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Don Eugenio Venturini

 

Parrocchia di Santa Croce in Trevi. Memorie

 

<23>

CAPO 5°    LA PRIMA TRASLAZIONE DELLA SEDE DELLA PARROCCHIA

   
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Nota:Tra parentesi acute < > è riportato il numero della carta (foglio). Eventuali parole divise tra due pagine sono state trascritte per intero nella pagina che precede.

 

Il testo in colore, tra parentesi quadre  [   ] è stato aggiunto all'atto della trascrizione

 

 

20°

              Lo splendore della santità di S. Filippo Neri suscitò [?]  ben presto un entusiasmo per la Congregazione dell'Oratorio da Lui fondata in Roma, la quale poco appresso alla sua canonizzazione fatta dal pontefice Gregorio 15 nel 1624 non tardò punto a propagarsi. La nostra Trevi la ebbe nel 1642 Questa Comunità poco dopo il suo iniziamento prese la sede definitiva nella chiesa di S. Filippo alla piazza della Rocca. Si acquistò un patrimonio con la devoluzione dei beni spettanti alla chiesa di S. Antonio da Padova nella Bocca del Termine, coi lasciti fattile dal Costa e con altri proventi. Dopo alcuni anni la Congregazione volle cambiare di sede. Comprò a tale oggetto una porzione della casa degli eredi del cardinale Erminio Valenti; convertì il salone della medesima in chiesa sotto il titolo di Santa Maria in Sion, detta popolarmente la Chiesa Nuova, e quivi stabilì la sua nuova sede. In seguito di tale trasloco, fatto arbitrariamente e forse con fine non retto, il cardinale Facchinetti nepote di Urbano VIII. e vescovo di Spoleto nel 1675 la colpì di soppressione.

 

21°

La bufera che si veniva condensando a scaricare questa folgore sul sodalizio suscitò il pensiero a don Crispoldo Paolelli allora priore-parroco di S. Fabiano, e gli porse il destro di procurare a vantaggio non piccolo della sua parrocchia l'eredità presunta di quella corporazione, di cui prevedeva non lontana la morte. Chiese e si adoperò presso la
<23v> Curia Vescovile che le spoglie della Congregazione Filippina venissero ad impinguare la sua chiesa e parrocchia.

          La chiesa di S. Fabiano era angusta, oscura, umida, informe e situata nel posto più incomodo alla popolazione della Piaggia. Coadiuvato il Paolelli dal concorso dei principali dei suoi parrocchiani e delle Autorità cittadine, avanzò al papa Clemente X la domanda colla quale chiedeva

     1° che la chiesa di S.a Maria in Sion fosse ceduta alla Parrocchia di S. Fabiano acciocché questa vi potesse trasferire la sua sede, assumendo il nuovo titolo : dei Ss. Fabiano e Filippo in Santa Maria in Sion;

     2° che tutto il patrimonio della soppressa congregazione Filippina venisse devoluto alla stessa Parrocchia a formare una massa comune al provvedimento di quattro Cappellani, addetti alla soddisfazione degli obblighi tutti gravanti la stessa Congregazione, in modo che dei quattro, uno fosse lo stesso parroco e gli altri tre fossero anche coadiutori nella cura delle anime.
 

22°

         Il Pontefice rimise la domanda alla congregazione dei Vescovi e Regolari. Il Paolelli non si cullò nella tranquillità fiduciosa dell'aspettazione in distanza, ma corse a Roma, dove soggiornò per quindici giorni, cioè finché non ebbe accertata la felicità dell'esito. E il 16 Luglio 1676 fu emanato il Breve di concessione spedito all'Ordinario diocesano con pienezza di poteri per la sua esecuzione e per
<24> qualunque immutazione e riforma del medesimo, che fosse sembrata opportuna.

Il Breve ebbe tosto la sua esecuzione. Con decreto del 17 Agosto 1676 del Vicario Foraneo di Trevi fu dichiarata la traslazione della sede della parrocchia dalla chiesa di S. Fabiano all'altra di S. Maria in Sion, e la devoluzione dei beni già appartenuti alla soppressa congregazione filippina, a favore della stessa parrocchia; e con atto del cancelliere foraneo Emiliano degli Abati ne fu preso il vero e reale possesso. Nello stesso tempo furono nominati i quattro Cappellani: lo stesso Priore parroco Paolelli, e due superstiti oratoriani Givanni Francesco Mandarini e don Venturino Bovarini e il canonico Brunetti.

          I menzionati Oratoriani scalpitarono rumorosamente per il detto Breve, e contro di esso fecero ancora reclamo attaccandolo di obrettizio e sobrettizio, ma invano: i loro ricorsi caddero respinti.

