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Le memorie francescane di Trevi

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(D. Aurelio Bonaca, Le memorie francescane di Trevi, Estratto da Studi Francescani, Anno XIII, n° 1, Firenze, 1927- pagg. 61)

 

I parte: EPISODI DELLA VITA DI S. FRANCESCO

§ 2. - Il lebbrosario di SS. Tommaso e Lazzaro

 

Era comune nel medio evo la costruzione, lungo le strade principali, di locali destinati a raccogliere i lebbrosi.

I lebbrosari eran veri luoghi di umiliante isolamento per i poveri malati, che venivano abbandonati da tutti. S.Francesco "non solamente serviva volentieri a cancerosi, ma oltre questo avea ordinato che li frati del suo Ordine, andando o stando per lo mondo, servissero ai leprosi per amor di Cristo, el quale volse per noi essere reputato leproso"1. Il Santo vedeva in quegli infelici l’immagine del Salvatore, e perciò li aveva quanto mai cari, per essi spendeva una buona parte della sua attività, e "omnes leprosos qui essent multum plagati plurimum recommendaverat"2. E con i lebbrosi fraternamente trattava e non disdegnava toccare e curare le loro piaghe e li chiamava dolcemente col nome di "fratelli cristiani"3.

 

Da principio però aveva ribrezzo di essi. Un giorno, cavalcando presso Assisi, ne incontrò uno, e sebbene provasse grande ripugnanza, scese da cavallo e, vinto se stesso, abbracciò e baciò quell’infelice. Fu tale e tanta la gioia che ne provò, che alcuni giorni dopo volle ripetere l’atto, andò al lebbrosario, e, dopo aver distribuito elemosine, baciò le mani e la bocca degli infermi4.

Da allora i lebbrosi diventarono i suoi prediletti, e quando incontrava un lebbrosario, picchiava alla porta, chiedeva ospitalità e vi pernottava prestando l’opera sua caritatevole e santa.

 

*

 

Sulla strada romana, presso la località detta di Pietra Rossa, nel territorio di Trevi, esisteva l’ospedale dei SS. Maurizio e Lazzaro per i lebbrosi ed incurabili5 ed anche questo fu oggetto di cure per S.Francesco e per i suoi Discepoli.

L’istituto era retto da un sindaco e da santesi, i quali alla loro volta dipendevano dal Magistrato e dalle risoluzioni del Consiglio Generale6. Costoro però attendevano più che altro alla parte amministrativa, ed i poveri ammalati eran lasciati in balia di se stessi, con gli inevitabili disordini che è facile immaginare. Ciò portò ben presto necessariamente alla chiusura del lebbrosario, che fu trasformato in beneficio ecclesiastico a collazione della Dataria.

Nel 1487 sorse lite per i beni di quell’ospedale tra Pierfrancesco di Francischino, Conte di Pierfrancesco Lucarini e Francesco di Ser Giacomo Valenti; il Comune allora ricorse a Mons. Maurizio Cibo, Arcivescovo di Cosenza e Governatore di Perugia, e a Mons. Francesco Mari, Vescovo di Viterbo, luogotenente generale della Provincia, in quel tempo dimorante a Trevi. Il Comune chiese di poter unire l’antico ospedale o alla Chiesa di S. Emiliano, o a quella delle Lacrime, oppure a S. Martino o S.Francesco7, adducendo per ragione le ruberie che venivano fatte a danno dell’istituto. E veramente queste ruberie dovevano essere ben gravi e scandalose, se il Beato Bernardino da Feltre, predicando in Trevi nel 1487, ne fece oggetto di un suo discorso e minacciò che i ladri sarebbero diventati "lebbrosi come quelli poveri"8. E Durastante Natalucci lasciò scritto: "Non ho voluto per degni rispetti nominare ne’ capi precedenti li Attori dell’Ospedale di S. Tomasso, attesochè alcuni di essi a’ giorni miei hanno miserabilmente finito gli anni loro"9.

Nel 1500 il Comune, temendo che la Dataria vi rimettesse le mani, tornò ad occuparsi di quell’ospedale e dei suoi beni; nominò perfino un suo procuratore10, ma finì poi col cedere tutto alla Chiesa delle Lacrime. Dopo altre vicende il vecchio lebbrosario passò ai Cavalieri dei SS. Maurizio e Lazzaro (1731) e nel secolo passato alla Congregazione di Carità di Trevi, che alcuni anni fa trasformò la Chiesa in granaio, facendo così scomparire le ultime tracce di uno storico e pio istituto.

