa del 
	  Natalucci che parla della chiesa di S. Francesco nelle pagg. 130 - 135 del 
	  suo manoscritto. 
 
 
	  Dentro una nicchia 
	  c'è una specie di presepio pure di terracotta a smalto. Vi si scorge uno 
	  scenario di roccie di cieli, di cipressi e un campanile lontano. Si 
	  direbbe che lo scultore abbia voluto ritrarre la Verna. Due teste 
	  faunesche per l'acqua guatano dalla placida fonte delle abluzioni. Tale 
	  sacrestia si arricchiva una volta di magnifiche pianete, di sfarzose 
	  suppellettili: c'erano anche dei mobili d'argento come afferma il 
	  Natalucci. Molti doni venivano offerti dalle compagnie religiose: quella 
	  della SS. Concezione, istituita nel1629 quella dei Cordigeri di S. 
	  Francesco, fondata nel 1306, quella dei Terziari, stabilita sin dal 1250, 
	  quella del Carmine, canonicamente eretta nel 1640 con facoltà data al P. 
	  Guardiano di benedire lo scapolare. 
	  *** Le 
	  più nobili famiglie trevane chiedevano la grazia di ottenere la sepoltura 
	  in questa chiesa di Santo Francesco, e ne dotavano generosamente altari e 
	  cappelle, mentre il Comune erogava continue elemosine ai Frati Minori per 
	  il vestiario, per la carne, per l'orto, per le cerimonie del culto, e 
	  inoltre concedeva a spesso some di vino, coppe di granoturco rubbie di 
	  frumento. Dopo la soppressione delle Congregazioni monastiche, i P.P. 
	  Conventuali sparirono dalla città di Trevi, e quivi ritornarono invece i 
	  Minori Osservanti, che hanno la piccola chiesa
	   di S. Martino, dove lo Spagna 
	  lasciò col magico Questo tempio insigne si lega 
	  intimamente a tutta la storia civile e religiosa di Trevi, ne spiega 
	  l'ambiente storico, ne illumina la fede popolare, ne palesa le grandezze e 
	  le glorie più fulgide. Le lapidi funerarie, le cappelle magnatizie, gli 
	  affreschi votivi, e financo i panconi di legno secentesco e Stemmato, 
	  tutto ci fa conoscere la fiamma di spiritualità cristiana che animava 
	  ilcuore 
	  
	  ___________________ (1) Della chiesa e convento di S. Martino, parla alungo il p. Benvenuto Bazzocchini nella sua «Cronaca della Provincia Serafica di S. Chiara d’Assisi», cap.IX, pagg. 133-134 (Firenze, Tipografia Barbera, 1921) 
 Guerrieri, dottori, 
	  magistrati, e gentildonne riposano serenamente sotto il pavimento della 
	  navata trionfale, e godono ancora a la protezione dei santi tutelari da 
	  essi teneramente invocati per la salvezza dell'anima propria, per la gioia 
	  più pura dei loro figliuoli, per la prosperità della dolce terra nativa. 
	  Noi passiamo con indifferenza su quelle lapidi tombali di pietra grigia, 
	  corrose dai piedi dell’uomo e non ricordiamo qual vittoriosa speranza. e 
	  quale implacabile amore siano discesi nelle profondità oscure del sepolcro 
	  per aspettarvi la risurrezione e la luce. Quelle pietre, quegli archi, 
	  quei colori, quei marmi li ha innalzati un tesoro di fede inestinguibile, 
	  li ha profumati la grazia mistica delle orazioni, li ha purificati la 
	  santità della morte cristiana. E ancora dai vecchi altari, 
	  dalle pitture sacre, dalle lapidi marmoree e dal portale gotico risalgono 
	  perennemente parole evangeliche di bontà, voci velate d'anime lontane, 
	  sogni di innocenza e di serenità, casti aromi di preghiera e d'amore. 
	  Salgono e dileguano francescanamente oltre l'azzurro cielo dell’Umbria 
	  oltre l'orbita delle costellazioni gloriose, e verso la sorgente delle 
	  aurore celesti, la patria delle anime grandi e luminose. 
	  Trevi, marzo 1924. 
	  SALVATORE MARINO MAZZARA. 
 
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