 

23°

          Il Cardinale Facchinetti, usando della pienezza dei poteri conferitigli, il 19 giugno 1677 emanò, sotto il nome di capitoli, un decreto contenete le disposizioni concernenti gli obblighi dei Cappellani per l'adempimento di tutto ciò che dal Costa e da altri benefattori era stato ordinato alla Congregazione filippina, delle quali disposizioni ecco il sommario:

     1. che il Parroco debba essere il primo Cappellano, a cui solo incomba la cura delle anime.

     2. che delle altre tre cappelle, due siano
<24v> di nomina dei Priori della Comunità di Trevi e la terza, di libera collazione dell'Ordinario.

     3. Che i quattro Cappellani adempiono nella chiesa di S. Maria in Sion il prelegato Costa per la messa quotidiana, ciascuno per una settimana l'una successivamente all'altra, cominciando dal Priore e poi gli altri secondo l'ordine della loro decorrenza.

     4. Che i medesimi debbano soddisfare anche gli altri legati sotto la penale del pagamento di un giulio (centesimi 56) per ogni messa non celebrata, da erogarsi a favore della chiesa stessa e con l'obbligo di supplire qualunque messa tralasciata.

     5. Che si debba formare una Tabella da tenersi in pubblico nella sagrestia, sulla quale vengono registrati tutti i singoli legati coll'annotazione degli obblighi respettivi; che inoltre nella stessa sagrestia sia sempre tenuto il libro, sul quale vengono registrate man mano le applicazioni che si fanno.

     6. Che tutti i quattro Cappellani abbiano dritto ad aver l'annua vendita dei beni della soppressa Congregazione Filippina lasciati dal Costa, ciascuno in eguale porzione; che di più dal Prelegao del medesimo debbano avere scudi quaranta all'anno .....................

     7. Che della rendita dello stesso Prelegato debbano impiegarsi ogni anno cudi venti per l'esercizio del culto e mantenimento della chiesa, a disposizione del Priore e dei Cappellani.

<25> 8. Che il sopravanzo dei frutti del Prelegato debbono ogni anno ritenersi e conservarsi fino a che abbiano raggiunto la somma discudi cinquanta. E questa venga erogata in dote a una giovane di uno dei tre vilaggi: Ponse, Manciano e Coste nel territorio di Trevi, oltre la veste e le pianelle; e la consegna del danaro venga fatta a lei dopo la celebrazione del matrimonio, e dopo che abbia prestato cauzione per la reversibilità della medesima al Prelegato, nel caso che ella vivesse disonestamente, ovvero morisse senza prole sì legittima che naturale: il tutto a forma del Dodalizio di Sistilio Valenti amministrato dalla Compagnia del Crocefisso. La elezione della domanda sia riserbata al Priore e ai Cappellani.

     9. Che il camerlengo del Prelegato debba avere scudi cinque all'anno per sua provisione, ossia compenso. (Lo scudo romano equivale a £ 5,32).

     10. Che il Priore e i Cappellani debbono fare esercizi religiosi, cioè ascoltare le confessioni in due domeniche del mese - Ogni quindici giorni fare la funzione della Buona-Morte - Una volta al mese tenere un sacro Sermone ovvero far la lettura di un libro spirituale - In una domenica di ogni mese insegnare la dottrina cristiana.

 

24°

Qui termina il decreto esecutivo; ma sopra il suo primo articolo si conviene fare una osservazione di necessità e importanza gravissima, la di cui omissione darebbe luogo ad uno errore di conseguenza non lieve sullo stato presente
<25v> delle attribuzioni incombenti ai tre Cappellani aggiunti al Priore. Quell'articolo, restringendo al solo Priore la cura delle anime coll'esonerarne i tre Cappellani induce un cambiamento nel Breve. Il Vescovo poté farlo allora, usando delle facoltà ricevute dal medesimo. In appresso però questa modificazione fatta nel decreto venne senza dubbio annullata, e si tornò alla prima disposizione contenuta nel Breve. Di tale mia asserzione non potrei qui addurre il documento, e neppure una memoria scritta, grazie, di certo , al sovvertimento e alle dispersioni fatte soffrire all'archivio. però mi è dato di farne una lucolenta dimostrazione, che desume dal fatto.