 

*

Ai tempi di S. Francesco il disordine era certamente uguale a quello lamentato più tardi, ma ciò non fece che aumentare l’affetto del Poverello per gli infelici, che erano spesso da lui visitati11.

E le visite del Santo non si limitavano ad una cosa fugace e di poco conto; egli si fermava a lungo, curava quei poverelli, che portava poi poco lungi, presso la Chiesa di S. Maria di Pietra Rossa, ove esisteva dell’acqua con la quale lavava le loro piaghe, ed in tal modo li consolava e li guariva.

La Legenda antiqua S. Francisci, che secondo il P. Delorme fu opera di Frate Leone ed è certamente antichissimo documento francescano, ha occasione di accennare ad una di queste visite e con la solita semplicità dice: "Et hospitati sunt in hospitali leprosorum de Trevio". E la Legenda ci fa sapere anche che: "illis temporibus erat destructum castrum Trevii"12, e quindi la visita avvenne certamente dopo il 1214.

 

*

 

Delle lavande fatte ai lebbrosi in Pietra Rossa non esistono, che io sappia, documenti scritti molto antichi, ma una tradizione ininterrotta, mantenutasi costante tra il nostro popolo sta a provarne la verità.

Che nella località Pietra Rossa sorgesse nell’antichità la Città di Trevi è leggenda e favola; Trevi è stata sempre dove sorge oggi. Sarebbe fuor di luogo esporre qui le ragioni che sostengono la mia affermazione; dirò soltanto che gli scrittori che hanno sostenuto il contrario non hanno portato mai un argomento attendibile, quand’anche, come fa il Natalucci13, non siano ricorsi all’autorità di qualche poetastro.

Poter stabilire pertanto quello che fu nell’antichità Pietra Rossa è cosa molto importante ai fini del nostro studio e di interesse che va oltre la storia di Trevi. Non dispiacerà quindi al lettore se ci intratterremo alquanto sull’argomento.

Prendiamo per punto di partenza la bellissima lettera in cui il Plinio il giovane parla all’amico Romano del fiume Clitunno14.

L’elegante scrittore latino comincia col descrivere le sorgenti da cui ha origine il Clitunno; poi parla del fiume, che dice tanto ampio da essere navigabile. Le ripe del fiume sono coperte di frassini; si ammira un "templum priscum et religiosum", in cui sta il dio Clitunno; all’intorno sono altri tempietti, in ciascuno dei quali si venera una divinità. Andando più oltre si incontra un ponte, che divide la parte sacra del fiume dalla profana. Prima di arrivare al ponte, cioè nella parte sacra, in cui si può navigare, abbiamo visto i tempi degli dèi; nella parte profana, nella quale è permesso fare i bagni, lo scrittore è colpito da qualche cosa di grandioso, dal balineum, già donato da Augusto agli Ispellati, i quali praebent et hospitium. Né mancano le ville, che seguono l’amenissimo corso del fiume.

Questa è la fedele descrizione delle fonti e del corso del Clitunno tramandataci da Plinio. Prendiamo ora come oggetto del nostro studio il balineum degli Ispellati e trascuriamo tutto il resto.

È chiaro che il balineum trovasi nella parte profana del fiume, al disotto del ponte; supporre che potesse essere al di sopra, nella parte sacra, sarebbe un errore, perché Plinio dice che vi eran proibiti i bagni.

Il ponte divisore era nel mezzo del territorio di Trevi, nel punto in cui da molti secoli esistono i molini detti oggi della Faustana, chiamati nei documenti più antichi i molini di "ponte maggiore"15. Il balineum non doveva distare molto dal ponte, perché Plinio lo nomina subito, come la cosa che più lo ha colpito nella parte profana; accenna soltanto alle superbe ville di piacere, che eran sparse un po’ da per tutto, ma non accenna ad altro. Se avesse visto altre cose degne di nota, Plinio l’avrebbe detto; perciò il balineum era l’edificio più grande o l’insieme di più edifici che egli poté ammirare nella sua imponenza.

Ma dove sorgeva esso?

