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Centenario del martirio di Sant'Emiliano 303 - 2003 | |
Identità armena e Divina Liturgia |
Testo completo della Conferenza del
p. Vasken Nanyan, del Catolicossato Armeno:
"Identità del popolo
di Sant'Emiliano e presentazione della liturgia armena"
Domenica 26 gennaio 2003- Sala Confernze di S. Francesco
Padre Vasken Nanyan, attualmente a Roma per motivi di studio, è stato un componente della delegazione armena in visita a Trevi, in occasione delle celebrazioni del centenario, per ricordare le origini armene del patrono e primo vescovo di Trevi Sant'Emiliano.
Eccellenza, cari amici,
anzitutto vorrei esprimere la mia infinita gioia per questo cordiale invito rivoltomi a essere con voi e tra di voi in questa settimana di preghiere per l’unita’ dei cristiani, particolarmente ricca di espressioni ed esperienze di condivisione e testimonianza della fede, nella quale siamo uniti nel nome del nostro Signore Gesù Cristo. Nella mia mente rivive il piacere provato ieri sera nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, durante la celebrazione dei Vespri, presieduta da Papa Giovanni Paolo II. Centinaia di sacerdoti, come me, che provengono da diversissime chiese: ortodosse, antiche orientali, protestanti ecc., si sono radunati per dimostrare ancora una volta con sincerità e convinzione che il glorioso passato della Chiesa, con le sue pagine talvolta dolorose, è comunque, appunto, passato. Ed oggi vivere col passato significa condannare il futuro. “Accentuiamo ciò che ci unisce e lasciamo in disparte ciò che ci separa” – questo era il sentimento dominante in tutti presenti. Gli armeni nel mondo Cari amici, io vengo dall’Armenia, da un paese antichissimo e bellissimo. Nei miei primi giorni di permanenza qui in Italia mi ero incuriosito, volevo sapere se la gente comune conoscesse l’Armenia, l’avesse mai sentita nominare. Ho scoperto che dell’Armenia sapevano poco. La prima persona che veniva nominata era Jurii Gorkaeff, il calciatore, poi Charles Aznavour. Alcuni addirittura ricordavano che ci doveva essere la biblica montagna dell’Ararat, altri invece rievocavano il tragico genocidio contro gli Armeni nell’anno 1915 da parte della Turchia Ottomana e alla fine solo pochissimi hanno menzionato i 1700 anni della vita cristiana di questo paese. Il cristianesimo in Armenia Veramente, se dell’Armenia c’è una cosa che merita d’esser menzionata per prima, se c’è una cosa della quale tutti gli armeni, malgrado la loro appartenenza ecclesiastica (sia apostolica, cattolica, protestante o addirittura non cristiana o agnostica), malgrado la loro provenienza o residenza geografica (da Erevan a New York, dal Bangladesh alla Nuova Zelanda, da Mosca a Buenos Aires) sono ugualmente orgogliosi, è la fede cristiana che fu portata nella nostra terra dai due apostoli di Cristo. A questo punto voglio riprendere le parole del discorso di saluto del Papa Giovanni Paolo II dette durante il suo viaggio in Armenia il 25 settembre 2001. “Sono profondamente commosso al pensiero della gloriosa storia del Cristianesimo in questa terra, che, secondo la tradizione, si rifa' alla predicazione degli apostoli Taddeo e Bartolomeo. In seguito, attraverso la testimonianza e l’opera di san Gregorio l’Illuminatore, il Cristianesimo divenne, per la prima volta, la fede di un’intera Nazione. Gli Annali della Chiesa universale affermeranno per sempre che le genti dell’Armenia furono le prime, come popolo, ad abbracciare la grazia e la verità del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Da quei tempi epici, la vostra Chiesa non ha mai cessato di cantare le lodi di Dio Padre, di celebrare il mistero della morte e risurrezione del Figlio suo Gesù Cristo, e di invocare l’aiuto dello Spirito Santo, il Consolatore. Voi custodite con zelo la memoria dei vostri numerosi martiri, e in verità il martirio è stato un marchio speciale della Chiesa e del popolo armeni.”