          I Cappellani, a memoria di uomini, sono stati sempre coadiutori del Parroco nella cura d'anime. Di più, alla morte del Priore il Cappellano anziano, senza verun'altra facoldizzazione, lo surrogava immediatamente, a celebrare il funere del defonto retraendone i relativi diritti, e assume parimenti ex se et ipso jure l'economato della Parrocchia per tutto il tempo della vacanza. E tutto ciò coll'esclusione del viceniore, lo che non dovrebbe essere per dritto generale in tali vacanze, se i Cappellani non fossero coadiutori curati, ma semplici partecipanti alle funzioni della Chiesa. - Ad ulteriore confermazione aggiungo un cenno del riscatto giudiziario delle Cappelle, di cui mi riserbo parlarne in altro capitolo. Il demanio dello Stato aveva acciuffato le Cappelle, e con tanta tenacità che ci vollero
<26> niente meno che cinque successive Sentenze di tutti i vari gradi della giudicatura, tutte e quello contrarie, per strapparle ai suoi artigli. Il demanio se le era appropriate caratterizzandole come cappellanie semplici, ossia di mera officiatura di chiesa, e nulla più; ma la loro qualifica di cappellanie concurate, provata dall'evidenza, fu l'unica ragione che costrinse i diversi tribunali del governo a sentenziare contro l'usurpazione fatta da una amministrazione governativa.

          Oltre a questo primo articolo non sarà cosa inopportuna fare ancora qualche osservazione a quelli tra gli articoli seguenti, che non sembrassero meritevoli.

          L'articolo VI. conferisce ai Cappellani il diritto di percipire in massa scudi 40 all'anno sulla rendita del Prelegato Costa- Ad intendere bene la proprietà di questo dritto giova il promettere che il lascito Costa alla Congregazione Filippina passato poi ai Cappellani dei Ss. Fabiano e Filippo, connestava di due parti: la 1a, il Prelegato; la seconda la metà del suo asse ereditario. Con questa ultima ed altre beneficenze di cui fu dotata dalla pietà dei fedeli la Congregazione, furono costituite le cappellanie. Coll'altra ossia col Prelegato, fu costituito il fondo per la messa quotidiana, pel dodalizio per l'annua prestazione degli scudi quaranta. In ordine poa a questi ultimi debbo notare che dei Cappellani non solo non si fruiscono a nostro tempo,
<26v> ma neppure nei tempi andati, a nostra saputa. come poi sia decaduto un tal diritto non saprei decifrarlo.

          In ordine alle norme amministrative del Prelegato contenute negli articoli 7, 8, e 9, queste sono state seguite fino a che il Prelegato è rimasto nelle mani dei Cappellani, ma dopo che tolto ad essi nel 18** dalla legge del governo italiano circa le Congregazioni di Carità, a questa passò l'amminisrazione - Mi piace poi di ricordare che la veste, ossia l'abito e le pianelle che al tempo del Costa si usavano in luogo delle moderne scarpe, si davano alla dodata in dono, perché ella le incegnasse nella processione del 25 marzo che si faceva nella chiesa del Crocefisso, alla quale doveva intervenire in compagnia dell'altra, che aveva conseguito la dote di Sistilio Valenti. nel nostro secolo però, riformatore d'ogni cosa, cessò questa consuetudine, e in compenso della veste e delle pianelle si assegnavano alla dotanda scudi tre. Ma pochi anni fa la Congregazione cessò anche quest'ultima consuetudine, devolvendo la somma a beneficio dell'Ospedale, per intuito della sua penuria.

          Inoltre non intendo di preterire che i cinque scudi del Prelegato assegnati al Cappellano suo amministratore, la Congregazione ha continuato a pagarli facendo tutto un amalgama coi venti del culto. Non si creda però che questo sia stato un atto di generosità: niente affatto; ma sibbene l'effetto d'inavvertenza.    

          Il tempo, edace e trasmutatore di ogni cosa, ha cambiato totalmente il viso all'art. X. Gli obblighi ingiunti ai Cappellani loro trasmessi, tali
<27> quali dalla Congregazione Filippina, non sono caduti in totale desuetudine. Essi, al presente si riducono unicamente a partecipare alle funzioni della chiesa parrocchiale e coadiuvare il parroco, o, a vero dire, a surrogarlo in caso d'assenza e d'invalidità.