La tradizione, che spesso è l’unica guida nelle ricerche storiche ed archeologiche, non indica nessun luogo in cui sorgesse il balineum; ci dice soltanto che a Pietra Rossa, nell’antichità, fu fabbricato qualche cosa di grande, forse una città, forse Trevi stessa. Questo ci dice la tradizione, formatasi però troppo tardi per esser presa sul serio. Infatti se a Pietra Rossa fosse stata una città Plinio ne avrebbe parlato; il suo silenzio, in questo caso, conferma che doveva esserci laggiù qualche cosa di maestoso, ma non una città.

Che si trattasse di grandi edifici lo provano i ruderi che vengono fuori anche ai giorni nostri, scavando in quei luoghi16

Ma se non si tratta di avanzi di una città, a che appartennero quei ruderi?

A me sembra non possa mettersi in dubbio che in Pietra Rossa esistesse il grandioso balineum degli Ispellati.

Tracce evidenti del balineum dovevano esistere fino al 1400 e anche dopo, se il Mugnoni17 parlando della Chiesa di Pietra Rossa, dice senz’altro: "dove c’è facta quilla maestà et dove ce sonno quilli bagni".

Di quali bagni parla qui il Mugnoni? Egli ricorda prima l’immagine della Madonna, che tutti vedono e tutti venerano ed adopera un linguaggio che non ammette dubbi: "dove c’è facta quilla maestà". Seguita poi adoperando la stessa forma precisa, assoluta, indiscutibile: "dove ce sonno quilli bagni". Si trattava quindi di una cosa visibile a tutti. Che cosa impedisce pensare che avanzi di antichi bagni si vedessero ancora, forse anche qualche sala? Supporre si trattasse di bagni costruiti in quei tempi, sarebbe pensare all’assurdo; eran cose che non si usavano più. Dunque eran bagni dell’epoca romana, e siccome Plinio ricorda lungo il Clitunno solo il balineum degli Ispellati, è chiaro che questo sorgeva dove oggi è Pietra Rossa.

L’atto altamente pietoso e cristiano che S.Francesco compiva facendo lavare i lebbrosi nelle acque di Pietra Rossa è una prova di quanto io sostengo. Infatti, perché per quelle lavande non si serviva dell’acqua del pozzo dell’Ospedale, che esisteva allora, come oggi, proprio di fronte al fabbricato e preferiva invece andare a Pietra Rossa, cioè ad una distanza non indifferente per un povero lebbroso? Evidentemente in quel luogo il Poverello trovava una comodità maggiore, forse poteva servirsi di qualche vasca, di qualche sala dell’antico balineum.

Oggi nulla più esiste all’infuori della Chiesa della Madonna, edificio certamente antichissimo e fatto con materiali di edifici preesistenti; esistono ancora due pozzi, uno sulla piazzetta della Chiesa ed uno poco lungi18. Il nostro popolo, che il 24 giugno accorre numeroso per celebrare in quel luogo la festa e la fiera di S. Giovanni Battista, va ancora ad attingere acqua in questo secondo pozzo e con essa si lava per devozione, e ne porta, per lo stesso fine, una certa quantità a casa. E quell’acqua è chiamata l’acqua santa,e questo nome non le è stato dato in tempi recenti, ma lo ha avuto sempre attraverso i secoli19.

La Chiesa di Pietra Rossa è certamente dedicata alla Madonna; però alla devozione a Maria vediamo associata quella a S. Giovanni Battista e l’acqua santa è detta anche oggi del pozzo di S. Giovanni Battista. E’ facile dedurre da ciò che, come era costume della Chiesa, si volle santificare il luogo pagano con l’idea di un rito cristiano, ed ai bagni, già ritrovo di mondanità e ricettacolo di vizi, fu sostituito il culto a S. Giovanni Battista, il purissimo Precursore che nelle acque del Giordano compì la cerimonia che annunziava il Sacramento del Battesimo.

Mi fu già detto che la mia tesi, essere stato in Pietra Rossa il balineum degli Ispellati, sia basata su deduzioni e non abbia in proprio sostegno alcuna prova. Ciò non è vero, come abbiamo visto, ma anche se lo fosse, il mio non sarebbe dissimile da ragionamenti di questo genere fatti per importanti monumenti archeologici da persone che si sono specializzate nella materia.

Io non dubito affatto che in Pietra Rossa esistessero i grandiosi bagni di cui parla Plinio, e formulo il voto che prossimi scavi, che riusciranno certo interessantissimi, vengano a confermare la mia tesi20.