. Ci volevano anni, decenni, secoli di martirio e sangue, di lacrime e sorrisi, di opere e parole, di vita e morte affinché la fede diventasse raision d’être di una nazione, identificandosi con l’autoimmagine più autentica e intima di un popolo. Ecco perché quando da noi si dice “armeno” inconsciamente si intende pure cristiano e viceversa. Anzi c’è un detto che pienamente esprime tutta l’essenzialità di questa indissolubile unione: “Battezzandosi si diventa armeni”. Così pensò anche San Gregorio che fu chiamato Illuminatore, perché con il battesimo degli Armeni ci illuminò secondo la divina visione che contemplò e che fece di noi il primo popolo cristiano. E’ inutile spiegare, dunque, che la storia della Chiesa armena fa parte inseparabile e naturale della storia dell’Armenia. In ogni caso, gli anni passati non sono stati tranquilli e pacifici. Siamo stati destinati a passare attraverso grandi tribolazioni, infinite guerre, separazioni e difficoltà. Da tanto tempo il nostro popolo cammina sulla faccia della terra. Quelli con cui abbiamo iniziato questo percorso ormai non ci sono più, mentre noi ostinatamente andiamo avanti lasciando alle spalle una cultura ricchissima con i propri inconfondibili valori. Giustamente tutto ciò che si può scoprire in Armenia è stato creato e prodotto nello spirito della religione. Non è possibile comprendere il nostro mondo, senza aver conosciuto il nostro spirito. Nella scultura e architettura, nella pittura e miniatura, nella letteratura e musica si sente fortemente pulsare la fede. La crisi del 20° secolo La penultima tappa della storia della Chiesa armena, durante il comunismo, fu altrettanto carica di sofferenze. Partendo dal concetto che “la religione è l’oppio del popolo”, come all’epoca affermavano Marx, Lenin e Stalin, il partito comunista ha fatto letteralmente tutto perché la Chiesa diventasse un monumento storico, una specie di museo e nella mente comune venisse paragonata ad una cosa ignorante, oscura, retrospettiva ed arcaica. Sono stati giorni spaventosi, quando sembrava fossimo alla fine, perché non poteva essere peggio di quello che era. Chi avrebbe mai immaginato il giorno della liberazione, chi avrebbe mai parlato a voce alta delle cose che sentiva dentro di sé, chi avrebbe mai guardato verso l’avvenire se non con gli occhi della speranza? Il clero non poteva parlare, predicare, liberamente agire…C’era un interminabile silenzio e c’era molta paura, un’insuperabile angoscia e solo le chiese, sparse dappertutto, osavano parlare, audacemente raccontando la storia della fede, trasmettendo il messaggio del Vangelo, senza aver paura di essere imprigionate o demolite. Si incarnava così la profezia di Gesù, quando disse: “Se taceranno gli uomini, parleranno le pietre!”. Tantissimi sacerdoti innocenti furono esiliati, torturati e fucilati. Un’intera generazione fu persa e danneggiata. Per darvi un semplice esempio: negli anni ‘30 nella Santa Sede di Etchmiadzine, centro spirituale della nostra Chiesa, rimasero, in effetti, solo il patriarca e 7 sacerdoti. Eravamo rimasti forma senza sostanza. Quando ad uno si domandava “in che cosa credi?”. Rispondeva: “credo in ciò crede la mia Chiesa”. E se avessimo proseguito chiedendogli: “in che cosa allora crede la tua Chiesa?”, sarebbe stato assai inverosimile aspettarsi una risposta più precisa. Fede del carbonaio – così è stato formulato questo fenomeno nella teologia tedesca. Mentre io lo definirei come fede per forza d’inerzia. Ciò che va tenuto presente è che tuttavia tutte le disgrazie accadute, comunque non hanno sradicato del tutto lo spirito religioso, che costituisce certamente per il nostro popolo la fonte di speranza più radicale, il miglior stimolo alla voglia di ricominciare. E quindi, in queste circostanze e condizioni ci siamo ritrovati dopo l’indipendenza, quando per la prima volta la Chiesa armena, dopo quella prolungata pausa, ha cominciato a respirare a pieni polmoni. L’indipendenza Sì, ci sono ancora difficoltà. L’Armenia, essendo in uno stato di transizione, sta affrontando molti problemi economici, finanziari, politici e sociali, psicologici e naturalmente religiosi. Demotivazione, emigrazione, disoccupazione e sette religiose fanno ormai parte della nostra quotidianità. Nonostante ciò, in fondo siamo inguaribili ottimisti e per questo proseguiremo fin alla fine. La Chiesa, con il neo-eletto Supremo Patriarca e Catolicos tutti gli Armeni Karekin II, veramente si sta rinnovando. Moltissimi giovani sacerdoti attualmente studiano nelle migliori università in tutto il mondo, si riaprono le