          E qui termino le mie osservazioni ai diversi articoli del decreto esecutivo

 

25°

         Operata la traslazione, la chiesa di S.Fabiano restò abbandonata, anzi disagrata e convertita ad usi profani. Di essa è rimasta soltanto la deforma ossatura, dalla di cui porta destra fu estratto un buon numero di pietre riquadrate per materiale nella costruzione del nuovo campanile di Santacroce. Benché non ne abbia ricordo, tutto però fa supporre che la casa annessa fosse l'abitazione parrocchiale: ma questa pure deve credersi che venisse lasciata, perché vi ha che nel 1733 la parrocchia fu donata di una casa, in Piaggia, di dieci vani, ad uso di abitazione del parroco, avente un piccolo orto con grotta, e ciò per beneficenza della q.m Anna del q.m Paolo da Parrano. con legato a rogito di Francesco Celli del 23 Gennaio 1695, eseguito dal suo erede Giuseppe Andreangeli il 28 Marzo 1733.

          In seguito di questa traslazione non si ha null'altro di memorabile nella parrocchia che la divisione della massa comune dei Beni dei Cappellani in quattro Benefizi distinti e separati. Anzi la divisione fu così sollecita che fu fatta sei anni dopo la istituzione delle Cappelle. il 15 Luglio 1680, vivente ancora il Paolelli e il Brunetti, e succeduti
<27v> gli altri due nuovi Cappellani, il Capri e don Carlo Mandarini. Del resto, la nuova chiesa parrocchiale cominciò con molta ufficiatura, anzi esuberante pel popolo della Piaggia, la quale aveva ancora tre chiese monastiche, belle e ben corredate, e l'altra del Crocefisso, dotata di un buon patrimonio e di legati, ai quali erano annesse da 1500 messe all'anno, come può vedersi nel libro delle Memorie di essa Compagnia, che da me è stato compito pochi mesi or sono.

 

26°

          Tra i molti rami, nei quali  si vede diviso e sudiviso l'albero geneologico della nobile prosapia dei conti Valenti, che si crede impiantati qui in Trevi da un millennio, cioè da quel secolo oscuro e orrido per la chiesa e la società, il 900, havvene uno, di cui s'ignora lo stipite, che aveva il suo palazzo nel fabbricato attuale della Chiesa Nuova, fabbricato vasto in senso oblunco, il quale, oltre il presente superstite, comprendeva l'area annessa, che in oggi giace in orto e in vivajo. Il blasone dei Valenti, scolpito in pietra, ha sormontato la porta di ponente fino a questi ultimi anni, in cui fu venduto da mio zio Giuseppe Orsini, uno dei comproprietari, a certi antiquari per Lire dieci. Alla famiglia dei Valenti, proprietaria di questo, allora, palazzo, apparteneva il Cardinale Erminio Valenti, che ha quel monumento sfarzoso nella chiesa delle Lagrime, al lato destro dell'altare della Madonna; che è ricordato quale illustre protettore nella pietra che forma cimasia alla porta del Crocifisso, quello il di cui nome ricorre ogni anno tra gli istitutori dei legati di messe a carico del già monastero
 <28> di Santacroce e oggi di S. Bartolomeo, certamente per qualche beneficenza allo stesso monastero, perché tuttora rimane al disopra di una porta interna del medesimo il suo lapideo stemma gentilizio cardinalizio.

          Quando agli Oratoriani di S. Filippo venne il ticchio di disertare la loro chiesina nella piazza della Rocca e venire qua  giù in Piaggia dopo la morte del Costa e di altri dei loro sacerdoti, congregati; essi, ridotti a pochi, comprarono per scudi 450 dei conjugi Romolo e Lavinia Valenti quella parte del fabbricato, che oggi è di questa chiesa di Santacroce: sei vani, tre nel piano superiore. Nel vano maggiore, che era la sala del palazzo, stabilirono la chiesa, cui dettero il titolo di S.ta Maria in Sion. Quest'ultima parte del titolo - in Sion - non saprei che significato potesse contenere. Sion, il cospicuo monte di Gerusalemme, sul quale sorgeva la regia dei monarchi di Giuda; la Vergine, non so cosa abbia avuto a fare con esso. Di Lei sappiamo che nella valle di Giosafat, all'oriente della città e fra questa e il Monte Oliveto, ebbe il seppolcro, che tuttora si venera. E la Tradizione ci ha trasmesso che Ella, dopo l'Ascenzione, abitasse nella casa dell'Apostolo S. Giovanni in prossimità del Cenacolo, e dove ancora trasmigrò da questa vita al cielo; onde quel luogo si chiama tuttora il Transito della Vergine. Ripeto, di questa Sion non saprei indagare la misteriosa ragione.