Nel lebbrosario di Trevi, secondo me, avvenne la conversione del lebbroso impenitente, di cui parlano i Fioretti con la solita semplicità21. Noto subito che l’ aureo libretto non nomina, come è suo costume, il luogo in cui il fatto avvenne, ma l’analogia tra alcune frasi dei Fioretti ed altre della Legenda Antiqua, le circostanze che che emergono dalla narrazione, non fanno dubitare punto di quanto io dico.

In un luogo, narrano i Fioretti, presso il quale allora dimora S. Francesco, esisteva un lebbrosario, in cui i frati prestavano l’opera loro. Un lebbroso "impaziente, incomportabile e protervo" non faceva altro che bestemmiare contro Dio e la Madonna, ed imprecare contro chi lo serviva. I Frati sopportavano ogni cosa con pazienza, ma un bel giorno finirono con l’andare a dir tutto a S. Francesco. Ed il Santo accorse al capezzale dell’infelice, e appena lo vide, lo salutò cristiano: "Dio ti dia la pace". Ma l’altro rispose altezzosamente, pronunciando parole contro Dio e contro i Frati.

S. Francesco si avvide che solo la misericordia di Dio poteva muovere quel cuore indurito; si ritirò e si mise a pregare. Poi tornò al lebbroso e si offrì egli stesso a curarlo. L’infermo fu lieto di ciò e: "Io voglio che tu mi lavi tutto quanto" disse imperiosamente Ed il Poverello con ogni carità lo lavò e man mano che procedeva nella lavanda la lebbra scompariva; in tal modo quel poveretto rimase guarito nel corpo od anche nell’anima.

Dopo quindici giorni il graziato "informò d’altra infermità, e fornito di Sacramenti ecclesiastici si morì santamente".

Tale è il racconto dei Fioretti. Vediamo ora dove trovare le prove che il fatto sia avvenuto nell’Ospedale dei Santi Tommaso e Lazzaro.

La Legenda Antiqua22 dice: "manebant fratres in hospitalibus leprosorum". Queste parole sono accompagnate dall’affermazione che S. Francesco e Frate Pacifico erano ospitati nell’Ospedale dei SS. Tommaso e Lazzaro; segno evidente che i Frati prestavano l’opera loro anche in questo lebbrosario. I Fioretti dicono: "I Frati servivano ai servi di Cristo cancerosi e infermi". L’affermazione fatta dai due documenti quasi con le stesse parole fa supporre con ragione che la fonte da cui i due racconti furon fatti sia stata l’unica, quasi si sia trattato di una serie di racconti di ciò che S.Francesco aveva operato nel lebbrosario di Trevi. D’altra parte sappiamo che S.Francesco andò più volte a Bovara e dimorò tra le rovine dell’Abbazia, come vedremo più avanti; è facile quindi mettere questo fatto in relazione con le parole dei Fioretti: "in un luogo appresso di quello là ove San Francesco stava allora". Di modo che si deve concludere, a parer mio, che quando i Frati, non potendone più per gli improperi e per le bestemmie del lebbroso, andarono ad avvisare S.Francesco, questi stava in Bovara e il fatto, che si svolse poi, avvenne nell’ospedale dei SS. Tommaso e Lazzaro.

In nessun altro luogo, ch’io sappia, troviamo una così precisa tradizione dei bagni fatti fare ai lebbrosi, come quella che riguarda Pietra Rossa. Soltanto qui rimane memoria di guarigioni operate da S.Francesco mediante i lavacri con quell’acqua, che il popolo ancor oggi chiama "acqua santa". Il lebbroso dei Fioretti chiese per prima cosa di esser lavato tutto quanto, e S.Francesco lo lavò ed in tal modo lo guarì. Memorie precise di avvenimenti di tal genere riguardano le località da noi indicate e non altre; qui adunque avvenne la guarigione del lebbroso, che era certamente ricoverato nell’ospedale dei SS. Tommaso e Lazzaro.

Non tutti forse approveranno il mio modo di ragionare e faranno bene se ne diranno il perché; a me sembra che esso sia giusto e le conclusioni corrispondenti a verità.

Comunque sia, è per me ragione di grande compiacimento poter indicare nel territorio di Trevi i luoghi precisi in cui S.Francesco compì opere di misericordia tanto grandi e tanto meritorie.