chiese antiche e se ne costruiscono di nuove. La Chiesa promuove l’aggiornamento, il rafforzamento e il miglioramento delle attività pastorali, giovanili e sociali. Si ingrandiscono i seminari, in modo che possano accogliere tutti quanti sono desiderosi di servire Dio e il popolo. So che ci vuole tempo, però già nel futuro prossimo potremo sicuramente essere ciò che eravamo sempre stati. In breve, adesso si fa di tutto ed il frutto di questo si vedrà domani. La liturgia Ed ora, permettetemi qualche parola sulla liturgia armena. Si tratta di una liturgia molto antica, che prende le sue origini dai riti in uso a Gerusalemme. Essa poi e’ stata caratterizzata da una grande apertura alle varie tradizioni cristiane di altri popoli tra i quali gli Armeni si sono trovati a vivere: quella sira, quella greca e persino la vostra, quella latina. Molte parti sono state accolte dentro la propria liturgia, mantenendo invariato il nucleo originale ed il tono proprio dell’identita’ armena. La liturgia e’ sempre molto solenne, e viene celebrata nell’antica lingua ecclesiastica. Luci, colori, profumi, tutto avvolge la persona chiamata alla preghiera. In particolare i canti sono molto famosi per la loro bellezza, venati come sono da una melanconia tipica degli Armeni. Quando si celebra, e’ come se il cielo si aprisse e noi fossimo invitati a visitarlo, pregando insieme con gli angeli e con i santi alla presenza dell’Agnello. Per noi la liturgia e’ stare alla presenza del sacro: per questo i ministri non calpestano lo spazio intorno all’altare con le scarpe normali, ma con speciali pantofole; per questo inoltre il libro del Vangelo viene sempre tenuto in mano con un velo prezioso. Nella liturgia si usa il pane azzimo, come fate voi. La comunione si da’ sempre sotto le due specie. La Messa, che noi chiamiamo “oblazione” o “sacrificio”, si svolge secondo la struttura tipica dell’Eucaristia di ogni Chiesa cristiana: dopo le preghiere di accesso all’altare, il sacerdote prepara il pane e il vino (al quale, contrariamente alle altre Chiese, non si aggiunge l’acqua). Un momento solenne e’ la processione col Vangelo, al canto del “tre volte santo”. Uno dei fedeli viene invitato a baciare il Vangelo. Seguono le letture e la professione di fede. La liturgia eucaristica vede una seconda processione molto solenne, che porta all’altare i santi doni, il pane e il vino, con i quali viene benedetto il popolo. Segue l’anafora o preghiera eucaristica, che privilegia le parole dell’istituzione dell’Eucaristia e quelle dell’epiclesi, o invocazione dello Spirito Santo, perche’ trasformi il pane e il vino nel Corpo e Sangue del Signore. Si prega quindi per le necessita’ della Chiesa. Al termine dell’anafora, dopo il Padre Nostro, c’e’ una elevazione solenne dei Santi Doni, la piu’ solenne e prolungata fra tutte quelle delle Chiese d’Oriente ed Occidente. Quindi la comunione, il ringraziamento e la benedizione. La Chiesa armena non ha l’iconostasi; al suo posto c’e’ una grande tenda che viene chiusa in alcuni momenti della celebrazione. Vi invito a seguire con attenzione i testi delle preghiere: sono dei veri capolavori di teologia e vita spirituale, molto concreti, pieni di immagini, ed anche molto poetici. Commiato Alla fine, cari amici, vorrei concludere questa mia presentazione con una riflessione molto personale. Mi chiedo se vi possa essere un segno di ecumenismo più eloquente del fatto che il vostro Arcivescovo, l’Eccellentissimo Mons. Riccardo Fontana, con i suoi sacerdoti si sia recato in Armenia a fare gli esercizi spirituali e a portarvi l’olio di Sant’Emiliano, e il fatto che io adesso stia fra voi a condividere la gioia comune? |
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Note 1) Proprio nell'occasione della celebrazione del Centenario, siamo venuti a conoscenza di un'altra presenza armena a Trevi intorno al 1940. S. E.Mons Nerses Der Nersessian che all'epoca fu ospite del Pontificio Collegio Etiopico ricorda di aver conosciuto il dott. Armenag Sirunian. Testimonianze orali (Simone Brunelli, Giuliano Fattori) confermano che il dottore in questione, profugo armeno, esercitava presso l'Ospedale Civile di Trevi e dopo poco tempo si trasferi a Perugia dove dove è rimasto fino alla morte avvenuta in tarda eta |