          La novella chiesa ebbe tre altari, il maggiore dedicato a S. Maria in Sion aveva il quadro,
<28v> in tela, dell'Annunziata; e i due laterali non so sotto qual titolo dedicati, l'uno aveva il quadro di S. Giuseppe, l'altro, di S. Camillo de Lelis. Centrale alla Piaggia, benché un po' eucentrica alla parte rurale della parrocchia, disadorna e senza un vero aspetto di chiesa infra e ad extra, pure eccelleva quel grottone di S. Fabiano, vero monumento del fondo del medio evo, che lo aveva buttato là, a riflesso della sua rusticità - La chiesa di S. Maria in Sion aveva a lato la sagrestia e un altro vano, e sottostante aveva una stanza oblunga, nella parte interna del fabbricato, per seppoltura unica, e in attiguità due stanze, le di cui finestre prospettano sulla strada. Questa chiesa, quando fu aperta, dal popolo venne chiamata la Chiesa Nuova, denominazione che tuttora perdura nella sua bocca, benché da lungo tempo non più chiesa, e da lunghissimo, non più Nuova.
 

27°

         Mi conviene tornare sull'oggetto della chiesa di S. Fabiano per aver dimenticato una cosa, benché per un lato palpitante di attualità, della quale è bene di lasciare un ricordo. All'unica posta esterna di essa, che era bassa ed angusta sovrastava un'arco a pietre, ornato da una centina a basso rilievo. Questo è stato giudicato da un commesso dell'Accademia di Belle Arti di Perugia, il Caraccioli, opera del Novecento, in questa oppinione io mi sono adagiato per una doppia ragione - La rozzezza del lavoro, caratteristica del tempo; e l'esistenza di altro lavoro dello stesso genere, ma ben più ingentilito, nella facciata della chiesa di S. Gregorio <29> nella Pieve di Castel-Ritaldi, chiesa anche quella di costruzione monastica, o, forse per meglio dire, di riduzione monastica da tempio pagano a cristiano. E quelle scolture sono datate col 1156, benché le cifre dall'ignoranza dello scalpellino, errate. Due mesi sono, ampliata la detta porta di S. Fabiano, l'arco si dovette rimuovere; ma per non mandare in perdizione questa scoltura di pregio storico e la più antica di Trevi dopo la tricore di S. Emiliano, mi sono presa la cura di collocarlo sopra la porta esterna della sagrestia di Santacroce, colla scritta esplicativa.
 

28°          Il contenuto di questo capitolo ci presenta nel Priore don Crispoldo Paolelli la figura di un benefattore della parrocchia. La Providenza, è vero, glie ne presentò il destro, ma è  pur vero che Egli ebbe il merito di afferrarlo e agire con senno ed impegno a trarne profitto. Di questa benemerenza gliene avrà certamente tenuto conto il Signore; ma gli uomini? non so. Si sa soltanto delle opposizioni e perciò delle conseguenti amarezze cagionategli dagli indispettiti Oratoriani e loro aderenti; ma, non un sasso, non un laterizio che porti scolpito il suo nome; non una memoria qualunque, ad eccezione di quelle cartaccie che contengono gli atti occorsi alla spedizione della cosa. I nostri antenati per la non curanza e l'ingratitudine pubblica erano peggiori di noi. Del resto, non so se il Paolelli fosse nato trevano, ma la famiglia ha perdurato fino a noi, e sempre nel ceto nobile. La sua casa era qui nella Piaggia, quella che a chi scende dalla cisterna di S. Stefano, immediatamente sta
<29v>
sulla sinistra. La casa fu poi venduta nel 1830 all'ingegnere, l'ottimo Sabatino Stocchi, e fu l'ultimo degli stabili ad essere alienato nella catastrofe economica della famiglia. Gli ultimi due, qui nati, dei Paolelli, sono stati Coriolano morto in Roma con prole femminile, Achille in Civitavecchia con figliolanza maschile.
 
29°

          Col terminare il numero precedente credevo chiuso questo capitolo, quando nel metterlo all'indice mi è campeggiata un'altra reminiscenza che si riferisce alla materia in oggetto, la prestazione, cioè, annua di due libre di cera lavorata incombente alla compagnia delle Stimmete a favore della parrocchia di S. Fabiano. (due libre equivalgono a grammi 666.) Io non ho verun documento a fornire un titolo di tal dritto. Non vi ha che la pratica amministrativa tradizionale che lo prova. Nondimeno procuriamo di entrare a tentone nel buio del passato fin dove ci sia dato di rischiararci con qualche raggio di luce.