 

 

 

 

Z99

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Aggiornamento: 27 aprile 2017.
Note 
1) I Fioretti da S. Francesco d'Assisi a cura del P. F. Sarri, pag. 112. Vallecchi editore, Firenze.
2) Legenda Antiqua S. Francisci, Texte du M.S. 1046 (M69) de Perouse édite par le P. F. Delorme O.F.M.,pag.13. Editions de la «France Franciscaine», 9, rue Marie Rose, XIV, Paris, 1926.
3) Stesso luogo.
4) Tommaso da Celano, Leggenda, II, Cap. 3.
5) Pelosio, Catalogo delle Chiese della Diocesi Spoletina pubblicato dal Can. D. Luigi Fausti, «Archivio per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria», vol. I, fac. I e II, pag. 174 e seg., anno 1913.
Il chiarissimo Can. D. Luigi Fausti nel suo lavoro Degli antihi ospedali di Spoleto (Stab. Tip. Panetto e Petrelli, 1922) accenna all'opinione di qualcuno che ritenne esistere in Trevi due Ospedali distinti coi nomi di S. Tommaso e di S. Lazzaro. Nello stesso errore incorse il celebre Giovanni Joergensen (S. Francesco d'Assisi, pag. 450, Torino, Società Editrice Internazionale). I documenti ci parlano di un solo ospedale dei lebbrosi detto dei SS. Tommaso e Lazzaro, o solo di S. Tommaso od anche semplicemente de pede Trevii. Esisteva bensì un altro ospedale in Borgo di Trevi innanzi alla Chiesa di S. Egidio, ma non ho trovato che anch'esso servisse per i lebbrosi. Il Pelosio (luogo cit., pag. 174 lo nomina così: «Hospitale de Burgo Trevii ante Ecclesiam S. Egidii».
6) Archivio Comunale di Trevi, detto delle Tre Chiavi. - Riformanze del 1334 f. 10 e 12; del 1441 f.70.
7) Arch. Tre Chiavi. - Rif. 1487, f.173.
8) Ser Francesco Mugnoni, Annali, pag. 105 - Trascrizione di D. Pietro Pirri, Perugia, Unione Tip. Coop. 1921.
9) D. Natalucci, Historia ecc., pag. 276.
10) Arch. Tre Chiavi. - Rif. 1500, f. 72
11) Nella Chiesa di S. Francesco in Trevi, nell'altare di cui è stato parlato, in curnu epistolae, sta un quadretto che riproduce il lebbrosario dei SS. Tommaso e Lazzaro con S. Francesco ed un altro Frate
12) Legenda ecc. pag. 13 e 14. Nella Legenda ricorre spesso questa attestazione: «Nos vero, qui cum ipso fuimus, testimonium perhibemus de illo». Ciò, mentre prova l'antichità dello scritto, mostra l'autenticità di quanto è narrato.
13) D. Natalucci, nell' opera citata a pag. 556, fa appello all'autorità dell'Orosio, autore di un certo poema latino, in cui si afferma che Trevi sorse dove ora sta Pietra Rossa e che l'attuale Chiesa fu un tempio dedicato a Giunone. Fantasia e niente altro! L'Orosio visse verso il 1600 e fu il primo a dire queste cose; prove non ne portò, ma tutti ci credettero ugualmente.
Un altro poeta del 1400, Federico Frezzi da Foligno, nel suo Quadriregio al cap.18 dice che Trevi fu fondata da Anchetros, nepote di Troos di Troia. Può prendersi sul serio questa roba? ... Eppure ci fu chi ci credette!
14)
C.Plinii Caecilii Secundi, Epistolae, Lib. VIII, n.8.
15) Arch. Tre Chiavi. - Rif. 1347, f.124, 130 e 131; 1376, f. 67.
Tiberio Natalucci in opera citata, pag. 14. - Non so se il Natalucci, oltre il fatto che i molini anticamente si chiamavano di ponte maggiore, abbia avuto altri argomenti per sostenere che in Faustana stava il ponte nominato da Plinio; Nel suo lavoro non lo dice. É certo però che il territorio di Bovara, da cui i buoi scendevano a purificarsi nelle chiare acque del Clitunno, era l'ultima zona compresa nella parte sacra e siccome questa zona termina precisamente in quella località, è chiaro che lì stava il ponte e no altrove. I molini seguirono anch'essi la sorte di Trevi nel 1214 e furono ricostruiti nel 1358. (Rif. d. anno, f.35 e 43).