          Il 23 Marzo 1625 s'inaugurò una compagnia di trentatre fratelli sotto il titolo del - Stimmate di Francesco, ponendo la sede nella chiesa di S. Reparata, una delle antiche di Trevi, di forma oblunga e di ampiezza meno che mediocre, esistente al sud del collegio, distrutta poco dopo la seconda metà di questo secolo dalla costruzione della Strada Nuova che ancora non ha ricevuta una denominazione, e le converrebbe quella di "Via della Stazione Ferroviaria". Se ne lasciò unicamente, quasi a memoria, intramezzata alle mura castellane quella edicola tuttora superstite. La confraternita in appresso traslocò la sede da questa
<30> alla chiesa di S. Filippo costruita dal benemerito Costa, e ciò, senza dubbio, dopoché dalla Congregazione Filippina era stata lasciata trasportandosi alla Chiesa Nuova. In questa Confraternita, nel suo esordio, per l'ammissione degli aggregati, che fosse richiesto per condizione un determinato grado nello stato cittadino non apparisce; ma è certo che  posteriormente si esigeva l'appartenenza alla nobiltà. Perciò divenne un sodalizio di nobili, esclusivo d'ogni altro. E Virgilio Lucarini affidò la direzione suprema del Convitto da sé testato e poi fondato dal suo nepote Reginaldo Lucarini, domenicano e vescovo di Città della Pieve, ad esso sodalizio, che la ritenne fino agli ultimi nostri tempi, cioè all'istituzione delle Congregazioni di Carità del nuovo governo italiano. L'indumento dei fratelli era un ruvido sacco di panno di canapa, grezzo, cinto ai lombi da una corda. Sembrava proprio l'abito della penitenza e povertà francescana. Del resto, almeno ai tempi nostri, questo Sodalizio non mostrava altra vita che di fare in corpo la visita dei seppolcri nel mattino del Venerdì Santo. In morte, il fratello vestito di sacco in chiesa giaceva scoperto sopra un nudo tavolo, per cui talvolta per ischerzo si diceva che i nobili facevano penitenza dopo la morte. Questa confraternita, dopo l'attuale governo, benché canonicamente esistente, in realtà non ebbe più vita, meno nella sua parte amministrativa. Ed ora, appunto in quest'anno 1900, i pochi suoi membri superstiti, e, quasi per meglio dire i figli dei defondi, hanno emesso giuridica rinuncia dei loro diritti sopra di essa, e ne hanno dichiarata la cessazione devolvendo i suoi pochi
 <30v> beni dell'annua rendita di £.80 in circa a beneficio dell'Ospizio degl'invalidi di Carlo Amici, che fu pure Esso un nobile e un confratre, morto il 4 Agosto 1852. Così è finita la confraternita dei nobili, ma è parimenti finito il loro ceto.

          Sotto il pontificato di Pio VI. Trevi, dichiarata Città, ebbe la facoltà, come tutte le altre di costituire la sua classe di nobiltà, composta dalle famiglie magnate dei suoi interni cittadini. La nomina era conferita dal Municipio con successione ereditaria. La famiglia decorata di tal titolo aveva il diritto di alzare il  suo blasone. del resto non acquistava con ciò autorità giuridica, ma quell'ascendente morale, che, oltre dal titolo, si poteva meritare dal suo decoro e, non poco, dall'opulenza. Il liberalismo, teorizzato dapprima dai libri inglesi e poi dai francesi, e quindi appresso attuato con furore satannico dalla rivoluzione del 1789, sotto la bandiera dell'eguaglianza sociale portando la sua falce livellatrice, abbatté la nobiltà, come il grado civile del clero e l'assolutismo delle Monarchie. E all'urto del Governo piemontese, addivenuto poi italiano, che nel 1860 irruppe nelle nostre regioni con questa bandiera, spiegatissima, cadde la nobiltà tra di noi; e i già nobili, in quei primi tempi andettero a mescolarsi anche tra la plebe, carezzandola; ma poi, addolorati dai morsi che ne riceverono, prudentemente se ne sono ritirati. Ma diamo termine a questa  niente breve digressione fatta per un cenno di memoria della Compagnia

<31> delle Stimmate e della nobiltà, e torniamo al principio di questo articolo.

          Donde è provenuto che la Compagnia delle Stimmate deve pagare la menzionata prelazione alla parrocchia di S. Fabbiano? - Ancorché io nulla abbia trovato, o perché non vi è, o perché mi sia sfuggito, dell'inclusione della chiesa di S. Filippo nella devoluzione dei beni della Congregazione Filippina a questa Parrocchia; pure ogni ragione milita per dovere ammetterla. Epperciò, essendo stata la Parrocchia che avrebbe ceduto alla Compagnia la chiesa per di Lei nuova sede, Essa in ricognizione del suo dono avrà senz'altro imposto l'annua prestazione perpetua in parola

 

30°  [Altra grafia, vedi Capo 7°, carta 56v]

Questa prima traslazione nella sede della parrocchia colla creazione simultanea delle 4 cappellanie, che ha formato l'oggetto di questo capo, ebbe a fondamento la bolla di Clemente X, di cui, a suo luogo, si è fatta parola. Ora mi sorge nel pensiero che sia utile ed opportuno di trascriverla qui appresso per assicurarne maggiormente la conservazione e anche l'intelligenza di quel vetusto carattere, la cui scrittura si trae a copia.