16) In un manoscritto del 1765 da me posseduto è detto: «Fin a giorni nostri chiunque scava il terreno per quel circuito e vicinanze trova fondamenta di ben grossi muri, uno dei quali specialmente in retta linea per lo spazio di sopra a mezzo miglio per la sua ampiezza e lunghezza ci dimostra senza dubbio il fondamento delle antiche mura della Città (sic); strade ottimamente selciate; piedistalli e basi di colonne in tal distanza e simmetria disposte, che vi fanno conoscere esser stati in quel luogo altri antichi e sontuosi tempii, o pure bagni, o teatri; colonne infrante, pietre lavorate in quadro di considerabile grandezza, che danno chiaro indizio di esser frammenti di edifici in magnificenza a città cospicua corrispondenti».
Anche nel 1864, quando si costruiva la ferrovia, vennero alla luce molti oggetti, alcuni dei quali furono raccolti dal Comune; molti però andarono dispersi.
17)
Mugnoni, Annali ecc., pag. 40.
18) In un vecchio libro manoscritto appartenente all'Archivio della Sacrestia di S. Emiliano, intitolato Erezioni, verso la fine, è riportato l'inventario degli oggetti appartenenti alla Chiesa di Pietra Rossa redatto da D. Pietro Adriani il 5 giugno 1722. L'inventario è preceduto da queste notizie: «L'antica e divota Chiesa detta la Madonna di Pietra Rossa, sotto il titolo di S. Gio. Batta, spettante al R.mo Capitolo Vecchio dell'insigne Collegiata di S. Emiliano della Terra di Trevi, trovasi nel Piano un miglio in circa dalla d. Terra, poco discosto dalla Strada Romana nell'ultimi limiti della Villa di Parrano e della Villa di Collecchio. Questa è stata sempre esistente fin dalla primitiva Chiesa Cattolica secondo le notizie di molti scrittori, e secondo la notizia che apparisce in una Tabella di d. Chiesa, che Papa Anacleto che fu il quarto Papa doppo S. Pietro l'anno di N.S. 103 vi concesse in perpetuo in molti giorni dell'anno Indulgenza plenaria. Papa Evaristo l'anno 112 confermò la suddetta indulgenza e Papa Alessandro primo l'anno 191 come anche Papa Igino l'anno 142, del che ne appariscono memorie nella Sacrestia della Basilica di S. Pietro di Roma dal che chiaramente si scorge l'antichità molta della med. S'ha per tradizione che in un Pozzo verso l'occidente, detto il pozzo di S. Giovanni, esistente nei beni del Priorato di d. Collegiata distante circa cento passi dalla sud. Chiesa, nella vigilia del glorioso S. Giov. Batta circa l'ora del Vespero vi comparisca miracolosamente ogni anno una nuova, o vero accrescimento d'acqua e questa vi sia per tutto il giorno della sua Festa seguente fin oggi chiamata l'acqua di S. Giovanni, colla quale lavandosi, o pure bevendola, guarisca mirabilmente la lebbra, et altri diversi mali; per il che sino al giorno presente vedesi numeroso concorso di gente, e comprovasi la verità da quelli, che oggi viventi ne hanno sperimentato e visto il miracolo».
La notizia dell'Indulgenza concessa dai Papi Anacleto, Evaristo, Alessandro e Igino è parto di fantasia. Perfino le date non corrispondono agli anni in cui quei Papi sedettero sulla cattedra di S. Pietro. Ho voluto però riportare per intero questo scritto sia perché parla dell'acqua santa con accenno alla guarigione della lebbra, sia perché le altre notizie, benché non vere, confermano l'opinione diffusa che la Chiesa di Pietra Rossa sia antichissima.
19)
Mugnoni, Annali ecc., pag. 40 e 159.
D. Natalucci,
Istoria ecc., pag. 556. Il Natalucci aggiunge: « ... aver ricevute stupende grazie e miracoli quelli che la medesima acqua avevano bevuto e con ella si erano lavati, mandandoci S.Francesco d'Assisi i leprosi [che] dimoravano nell'ospedale di S. Tommaso».
20) L'importante argomento seguita ad essere oggetto delle mie ricerche e dei miei studi; spero in seguito di poter pubblicare una memoria più particolareggiata.
21)
I Fioretti ecc., edizione citata Cap. XXV, pag.112.
22)
Legenda Antiqua ecc. Luogo citato. Anche per i Fioretti vedi luogo citato.