 

1Clemens Papa X.mo

Venerabilis frater noster: salutem et apostolicam benedictionem. Exponi nobis nuper fecit dilectus filius Chrispoltus Paulellius rector, Prior nu<n>cupatus, parochailis Ecclesiae S. Fabiani Terrae, seu loci Trevii (seu Trebii) Spoletanae Diocesis, quod q.m Ioanes Antonius Costa, dum vixit praesbiter Terrae dicti loci in suo  ultimo testamento haeredem exsemisse instituit Ecclesiam S. Philippi Neri in Platea Arcis dicti loci positam, ac congregationem in ea existentem, ea lege, ut illius fratres omnes functiones solitas in ea inceptas obire tenetur, ac insuper illi praelegavit mille et quingenta scuta  mon.le (seu fundata) in tot censibus, ex quorum fratribus quotannis expenderantur quadraginta <31v> scuta similia pro celebratione unius Missae quotidianae, quam duo cappellani, qui fratres Congregationis essent alternis hebdommatibus per se ipsos celebrare deberent.- Alia quoque viginti scuta paria ex iisdem fructibus pro cera, servitio, aliisque necessitatibus ecclesiae prefatae desumerentur; et similiter alia quinque scuta pro Camerario, qui exactionem faceret: quod antem superesset ex fructibus censuum huiusmodi, conservaretur, donec ad summam quinquaginta scutorum similium pervenisset quae tunc pro maritanda una puella erogari deberet. In ncasum autem dicta Congregatio deficeret, aut illius fratres Ecclesiam prefatam desererent, tunc Priores Universitatis dictae errae Trivii, ac confraternitas S.S. Sacramenti curam assumerent deligendi Cappellanos pro celebratione dictae missae, et Personam, quae exactionem huiusmodi faceret et alia, prout in dicto testamento uberius dicitur contineri. Porro dicta congregatio, quae tunc temporis aliquot presbiteris, qui in dicta Ecclesia ad aliqua devotionis exercitia peragenda congregabantur, constabat, numquam assumpsit bonam formam nec cohabitandi nec S. Philippi Neri instituta obeundi, et hodie ad usum simplicem reductam reperiatur praesbiterum, et quidem valde inabilem, eaque de causa subordinatum Rectori Congregationis Oratorii eiusdem S. Philippi Neri Spoletani, qui una cum Ministro Ecclesiam praefatam occupat, nec celebrationem Missae per se ipsum nec alias functiones justa mentem pii Testatoris peragere potest: dicta vero Ecclesia est angustissima nec ampliare potest, nec illius concursus capax, et comodo sufficiens existat propter vicinam Collegiatam Ecclesiae S. Emiliani et Fratrium ordinis Minorum S. Francisci Conventualium nuncupatorum, unde nullam populi comoditatem praestat.Cum autem, sicut eadem expositio subjungebat, Congregatio praefata aliam obtineat Ecclesiam, sub titulo S. mariae in Sion, in optimo situ et loco habitatoribus frequenti positam, et ab aliis Ecclesiis longe distantem, omnisque concursus capacem, ac proinde in maxima populi comoditate, ac in divini cultus <32> augmentum non modicum eveniendum sit, si in hanc Ecclesiam tam officiaturam huiusmodi, quam administratio et exercitium curae animarum, quae Parochiali Ecclesiae S. Fabiani in situ infelicissimo non habitato, parochianis incomodo, insalubri et indecenti positae incumbit transferenda; et loco duorum Cappellanorum, quatuor instituerentur, nempe Prior dictae Parochialis Ecclesiae et tres Cappellani ..... qui oneribus dicti praelegati satisfacerent, et pro aequali portione onus Missae et portio nem fructuum eiusdem praelegati e dicto estatore assignatam inter se dividerent aliisque omnibus bonis supradictae Ecclesiae S. Philippi fruerentur, easque obirent funtiones, quas tanquam utiliores eis praescribendas ducerent et in speciem iidem Cappellani confessiones audire, et Priores in exercitio Curae Animarum coadiuvare tenerentur. Cumque et opportunum videatur ne antiqui SS. Fabiani et Philippi in S. maria in Sion seu, prout tibi videbitur, denominetur, et ex quatuor Cappellanis supradictis nominatis duo a prioribus dictae terrae et officialibus praedictae  Congregationis S.S.Sagramenti ..... concedatur in dispositionem supradicti  Testatoris, reservata tam tibi, et pro tempore existenti ordinario Spoletano illorum institutione, in tertium vero Prior, pro tempore existens, assumatur, et quartus ab Ordinario instituatur; et pro hac prima vice dilectos filios Ioannes Franciscus Mandarini, qui unicus Sacerdos in supradicta Congregatione remansit, nec non Antonium Brunectium, olim Canonicum Poenitentiarum et Vicarium Generalem in Ecclesia Montis Franconis, qui ad sermones ad populum habendos aptus est, et dictum Crispoltum, qui a triginta uno annis Curam animarum in supradicta Ecclesia S. fabiani exercet et vicariatum multis annis in praefecturas Nursiae exercuit, in cappellanos respective instituas, praemisse auctoritate
<32v> omnia si fiant in utilitatem spiritualem et comoditatem populi, ac in divini servitii et cultus augmentum cessura esse videantur.

Nobis propterea Crispoltus supradictus humiliter supplicari fecit ut eisdem praemissis opportune praevidere, et ut infra indulgere de benignitate apostolica dignaremur.

Nos igitur Crispoltum, Ioannem Franciscum, Venturinum et Antonium, nec non Priores et Ufficiales supradictos specialibus favoribus et gratiis prosequi volentes, et eorum singulares personas a quibusvis excomunicationis, suspensionis et interdicti, aliisque ecclesisticis sententiis, censuris et poenis a Jure vel ab homine quavis ..... vel causa latis, si quibus quomodolibet innodati existant ad effectum .... tantum consequendum hac .... absolventes et absolutos fore censentes, ac Testamenti supradicti tenore et alia quaecumque etiam specificam et individuam mensionem, et expressionem requirentia, praesentibus pro plene et sufficienter  expressis habentibus huiusmodi supplicationibus inclinati, de Venerabilium fratrum S.R.E. cardinalium negotiis et consultationibus Episcoporum et Regularium Praepositorum consilio et attenta ? relatione tua eisdem Cardinalibus facta, et praesertim quod pia Congregati S. Philippi in dicto loco Trivii destituta reperiatur, circumspectioni tuae, de cuius spectata fide, prudentia, integritate et sapientia plurimum in domino confidimus per partes committimus ac mandamus ut onera missarum dicta Ecclesia S. Philippi a testatore legata nec non Curam animarum, quae de          praesenti Ecclesia S. Fabiani cum gravi populi incomodo incumbit in dictam Ecclesiam S. Mariae in Sion, uti aptiorem, transferre et incorpotare auctoritate nostra apostolica pro tuo arbitrio et prudentia possis, dummodo circa missarum celebrationem et duorum Cappellanorum ex dicti quatuor nominationem remaneat ipsius testatoris dispositio, reservata tibi et pro tempore existetabus ? Episcopis Spoletanis eorundem Cappellanorum
<33> institutione et in reliquis servetur forma supra descripta, ac tibi a.dem ? formam corrigendi, immutandi ac in melius prout salubriter in Domino expedire censebis, reformandi facultatem eyt auctoritatem .... serie tribuimus et impertimur salva tum semper in premissis auctoritate memorare Congregationis Cardinalium, non ostantibus supradicti Ioannis Antoni Testatoris etiam ultima voluntate, quam quoad praemissa sufficienter et expresse commutamus, et quatenus opus sit felicis recordationis Paoli secundi et aliorum Romanorum Pontificum praedecessorum nostrorum de rebus Ecclesia non alienandis constitutionibus et ordinationibus apostolicis nec non Congregationis et Ecclesiarum prefatarum, aliisque quibusvis etiam juramento; confirmatione Apostolica vel quavis firmitate alia roboratis, statutis et cosuetudinibus, privilegis quoque, indultis et litteris Apostolicis incontrarum praemissorum qomodolibet concessis, confirmatis et innovatis, quibus omnibus et singulis illorum tenore praesentibus pro plene et sufficienter expressis et insertis habentibus illis aliis in suo robore permansuris ad praemissorum effectum hac vice dumtaxat specialiter et expresse derogamus, caeteris contrariis quibuscumque non ostantibus.

Datum Romae apud S. Mariam Maiorem sub anulus piscatoris die XVI Julii 1676 Pontificatus nostri 6.

 

   
   
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